domenica 18 maggio 2008

I mali dell'Informazione

La scorsa settimana ho dovuto preparare le relazioni di fine anno, lunghe da scrivere e da sistemare con tutte le fasce di apprendimento dei singoli alunni. Poi sono andata dall'oculista e quindi ho evitato per alcuni giorni di leggere e di scrivere in internet per non affaticare ulteriormente la vista. Ho visto anche ben poca Tv ma ho seguito le vicende di Travaglio e degli attacchi a lui perpetrati per essere stato ospite prima di Fazio e poi di Anno Zero.
Non mi piace molto Travaglio ma trovo che sia un giornalista che fa il suo lavoro. E che non cambia bandiera a seconda di come va il vento.
Stamattina la giornalista Barbara Spinelli ha scritto un articolo che parla proprio di informazione e dei mali che colpiscono l'informazione italiana. Ha espresso in modo chiaro e preciso ciò che avrei detto anch'io, ma non di certo bene come lei
Ecco quindi i suoi pensieri, veramente significativi:
" Si è parlato molto, negli ultimi anni, della casta politica e delle sue cecità, dei suoi privilegi. Si è parlato della distanza che la separa dal cittadino, dal suo quotidiano tribolare. Si è parlato assai meno della malattia, vasta, che affligge l’informazione e il compito che essa ha nelle democrazie. Compito di chiamare i poteri a render conto, tra un voto e l’altro. Compito d’abituare l’opinione pubblica non a inferocirsi, ma a capire le complicazioni, a esplorarne le radici, a scommettere con razionalità su rimedi non subito spettacolari. Compito di formare quest’opinione, cosa che spetta all’informazione in quanto «mezzo che mette il cittadino a contatto con l’ambiente che sta al di fuori del suo campo visuale»: lo scriveva Walter Lippmann nei primi Anni 20, e la missione è sempre quella. La malattia non è solo italiana, sono tante le democrazie alle prese con un’informazione che fallisce la prova, che al cittadino non rende visibile l’invisibile, che dal potere politico si fa dettare l’agenda, le inquietudini, gli interessi prioritari. Che è vicina più ai potenti o alle lobby che ai lettori. Che alimenta il clima singolare che regna oggi nelle democrazie: come se vivessero un permanente stato di necessità - di guerra - dove per conformismo si sospendono autonomie, libertà di dire.
La grande stampa Usa si è fatta dettare l’agenda da Bush, per anni. La stampa francese per anni s’è dedicata ai temi prediletti da Sarkozy. Quel che ci rende originali non è dunque la malattia. È il fallire del sistema immunitario, che altrove generalmente funziona. Non sappiamo liberarci dalle patologie, dalle loro cellule.
Siamo immersi in esse con compiacimento, con il senso di potenza che dà l’ebbro sentirsi in branco: lo straordinario conformismo che disvelò Jean-François Revel (Pour l’Italie, 1958) non è scemato.
In Italia c’è poca auto-stima ma anche poca analisi di sé. .... Quanto all’informazione, nulla che somigli alle autocritiche dei giornalisti Usa sull’Iraq, emerse quando Katrina travolse New Orleans.
L’informazione italiana non produce anticorpi atti a ristabilire un contatto con la società. Il risultato è palese, oggi, e lo storico Adriano Prosperi lo descrive con nitidezza: nel Palazzo «un venticello dolce di mutuo rispetto tra maggioranza e opposizione, un gusto della correttezza (...) un’aria di intesa e di pace».
Fuori, intanto: una guerra tra poveri, e pogrom moltiplicati contro rom e diversi (la Repubblica, 16-5). Il guaio è che anche la stampa è Palazzo: incensa serenità politiche ritrovate e scopre, d’improvviso, una società inferocita da tempo, ormai indomabile dalla destra che l’ha sobillata.
L’enorme polemica suscitata da alcune affermazioni televisive del giornalista Marco Travaglio è sintomo di questa malattia, assieme alla violenza, impressionante, con cui alcuni si scagliano contro di lui ....
Il Paese traversa tifoni, e i giornalisti trovano il tempo di scannarsi a vicenda come fossero nell’ottocentesca Zattera della Medusa. Chi ha visto il quadro di Géricault, al Louvre, ricorderà la cupa zattera, dove pochi naufraghi pensarono di salvarsi a spese di altri. Su simile zattera sono oggi i giornalisti, mangiandosi vivi. L’istinto della muta è forte in tempi di necessità, di Ultimi Giorni dell’Umanità.
Ignoranza e mancanza di memoria sono tra i mali che impediscono di smettere il cannibalismo tra giornalisti e di suscitare un’opinione pubblica informata.
Si ignora quel che succede nel Paese, e da quanto tempo. Il pogrom di Ponticelli non è un evento nuovo. Violenze di mute cittadine contro il capro espiatorio già sono avvenute il 2 novembre 2007, quando squadracce picchiarono i romeni dopo l’assassinio di Giovanna Reggiani. Già il 21-22 dicembre 2006 presidi cittadini incendiarono un campo nomadi a Opera presso Milano, approvati da un consigliere comunale leghista, ..., ora sindaco. E non erano violenze nate da niente, avevano anch’esse album di famiglia che chi ha memoria conosce: la tortura di manifestanti no-global a Genova nel 2001; gli sgomberi dei campi Rom attuati brutalmente dal Comune di Milano nel giugno 2005; le parole del presidente del Senato Pera contro i meticci nell’agosto 2005; le complicità del governo Berlusconi nel rapimento di Abu Omar e nella sua consegna ai torturatori egiziani.

Erano pogrom anche quelli del 2006-2007, e gli oppositori di allora non sapevano che a forza di aizzarli avrebbero suscitato i mostri che adesso, grazie all’allarme europeo, devono condannare.
La perdita di memoria è stupefacente, ramificandosi s’espande.
D’un tratto Berlusconi è «un’altra persona», al pari di suoi amici come Dell’Utri, Schifani. Non hanno dovuto fare ammenda: sono altre persone perché il conformismo fa letteralmente magie.
Non si ricorda quel che è stato Berlusconi ancora ieri: come quotidianamente ha delegittimato Prodi, trascinando dietro di sé l’informazione. Di conflitto d’interesse non si parla più. Non si ricordano i trascorsi dei suoi uomini. I rapporti con la mafia o il vivere vicino a essa sono pur sempre una loro macchia.
Travaglio ha avuto il cattivo gusto di non uniformarsi, di dirlo a Fabio Fazio su Rai3. Sta pagando per questo.

Fa parte del conformismo giornalistico il fascino per il potere
(il vizio infantile descritto nel libro di Scalfari: non solo i buoni vincono ma chi vince è buono).
E anche se il fascino esiste altrove, in Italia è diverso: proprio perché lo Stato è debole, la massima irriverenza verso le cariche repubblicane si mescola non di rado a riverenze esagerate (verso il presidente del Senato, anche verso il Capo dello Stato). L’usanza non esiste in regimi presidenziali come America e Francia.
Travaglio è un professionista che ha molto investigato, ma ve ne sono altri: Abbate che ha indagato su mafia e politica, o Peter Gomez, Gian Antonio Stella, Elio Veltri, Carlo Bonini, Francesco La Licata. Anche D’Avanzo è fra essi, e per il lettore non è chiaro perché si sia tanto accanito contro Travaglio, il cui carattere non è più spigoloso di altri astri giornalistici.
Travaglio si è chiesto come mai un politico dal passato non specchiato sia presidente del Senato. Non è illegittimo. Ha violato il sacro della carica, ma la prossimità di Schifani alla mafia è già stata descritta da Lirio Abbate e Peter Gomez ne I Complici - in libreria dal marzo 2007 - senza che mai sia stata sporta querela.
Berlusconi s’avvia aesser osannato allo stesso modo, metamorfizzandosi in tabù.
L’antiberlusconismo non è più una normale presa di posizione politica; sta divenendo un insulto che disonora oppositori e giornalisti.
Qui è l’altra originalità italiana. Nessuno si sognerebbe in America di accusare il New York Times o i democratici di anti-bushismo, nessuno in Francia denuncerebbe l’anti-sarkozismo di Libération o dei socialisti. Da noi lo spirito dell’orda è tale che ieri era indecente difendere Prodi, oggi è indecente attaccare Berlusconi.
Le precipitose scuse di Fabio Fazio non erano necessarie. Più appropriato è quello che ha detto dopo, su La Stampa del 13 maggio: «L’idea che si immagini sempre il complotto, la trama, fa pensare che non possa esistere la normalità; è come se non si riuscisse a concepire che in Italia c’è chi lavora autonomamente.
Noi giornalisti non siamo dipendenti della politica. Semmai questo è un atteggiamento proprietario che ha la politica nei confronti dei cittadini».
Che cos’è la normalità, per il giornalista? È non farsi intimidire, non lasciarsi manipolare dalla violenza con cui il presidente della Camera Fini giustifica, in aula, gli attacchi a Di Pietro («dipende da quel che dici»). È lavorare solo per i lettori: via maestra per fabbricarsi gli anticorpi che mancano. "

3 commenti:

studentefreelance ha detto...

Cara erica,innanzitutto grazie per aver espesso la tua domanda al mio post sulle eccellenze da premiare...

La tua domanda è lecita e soprattutto pertinente.

Cosa fare con i bulli?

Mi piacerebbe precisare che non è un fenomeno che ho sottovalutato, anzi, le mie considerazioni fanno anche a loro.

Ho sempre avuto la "fortuna" di stare in classe con ragazzi con problemi sociali a dir poco disastrati, che naturalmente a scuola era scalmanati, non avevano volgia di stare a sentire, erano anche maleducati arroganti..ecc...ecc...

Perchè dico "fortuna"...

Perchè sono stati loro il mio caso di studio, quello su cui mi sono sempre soffermato a pensare...

Io facevo facilemte amicizia con loro, perchè volevo conscere le motivazioni per cui avevano un carattere così da "grandi" alla tenera età di 13-13-14-anni come me!

Quello che posso dirti è: che se le lezioni scolastiche anniavano me, che venivo da una famiglia normale prova ad immaginare quello che potevano pensare loro...

Erano ragazzi che neanche tornavano a casa dopo la scuola, perchè non avevano nessun motivo per farlo...

Era la scuola che doveva capire le loro necessità, paradossalmente , per quanto loro andavano a scuola per fare casino, per loro la scuola era meglio che stare in famiglia...

Loro spaevano che gli altri compagni di classe avevano paura/odio di loro e di questo ne andavano quasi fieri...

Ma tu credi che se avessero avuto modo di partecipare a lavori di gruppo non sarebbero stati meglio?
Io credo di si, e lo dico con consapevolezza, perchè so benissimo che assume comportamenti scorretti a scuola è prima di tutto un ragazzo solo, che ha bisogno di sentirsi dire che è utile alla società, che può essere accettato e NON temuto...

La didattica attuale non prevede questo, al massimo cerca di SEDARE i violenti com MEZZUCCI vari, tesi a stabilire un compromesso con loro....ma non li coinvolge non li attira...La scuola per loro dovrebbe essere l'unica speranza di salvezza prima che il padre lo mandi a calci in culo a lavorare per mangiare...

non sto parlando di storie inventate ma di storie vissute...

E' anche per questo che dico che premiare l'eccellenza della classe non fa altro che sottolineare la distanza tra i vari mondi...perchè è molto probabile che in una classe l'eccellenza sarà un figlio di un professionista benestante, che da la possibilità al figlio di avere maggiori confort, anzichè un poveraccio...Non è la solita retorica , ne tanto meno vorrei essere considerato portatore di un pensiero comunista ormai sbaiadito, sto parlando con il senno di coscienza di tuto quello che ho vissuto nella mia carriera scolastica...di esperienza vera, a contatto con la marginalità, con persone sole,ho sempre cercato didifenderli moralmente, perchè conscevo le loro storie...

I bulli non si "curano" con l'emarginazione o con le punizioni...credimi NON gli fai niente , le punizioni sarebbero per loro un ulteriore motivo di VANTO...perchè è solo per queste cose che possono VANTARSI...
Come quelli che vanno in carcere ed appena escono sono peggio di prima...

Sottolineare che un solo ragazo è più bravo, concludo, non penso serva a nessuno...Sicuramente ilragazzo più impegnato sarà più bravo, ma lo sarà prima di tutto per se stesso, ma se non avrà imparato la cosa più importante, ovvero quella di saper collaborare con altri anche più scadenti di lui,la sua bravura SERVIRà A POCO...

Riuscire a creare lavori e raggoiungere obiettivi comuni rende più responsabili, il premio sarebbe un modo collaborare meglio...LA SUDDVISIONE DI RUOLI è importantissima...

E' naturale che chi sarà più preparato assumerà il ruolo di coordinatore del gruppo, che sarà più bravo a scrivere avràil ruolo diredazione, chi sarà più IRREQUIETO imparerà a saper stare in un gruppo di lavoro se riuscirà ad avere un ruolo per lui utile,anche semplicemnte come supervisore, o magari un lavoro manuale, quello su cui generalemnte sono più portati a fare essendo cresciuti in strada...pertanto usano molto la tecnica manuale, sono dei veri e propri tecnici....

ericablogger ha detto...

tu pensi che quello che hai scritto qui sopra noi non lo facciamo ??? ci sono anche i bulli figli di papà, sai?, e di mammà , che è ancora peggio, perchè sono benestanti iperprotetti e veramente dannosi !!!

marina ha detto...

Io sono molto preoccupata da questo clima di "volemose bene"; antiberlusconismo è diventata una parolaccia, ma forse anche opposizione lo è diventata!
marina