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martedì 12 maggio 2020

La Mamma di Silvia Romano

Sono due giorni  che il coronavirus è  finito  in secondo piano perché su tutti i giornali e in TV impazzano le polemiche per la liberazione di Silvia Romano, la giovane cooperante milanese rimasta prigioniera della jiad islamica in Somalia per ben 18 mesi, dopo un rapimento che anche allora provocò polemiche, insulti e quant'altro sui social 
La giovane e  stata liberata con il pagamento  di un riscatto, e già questo è  stato motivo di ire funesta,  ma quello che ha scatenato l'ira  di dio, come si suol dire, è  il fatto che è  tornata vestita come una musulmana ( dopo tutto quel tempo non poteva essere diversamente, no ) e che ha candidamente dichiarato di essersi convertita alla religione  di Maometto e di chiamarsi adesso Aisha, come la terza moglie del suddetto.
Dopo  insulti minacce di morte lettere  e chi più  ne ha più  ne metta, Silvia Romano si è  recata dal capo dell'antiterrorismo di Milano, Alberto Nobili 
Lei ha dichiarato di essere serena, ma la madre, assillata dai giornalisti mentre era uscita un attimo da casa,  ha detto solo una cosa, la stessa che ho pensato io quando ho visto la foto della giovane tutta intabarrata in quel lungo pastrano verde che le ricopriva anche il capo : " Chiunque finisce in quei posti li,  si converte",
Donna saggia, la mamma di Silvia. E posso immaginare l'angoscia di questa famiglia che per mesi non ha avuto notizie della ragazza e poi al suo ritorno si sono ritrovati in mezzo a questa bagarre da circo equestre del solito branco di affezionati insultatori sputa sentenze che devono sempre dire la loro su tutto e su tutti, spargendo veleno e cattiverie a iosa.
La loro felicità  per aver potuto riabbracciare Silvia è  stata sporcata da tutto  quello  che è  successo nelle ore successive  al suo ritorno in Italia.
Sicuramente anche su di lei calerà  l'oblio di stampa e giornali e i frequentatori dei social avranno altre vittime da prendere di mira, ma un'esperienza  simile non è  da augurare a nessuno, ne a chi è  andata sicuramente  in Africa piena di gioia e di speranza convinta di fare del bene ai piccoli del posto, insegnando loro quello che lei aveva appreso in un paese europeo culturalmente avanzato, e che si è  ritrovata nelle mani di fanatici religiosi che non hanno scrupoli di nessun tipo, uomini che in nome di una religione uccidono e sottomettono senza pietà  interi territori occupandoli con le armi e la violenza. Ne tanto meno la famiglia di chi è  stato rapito per tanti mesi, un tempo infinito per chi ha atteso con ansia notizie senza sapere se era ancora viva o se era stata uccisa senza pietà .
Ricordo il rapimento di Giuliana Sgrena,  la giornalista la cui famiglia vive ancora qui in Ossola, e la sua liberazione traumatica in Iraq. Una donna adulta ed esperta tornata provata il cui viso pieno di angoscia e di disperazione non impedí ai soliti di creare un caos di polemiche a non finire. 
La brillante operazione di quella volta fini  nel sangue, mentre questa è stata un successo per il capo di Governo Conte e per Di Maio , che si sono recati entrambi a riceverla all'aeroporto.  
Forse col senno di poi sarà  venuto loro in mente che forse era meglio farla rientrare in sordina, con un silenzio forse ipocrita, ma sicuramente  rassicurante  per lei e per la sua famiglia?
Io penso spesso a padre Dall'Oglio,  scomparso da anni in quel calderone infernale che era  la Siria in guerra, anche lui rapito mentre si dedicava al benessere di chi era in difficoltà,  e di cui non si è  mai più  saputo nulla.
Mentre Quirico, il giornalista di guerra de La Stampa, entrato clandestinamente in Siria,  fu preso e passato di banda in banda fino alla liberazione.  Un uomo fortunato che però  in quell'occasione rischiò  parecchio e subi parecchio. Vide cose inimmaginabili e quando tornò  dichiarò  in una lunga intervista al giornale torinese, per il quale ancora oggi lavora come reporter di guerra, il suo odio per quegli assassini e farabutti che usano la religione mussulmana come scudo per commettere crimini e nefandezze indescrivibili
Questa volta invece ciò  che più  ha scatenato le menti dei soliti è  stato  il fatto che la giovane  Silvia Romano è  tornata  sorridente, apparentemente felice, ben vestita e per nulla sciupata o terrorizzata.
E allora apriti cielo, impiccatela,  arrestatela e tutto il resto del repertorio  becero di un certo mondo di  internet e dintorni
Oggi pomeriggio  io ho accolto il messaggio di Amnesty International  Italia ed ho inviato un breve pensiero a Silvia. Le ho augurato di ritrovare la pace e la tranquillità con la sua famiglia e con chi le vuole bene
E spero il più  presto  possibile perché  non sarà  di certo facile e semplice per lei dimenticare ciò  che le è  successo in Africa, comunque sia andata.
A quell'età si è  ancora giovani e se non si ha un carattere forte, da guerriere,  in un modo o nell'altro si soccombe e si subisce tutto pur di non impazzire, umiliate e calpestate dall'odio di uomini che ci odiano a morte
Perché  siamo europei e cattolici
A questo forse dovrebbero pensare tutti quelli che si sono scagliati contro Silvia e dovrebbero pure riflettere sul fatto che noi europei siamo stati vittime negli ultimi anni  di attacchi terroristici a casa nostra. In Francia, in Inghilterra, in Belgio ....fino al devastante attacco delle Torri gemelle a New York nell'ormai lontano 2001. Menti bacate che ci odiano ed odiano il nostro modo di vivere, odiano noi donne libere intelligenti e non succubi, odiano la nostra religione, ben più  antica della loro, ma con tante analogie , da alcune feste a tanti versetti del Corano, dove si ritrovano pensieri positivi come nella Bibbia di Cristiani ed Ebrei 
 F

sabato 6 maggio 2017

Difficoltà per gli anziani con il CUD

Genova - Alla sede centrale, in piazza della Vittoria, si presentano ogni giorno più di cento persone. Tante altre bussano invece alle quattro sedi periferiche. Obiettivo di tutti, ottenere la sospirata Certificazione unica. Essenziale per la dichiarazione dei redditi ma, come accaduto l’anno scorso, l’Inps non invia più il documento al domicilio dei pensionati.
Al contrario, occorre attivarsi per ottenerla. E se le modalità sono a onor del vero numerose, è quella più alla portata di tutti a zoppicare, ossia la richiesta allo sportello, preferita da un numero sempre molto alto di persone. Una procedura che si rivela in molti casi più ostica del necessario.
Nonostante l’estrema semplicità dell’operazione, infatti - si tratta di digitare i dati dell’interessato quindi stampare un documento - a diversi pensionati o loro delegati è stato richiesto di tornare più volte. All’apparenza perché una procedura sulla carta ragionevole, pensata per abbattere le code, è stata rigidamente applicata a tutti. «L’ufficio era vuoto - segnala un utente al Secolo XIX - eppure, senza che fosse data alcuna altra possibilità, mi è stato presentato un modulo da compilare per prenotare il ritiro la mattina successiva. Il problema è che nemmeno il giorno dopo la Certificazione era disponibile. Così, è servita una terza visita per risolvere». da Il Secolo XIX
Leggendo questo articolo mi è venuto spontaneo pensare che anche online non è stato semplice riuscire ad ottenere il sospirato documento, ex CUD perché attualmente si chiama modello unico.
Ho dovuto richiedere un nuovo Pin per entrare a cercare il documento per mia mamma, di anni 93 !
Mi sono arrivati subito sul cellulare i primi otto numeri ma gli altri otto che dovevano pervenire via email si sono fatti attendere un bel po'.
Dopo alcune ore ho riaperto il computer e finalmente ho trovato la sospirata mail . Sono andata nella pagina del sito Inps, ho inserito il codice fiscale di mia mamma, i 16 numeri prestando attenzione a non sbagliare e finalmente sono entrata...
beh non proprio e non subito perché ho dovuto salvare i numeri effettivi comparsi su una piccola scheda salvabile o stampabile del nuovo Pin, rifare l'operazione con questo pin ed arrivare alla pagina di mia mamma...
Dove ho trovato una bella sorpresa. Eh sì ... il sito ha cambiato tutto e non ha ancora inserito un bel nulla. Era tutto vuoto, non c'erano i mesi con i dati riguardanti le cifre effettive della sua pensione. Non c'era niente altro. Se cliccavo compariva la scritta che annunciava che presto avrebbero reinserito tutti i dati e le notizie personali riguardanti la sua situazione pensionistica
Naturalmente non c'era neppure il modello unici 2017 ...
Ho dovuto inserire il suo nome e cognome in cerca nella home page del sito e la parola cud 2017 per vedere finalmente comparire le sospirate otto pagine dei suoi redditi annuali dello scorso anno. Ma le pagine erano in formato pdf non salvabile. Si potevano solo stampare!
Ho dovuto spedirle via email alla commercialista e a me stessa per poterle conservare in un file visto che questo portatile non è collegato alla stampante, che si trova altrove con un altro laptop collegato.
Nel mondo dei tablet e dei telefonini di nuovissima generazione, sempre più usati da tutti, anziani autosufficienti compresi, trovare un pdf non salvabile è veramente incredibile.
Dopo aver passato un paio di ore a tribolare alla fine sono riuscita ad avere ciò che mi serviva ma mi sono chiesta come avrebbe fatto un anziano non troppo pratico di pc pin password ecc ecc ad avere il documento online

Il Venezuela come il Cile

 
«Mio figlio, Fernando Caballero Galvez, è stato arrestato alle tre del pomeriggio del 6 aprile, e torturato con scariche elettriche. È ancora detenuto con l’accusa di terrorismo, senza essere stato incriminato in tribunale».
Chi fa questa denuncia è il padre di Galvez, Fernando Caballero Arias, che accusa il governo del presidente Maduro di «violare i diritti umani per restare al potere». Lo incontro a una messa per ricordare i caduti delle proteste in Venezuela, organizzata a Las Mercedes dal Foro Penal Venezolano, una ong di avvocati che difendono gratuitamente i detenuti politici. Il foro accusa il regime chavista di torture, e Arias è disposto a metterci la faccia: «Mio figlio ha 29 anni, e frequenta il quinto anno di Economia alla Universidad Central de Venezuela. Il 6 aprile stava partecipando a una marcia, che passava davanti al Centro Comercial El Recreo, quando ha visto una ragazza caduta a terra per i lacrimogeni. Si è fermato ad aiutarla, ed è stato arrestato dalla Guardia Nacional Bolivariana e della polizia». 
Erano le tre del pomeriggio, e da quel momento è cominciato il calvario di Fernando: «Come prima cosa gli hanno rubato tutto, soldi e cellulare. Verso le sette della sera lo hanno portato nella sede del Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional, Sebin, la polizia politica del regime. Lo hanno pestato con i bastoni, frustato con corde bagnate, e poi torturato con le scariche elettriche. Quindi lo hanno incappucciato e rinchiuso in una cella buia di isolamento. Volevano che confessasse di aver commesso reati, e soprattutto di essere stato spinto a farlo dai leader dell’opposizione. Le torture sono continuate fino alle 4 del mattino, quando lo hanno incappucciato di nuovo per portarlo nelle prigioni del Centro de Investigaciones Cientificas Penales y Criminalisticas, dove è ancora detenuto con l’accusa di terrorismo. Il suo caso è stato assegnato al Tribunal 23 de Control de Caracas, ma il giudice incaricato si è ricusato, e quindi è nel limbo. Detenuto, ma senza incriminazione: potrebbe restare così all’infinito. È una situazione angosciante per noi genitori, ma lui non si perde d’animo. Mi ha detto che è determinato a portare il suo caso alle estreme conseguenze». Arias ha deciso di lanciare questa denuncia, con tutti i rischi che comporta, «perché la comunità internazionale deve sapere cosa accade in Venezuela. Una dittatura ha fatto un colpo di stato istituzionale, quando il Tribunale supremo ha esautorato il parlamento, e ora cerca di restare al potere con la repressione». 

Alfredo Romero, direttore esecutivo del Foro Penal, descrive così la situazione: «Nel mese di aprile sono stati fatti 1.668 arresti, e oltre 600 persone sono ancora in carcere senza essere passate in tribunale. Abbiamo ricevuto oltre cento denunce di torture, che ora stiamo investigando: per confermarle in maniera ufficiale richiediamo il certificato del medico forense. Non sarebbe la prima volta, però. Durante la repressione del 2014 ci furono diversi casi, tra cui quello denunciato anche all’Onu di Juan Manuel Carrasco, violentato con una canna di fucile nell’ano». Tra le denunce sotto inchiesta ci sono quella del professore dello stato di Monagas Joel Bellorin, «torturato e poi messo davanti a una telecamera per registrare la confessione. Si è r
ifiutato, e quindi è stato nuovamente brutalizzato. Nello Stato di Merida invece hanno arrestato un quindicenne, di cui non posso fare il nome perché è minorenne, picchiato con i bastoni nello stomaco». 
La repressione sta diventando sempre più brutale: «La Guardia nazionale ormai usa i lacrimogeni per sparare sui dimostranti. Così hanno ucciso Juan Pernalete e ferito Jolita Rodriguez». Le torture più ricorrenti, secondo Romero, sono «le scariche elettriche, le bastonature, le minacce di violenza sessuale, che nel caso delle donne sono costanti». Gli arresti sono diventati selettivi: «Sono andati a prendere a casa un blogger che dava fastidio. Fanno le retate alla fine delle manifestazioni, prendendo anche persone estranee alla protesta, proprio perché sono più impreparate e deboli. Lo scopo è costringerle a confessare, ma soprattutto ad accusare i leader dell’opposizione, così poi vanno ad arrestarli sulla base di queste accuse estorte con la tortura». 
A marzo è stata scoperta anche una fossa comune, nel carcere della Penitenciaria General de Venezuela a San Juan de los Morros: «Non era legata alle proteste, ma dimostra lo stato del sistema. Il governo lascia che le mafie gestiscano le prigioni, e quando si ammazzano tra loro li butta nelle fosse comuni. Speriamo che questi metodi non vengano applicati anche ai detenuti politici». da La Stampa online
 
Ho sempre poco tempo a disposizione ma sfogliando velocemente la pagina online del quotidiano torinese mi sono venuti i brividi a leggere questo articolo. Il Venezuela come il Cile dei desaparecidos di molti anni fa, una dittatura terrificante e barbara che distrusse le vite di tanti giovani uomini e donne che si opponevano al regime militare di allora ed al suo colpo di stato che aveva abolito la democrazia in un paese fino ad allora libero
In Venezuela vivono molti figli nipoti e pronipoti di emigranti italiani che andarono in sud America per trovare un lavoro ed un benessere economico che qui non c'era.
Auguriamoci che la comunità internazionale accolga il messaggio dei venezuelani e cerchi di intervenire per far sì che cessino in fretta le torture e la disperazione dei familiari delle persone ingiustamente imprigionate

domenica 14 febbraio 2016

Ipocrisia e compromessi

La nostra cecità e la nostra ipocrisia sono il frutto dei troppi compromessi che abbiamo accettato in nome del realismo e degli imperativi della geopolitica. 

di Pierluigi Battista, da il Corriere della Sera 7 febbraio 2016 

Che al Cairo spadroneggiassero gli squadroni della morte, gli egiziani non hanno purtroppo dovuto aspettare il martirio di Giulio Regeni per saperlo. I ciechi eravamo noi, con la nostra accondiscendenza per un regime oppressivo e dispotico, ma che tutti sentiamo come un argine al fanatismo jihadista dei Fratelli Musulmani. È la contraddizione dell’Occidente: non rompere i rapporti con le tirannie per scongiurare il pericolo maggiore incarnato dall’Isis. Perciò facciamo finta di non vedere le torture nelle segrete del Cairo. Ignoriamo gli impiccati che nelle grandi piazze di Teheran pendono dalle gru, solo perché erano dissidenti, o omosessuali. Non vogliamo capire che gli ultimi disperati in fuga da Aleppo in Siria scappano dagli orrori provocati da Assad, stavolta. Mettiamo il velo sulle nostre ipocrisie e sulle nostre convenienze. E ci risvegliamo solo quando a essere colpiti siamo direttamente noi.

Questa cecità è il frutto dei troppi compromessi che, in nome del realismo e degli imperativi della geopolitica, sono stati in questo drammatico frangente storico, il terreno di cedimento sui valori della democrazia, della libertà, del rispetto dei diritti umani fondamentali. Abbiamo liquidato come fisime da «anime belle», debolezze idealistiche che non tengono minimamente conto delle rudi leggi dell’economia e della politica internazionale, le preoccupazioni sulla terrificante ferocia di chi è nostro «alleato» nella battaglia contro i decapitatori schiavisti del Califfato.

Ogni tanto ci risvegliamo. Certo, quaranta esecuzioni esibite in Arabia Saudita sono veramente un orrore indigeribile, specialmente all’inizio dell’anno, ma per non più di 24 ore di indignazione. Certo, 17 miliardi sono una cifra sufficiente per occultare la repressione che regna in Iran, ma che vergogna, almeno per un giorno. Certo, fa impressione la spaventosa quantità di morti ammazzati, oltre 250 mila in pochi anni, da parte delle truppe di Assad, spalleggiato da un altro campione democratico come Putin. Ma vuoi mettere il realismo della necessità? Vuoi mettere quanto sia più importante della democrazia e dei diritti umani violati la guerra globale contro il Califfo? Vuoi mettere il «male principale» contri questi mali «secondari» di cui in fondo fanno le spese solo loro, non noi?

Qualche volta, però, l’orrore arriva a colpire anche noi. Un nostro ragazzo, un ricercatore curioso e intelligente come Giulio Regeni viene trucidato in circostanze ancora non del tutto chiarite e siamo colpiti da uno choc, costretti a vedere ciò che volevamo nascondere. Travolti dall’orrore. Feriti dalla truculenza che speravamo non macchiasse la nostra algida indifferenza verso le tante vittime di una repressione che miete vittime ogni giorno. Era imbarazzante ammettere che il regime non fondamentalista che oggi è al potere al Cairo sia il frutto di un colpo di Stato: forse provvidenziale, ma pur sempre un colpo di Stato. Che gli squadroni della morte sono in piena funzione in Egitto. Che la tortura è pratica diffusa come ai tempi di Mubarak, forse anche di più. Che migliaia e migliaia di Fratelli Musulmani, i nostri nemici più sanguinari, come negarlo?, sono stati condannati a morte con processi farsa, senza che un fiato si sollevasse da chi nel mondo occidentale si oppone con ammirevole coraggio contro la pena capitale.

Cercavamo di non dire che il dissenso non è tollerato al Cairo. Che la democrazia non è stata esportata in Egitto. E allora, non si può far altro che sostenere questo regime? Basta saperlo. L’importante però, per una questione di pudore, è non indignarsi solo nei giorni comandati, solo quando a essere vittima è un italiano di cui andiamo giustamente orgogliosi. Altrimenti sembra che quando la mannaia si abbatte sugli «arabi», allora è meglio tacere. Che fine ingloriosa, per la retorica dei valori universali e dei diritti fondamentali.

Quei regimi sono oppressivi e liberticidi, sempre, anche quando voltiamo la testa dall’altra parte. Ascoltate quello che dicono gli scrittori iraniani, sul giro di vite repressivo che accompagna anche le «aperture» della nuova dirigenza moderata. Ascoltate le donne di Teheran: l’oppressione di genere è e resta feroce, anche quando l’Europa non sembra volersene accorgere e si appresta a fare cospicui affari sull’onda dell’accordo che mette fine alle sanzioni contro l’Iran. Non è cambiato molto: siamo noi che abbiamo cambiato punto di vista e abbiamo deciso che per tenere e bada il mostro del Califfato bisogna rinnegare tutto ciò che è stato detto negli anni precedenti.

E le immagini di questi giorni dell’esodo da Aleppo? Quelle colonne di profughi si allontanano dall’orrore dei bombardamenti, non dell’Isis bensì dei grandi protettori del regime di Assad. Quando arriveranno qui, dopo peripezie, annegamenti, un’odissea terribile che ci commuoverà per qualche ora come è accaduto con l’immagine del piccolo Aylan, la cui famiglia disperata era in fuga contemporaneamente dall’Isis e dalla dittatura di Damasco, non avremo chiaro esattamente la rotta di chi scappa. Non vorremo capire bene che stavolta sono i nostri alleati . Siamo sopraffatti dalla potenza delle immagini del dolore e della sofferenza ma non possiamo dedurne che a causare questo dolore e questa sofferenza sono i nostri alleati, gli alleati degli alleati, gli amici degli amici.

Ecco la grande ipocrisia in cui si dibatte l’Occidente, l’Europa politicamente inesistente e verbosa, gli Stati Uniti ondivaghi e impotenti. Ecco il dilemma atroce di cui siamo prigionieri: reagire con forza ai soprusi di regimi in cui si può morire nei modi in cui è stato ucciso Giulio, tenere alta la bandiera dei diritti umani fondamentali, oppure tacere, minimizzare, accettare la convivenza coatta con regimi oppressivi nel nome della battaglia comune al Male assoluto rappresentato dal Califfato. Ma allora l’indignazione è meglio ripiegarla. Per dignità. Per non far finta di credere all’intangibilità di valori che ignoriamo tutte le volte che ci conviene. Cioè quasi sempre."

Un articolo bellissimo che ha espresso al meglio quello che io troppo spesso, ultimamente, penso quando sfoglio le pagine del quotidiano, che grondano di notizie orribili di morti e di stragi 


Orgoglio italiano

"di Paolo Flores d'Arcais  7 febbraio 2016
da Micro Mega "
La parola “orgoglio” associata a “Italia” è stata sproloquiata da Matteo Renzi in tutte le occasioni possibili e inimmaginabili: dall’Expò di Milano all’inaugurazione dello Skyway sul Monte Bianco, dalla vittoria di Paltrinieri nei 1500 stile libero nei mondiali di nuoto (“strepitoso Gregorio, orgoglio Italia” è il twitter palazzochigiesco) al premio Oscar di Sorrentino, dal “decreto banche” al volo in Perù, dal Golden Globe per Morricone agli Us Open tennistici di Pennetta e Vinci, dalla festa dell’Unità di Milano al Job act agli impianti elettrici in Cile alle dighe in Etiopia e a qualsivoglia opera di imprenditori italiani all’estero …

Se di tutto questo orgoglio nazionale sventagliato e twitterato da Renzi urbi et orbi e coram populo come cosa propria c’è una sola oncia che non sia chiacchiera propagandistica per gonzi e giornalisti a bacio di pantofola, la cartina di tornasole sarà (è, ormai da giorni) l’orrenda fine di Giulio Regeni, torturato per giorni in modo efferato nell’Egitto di Al-Sisi e ucciso spezzandogli l’osso del collo.
Vogliamo anzi esigiamo la verità, tutta la verità, e altro bla bla bla è stata la giaculatoria che sotto la regia di Renzi le autorità italiane stanno biascicando da giorni. Ma quella verità, al netto di qualche dettaglio (i nomi degli esecutori) è lapalissiana, la scrive il Corriere della Sera, la scrive la Stampa, la scrive la Repubblica, la sanno anche i bambini e la capiscono i sassi, gli scherani di Al Sisi in forma di polizia politica del regime dittatoriale egiziano sono gli autori dei mostruosi giorni di tortura lenta e inenarrabile per strappare al collaboratore del Manifesto i nomi dei suoi contatti nei sindacati indipendenti invisi ai militari al potere.

Ora, un governo che possieda orgoglio nazionale, dopo aver mandato i suoi inquirenti in Egitto, al primo depistaggio di Al Sisi richiama l’ambasciatore, al secondo rompe le relazioni diplomatiche, altrimenti vuol dire che per orgoglio intende chinare il capo al giogo della presa per il culo, giogo che non può essere tollerato come gioco. E il primo di depistaggio c’è già stato, con la pantomima oscena dell’arresto di due criminali comuni (seguirà confessione) dopo aver inizialmente parlato di incidente d’auto, il secondo è in pieno corso col muro di gomma ormai in atto.

Del resto Renzi il reato di tortura si è ben guardato dall’introdurlo nell’ordinamento italiano. Non gli faremo il torto di ricordare l’adagio “cane non morde cane” perché sappiamo che i morti per tortura di polizia in Egitto si contano a centinaia e forse migliaia, in Italia sulle dita di una mano.

Dirà qualcuno: ma a rompere le relazioni diplomatiche si rovinano gli affari (opulenti, com’è noto: 30 mila pistole Beretta alle polizie di Al Sisi, tanto per cominciare). Allora si smetta di parlare di orgoglio nazionale, e meno che mai di diritti umani, e la politica renziana dichiari papale papale i suoi principi non negoziabili: in nome del profitto tutto è lecito a chiunque, e chi si mette in mezzo pace all’anima sua, se l’è cercata."

Non posso che condividere le parole di Flores d'Arcais
Quando se ne andrà il rottamatore, che non abbiamo votato e che dobbiamo vedere ogni giorno esibirsi ovunque , ahimé ?
Una preghiera per Giulio Regeni che per la libertà e la democrazia è stato ucciso in un paese non libero e non democratico 

mercoledì 25 marzo 2015

Poveri Lupi

Ieri pomeriggio ho seguito le notizie e le immagini choccanti di France 24 sull'incidente aereo dell' Airbus di Germanwings 
Il mistero dell'aereo partito da Barcelona e caduto sulle montagne alpine francesi dell'alta Provenza tra Digne e Barcelonnette con 150 persone a bordo, dopo una discesa di quasi 10 minuti, da 38 000 metri ai 2000 metri circa, dove planando si è schiantato e disintegrato completamente, continua a restare insolubile anche oggi 
Ma ecco cosa ho letto in un articolo sulla prima pagina de La Stampa :
" Sulla montagna in cerca dei resti: “Bisogna arrivare prima dei lupi” 
di NICCOLÒ ZANCAN
INVIATO A LE FERNET (FRANCIA)
L’unica strada per il disastro è uno sterrato lungo cinque chilometri. Alla guida di questa Jeep gialla 4x4 c’è Bernard Mollet, il maestro di sci più esperto del paese. Prima di mettere in moto, aveva detto: «Lassù, a quota 1480, sul Col del Mariaud, ci sono solo cascine abbandonate, alpeggi e lupi. I vostri lupi italiani...».... "
Non avevo mai sentito nominare M Mollet ma sinceramente ho provato un certo orrore nel leggere cosa ha dichiarato al cronista italiano il maestro di sci più esperto del paese sui poveri lupi " italiani" che vivono nel vicino parco del Mercantour, tra la Francia del Sud e le Alpi del  Cuneese
I lupi sono tornati sulle Alpi da parecchi anni, ormai, introdotti da progetti ma anche giunti da varie zone europee dopo lunghi vagabondaggi per le montagne europee
I lupi vivono in branchi e  cacciano insieme 
Spesso attaccano i greggi di pecore ed uccidono anche diverse bestie alla volta causando gravi danni ai pastori che vivono d'estate in montagna e che chiedono alle autorità di prendere provvedimenti contro queste " bestie feroci" 
Ma i lupi sono animali diffidenti e, con il rumore degli elicotteri che sorvolano la montagna della tragedia, con gli uomini dei soccorsi che si aggirano lungo i pendii alla ricerca dei pezzi dell'aereo caduto e dei corpi delle persone decedute, con tutte le persone che nella vallata in basso si aggirano rumorosamente, non saranno di certo intenzionati ad avvicinarsi a quei luoghi così frequentati ed ai resti di chi è morto nell'aereo 

Poveri lupi, una volta ancora sono stati tirati in ballo per essere denigrati e diffamati !
Povere bestie, non sono teneri ed innocui cagnolini da salotto, ma sono intelligenti e sanno che non è mai il caso di avvicinarsi a quegli strani esseri a due gambe che si chiamano uomini, così pericolosi e talvolta così stupidi  da fare previsioni totalmente idiote...
In circostanze così tragiche sarebbe stato molto meglio non nominarli proprio, quei lupi,  evitando ulteriore allarmismo ed incertezza all'angoscia profonda che già è scesa su noi tutti nel vedere quelle immagini terribili di piccoli frammenti disintegrati di corpi e di  metalli sparsi per ettari lungo i crinali di una  grande montagna isolata ed impervia !
Al mistero ed al dolore non desideriamo sicuramente veder affiancate anche le sciocchezze e le superstizioni di chi crede che i lupi siano un pericolo, dando la colpa a noi Italiani di averli lasciati liberi anche in Francia....

Le due immagini di questo post sono state trovate in Internet da Erica . Sono splendide e mettono in evidenza la fierezza e la bellezza di questi animali

mercoledì 18 marzo 2015

"Chi ha deciso di dare una medaglia a un ufficiale fascista?"

"Chi ha deciso di dare una medaglia a un ufficiale fascista?": dichiarazione del Presidente Nazionale ANPI

Ho appreso dalla stampa la notizia della consegna di una medaglia, in una sala della Camera dei deputati, dove si trovavano anche il Presidente della Repubblica e la Presidente della Camera, ad un fascista della Repubblica di Salò: Paride Mori. La notizia appariva così incredibile (e grave) che sono stato lieto di apprendere, da una dichiarazione emanata dalla Presidenza della Camera, che la Presidente Boldrini non aveva dato alcun premio, né aveva in alcun modo concorso ad individuare il nome del “premiato” tra quelli meritevoli di onorificenza (sono parole pressoché testuali del comunicato della Presidenza della Camera).
Altrettanto credo sia accaduto per il Presidente Mattarella, ma non è possibile anticipare nulla al riguardo, finché non ci sarà qualche comunicazione da parte del Quirinale.

Di certo, un’onorificenza è stata consegnata dal Sottosegretario Del Rio e dunque a nome della Presidenza del Consiglio. Anche il Sottosegretario ignorava tutto? Sembrerebbe impossibile; comunque, chi ha proposto e deciso quella onorificenza proprio nell’anno del 70° anniversario della Resistenza? A quali criteri ha obbedito la speciale Commissione che valuta per la Presidenza del Consiglio le onorificenze? È veramente difficile accontentarsi della prospettazione di un “errore”, a fronte di situazioni che imporrebbero una vera sensibilità democratica.

Pensiamo che su questo debba essere fatta chiarezza assoluta ed al più presto. Altrimenti dovremmo pensare che la Presidenza del Consiglio, che si propone di celebrare il 25 aprile e il 70° è disponibile, al tempo stesso, a riconoscere “i meriti” di chi militò dalla parte della dittatura, del fascismo, della persecuzione degli ebrei, degli antifascisti e dei “diversi”. Davvero, tutto questo appare inconcepibile; l’ANPI attende, comunque, chiarimenti precisi e definitivi e, soprattutto, che ognuno si assuma le responsabilità che gli competono. Dopo di che, prenderemo – a ragion veduta – le nostre posizioni di antifascisti e di combattenti per la libertà, che non conoscono né tentennamenti né ambiguità, ma si riconoscono nella vera storia del nostro Paese e nella Costituzione che lo regola e pretendono che altrettanto facciano le istituzioni
CARLO SMURAGLIA
Presidente Nazionale ANPI
Roma, 16 marzo 2015

Ho letto anch'io la notizia sul quotidiano e sono rimasta attonita 
Che anche questo governo stia iniziando a fare cose strane è da un po' che lo penso, ma arrivare a dare una medaglia ad un fascista è grave 
Mio padre , IMI per due anni nei campi di sterminio di Hitler, non c'è più, ma mia mamma che tra due settimane compirà 91 anni, ricorda ancora , e molto bene, cosa hanno fatto i fascisti che erano negli uffici sequestrati della Ferriera Cobianchi a Omegna, dove lei era impiegata, e tutto quello che ha visto quando andava di notte con le suore in ospedale a curare i feriti, i partigiani nascosti. 
 Questo episodio mi fa rabbrividire per la leggerezza con cui si è deciso di dare una medaglia a chi non era di certo dalla giusta parte 
Non si può dimenticare cosa era il fascismo e cosa hanno subito i nostri genitori che fascisti non lo erano. Hanno rischiato la vita e le conseguenze di quel terribile periodo li ha accompagnati per tutta la vita, ed ancora li accompagna
Vergogna che il governo non abbia pensato alle conseguenze Vergogna e profonda delusione per noi figli delle vittime del fascismo

mercoledì 7 gennaio 2015

Charlie Hebdo

Oggi era il giorno del rientro a scuola dopo le vacanze natalizie
Una giornata lunga con anche tre ore di lezioni pomeridiane 
Al mio rientro a casa nel tardo pomeriggio ho trovato mia mamma davanti alla TV che seguiva le notizie che arrivavano in diretta dalla Francia 
Notizie agghiaccianti sulla strage fatta in mattinata a Parigi nella sede del giornale satirico Charlie Hebdo
Dodici morti tra cui il direttore del giornale ed altri vignettisti e giornalisti della redazione, due poliziotti  ed il custode del palazzo, ed altri feriti gravi e gravissimi
Immagini terribili di tre uomini in nero con i khalsnikov che hanno ucciso senza pietà
Un attentato alla libertà di parola e al mondo occidentale 
Una follia senza senso come folli sono state tutte le recenti barbare uccisioni in Medio Oriente di giornalisti, fotografi e cooperatori presi prigionieri dall' Isis e da gruppi simili di fanatici intolleranti

JE SUIS CHARLIE 

lunedì 15 dicembre 2014

Don Ciotti al Parlamento europeo

In occasione della Giornata Mondiale contro la corruzione don Luigi Ciotti, presidente di Libera e Gruppo Abele e ispiratore della  campagna Riparte il futuro, ha presentato al Parlamento europeo l’agenda di priorità per l’Europa contro la corruzione il crimine organizzato.
  “Mi stupisco di chi si stupisce di quello che è accaduto a Roma- ha dichiarato don Luigi Ciotti facendo riferimento all'inchiesta Mafia Capitale- Ho stima e riconoscenza per la magistratura e le forze investigative: i magistrati hanno fatto qualcosa di fondamentale aggiungendo al problema della corruzione l’aggravante mafiosa”. 
“La procura di Roma ha inserito il 416 bis che individua nel nostro Paese i reati di stampo mafioso. Per concretizzare il reato non è necessario il controllo del territorio attraverso la violenza bruta, sparando e minacciando. Questa non è una mafia con la lupara”, dice il presidente di Libera. “La corruzione sottrae denaro che potrebbe essere investito per dare dignità alle persone. Il problema non è solo chi fa il male ma quanti guardano e lasciano passare. È una società che ruba a se stessa”. 
“C’è bisogno  che l’Europa imprima quella marcia in più e l’Italia deve riflettere fortemente su tutto questo. Non è stata la stessa Banca d’Italia a parlare di corrotti che siedono regolarmente nei consigli di amministrazione di enti pubblici? Speravamo di avere superato tutto questo. La storia ci dice che può esistere una politica senza mafie ma che non possono esistere mafie senza il concorso della politica”. 
“Già 20 anni fa siamo venuti in Europa a portare dei contenuti e alcuni di loro sono stati recepiti dalle direttive europee  Questi 20 anni sono testimoni di un 'noi': anche se la strada non è semplice ed è in salita siamo testimoni che dei passi definitivi sono stati fatti”. 
“Solo 5 dei 28 Stati Membri dell’Ue hanno una normativa completa sulla corruzione”
E tutelano i whistleblower. 
“Siamo in Europa per sollecitare con rispetto e forza l’Unione”. 
Sono  sei i punti dell’agenda di Libera per colpire il crimine organizzato e il sistema di potere su cui si basa: una normativa europea sui beni confiscati, il 21 marzo come Giornata Europea in memoria delle vittime di mafia, i crimini ambientali, la figura del procuratore pubblico europeo, il riciclaggio. E la proposta per l’Europa di Riparte il futuro, la campagna di Libera e Gruppo Abele contro la corruzione: una direttiva sulla tutela dei whistleblower”,  coloro che decidono di denunciare gli episodi di corruzione a cui si trovano ad assistere sul luogo di lavoro. 

lunedì 8 dicembre 2014

Petizione per Michael Brown


Pass the Michael Brown, Jr. Law to begin equipping police with body cameras
Michael Brown Sr. and Lesley McSpadden

When our unarmed son Michael Brown, Jr. was killed by a Ferguson police officer, our lives were forever changed. We are devastated and profoundly disappointed that the killer of our child will not face the consequence of his actions. 
Many questions remain about what happened leading up to the moment when our son was shot. But had Officer Darren Wilson been wearing a body camera, which are being worn by more and more police departments around the country, there would be no questions.
President Obama recently announced a plan to provide $263 million in federal funding for body cameras and training for local police departments. And if Congress approves this program, it would provide enough money to buy around 50,000 cameras for police officers. We understand that this plan wouldn't equip all police officers, but it is one proposed solution that can help end police brutality in our communities.
We want to work to make a difference and prevent what happened to Michael from happening to others. We're asking Congress to pass the Michael Brown, Jr. Law by approving this plan.
Police departments are already using on-body cameras with amazing success. In the first year after the Rialto Police Department in California adopted the cameras in 2012, the number of complaints filed against officers fell by 88 percent compared with the last year. More importantly, the use of force by officers fell by almost 60 percent.
This is a plan that we believe is a positive step for our country to begin to heal. It's a common sense measure that will save lives, and protect both civilians and police. Join with us in our campaign to ensure that every police officer working the streets in this country wears a body camera.
Let's come together to help move our country forward. Let's make a difference

Per firmare la petizione andate qui 

Lettera a
U.S. House of Representatives
U.S. Senate

Police brutality is not a Democrat or Republican issue, it’s not ‘black’ or ‘white’ issue, it’s a wrong and right issue. With claims of police brutality and excessive force at an all-time high, we must have the capability to monitor the activity of law enforcement. Equipping police officers with body cameras is a common sense measure that will save lives, and protect both civilians and police. It has been shown that the presence of body cameras on police helps reduce claims of excessive force and brutality, lowering the need for costly litigation. We join with Lesley McSpadden and Michael Brown, Sr. in asking that you pass the Michael Brown, Jr. Law to begin equipping law enforcement with body cameras.

sabato 8 novembre 2014

Profanazione

 COMUNICATO  ANPI PROVINCIALE DI MILANO

ESECRAZIONE ANPI  DI MILANO PER LA PROFANAZIONE DEL SACRARIO DEL SAN MARTINO CUVEGLIO 

L’ANPI Provinciale di Milano esprime la sua profonda esecrazione per la profanazione del Sacrario del San Martino, avvenuta sabato 1 novembre 2014.
I militanti neofascisti che si sono persino fatti fotografare hanno piantato nel terreno duecento rune in legno e, al posizionamento delle rune, hanno aggiunto la svastica e il fascio littorio.

Questa oltraggiosa e ignobile azione che si pone in aperto contrasto con i principi su cui si fonda la Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza, offende i combattenti e i caduti della battaglia del Monte San Martino, tra cui il colonnello Carlo Croce, insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria. La battaglia del San Martino, del novembre del 1943, alla quale parteciparono numerosi combattenti milanesi, costituisce uno dei primi e significativi esempi di opposizione all’occupazione nazifascista e viene  ricordata come l’episodio che diede inizio alla lotta partigiana nel Nord Italia.

L’ANPI Provinciale di Milano manifesta la sua preoccupazione per il rifiorire di movimenti neonazisti e neofascisti nel cuore dell’Europa e nel nostro Paese che si contrappongono ai valori della libertà, della solidarietà, della pace, della tolleranza, su cui è fondata la nostra civiltà.

Mentre ritiene indispensabile sviluppare, per contrastare i rigurgiti neofascisti e neonazisti, una vasta controffensiva sul piano ideale, culturale e storico, chiede l’intervento delle istituzioni e delle autorità competenti e l’applicazione della legislazione vigente perché episodi vergognosi come quelli della profanazione del Sacrario del San Martino non si debbano più ripetere.
Milano, 3 Novembre 2014

Roberto Cenati
Presidente ANPI Provinciale di Milano  

giovedì 30 ottobre 2014

Concerto neonazista nel sud-ovest milanese

Comunicato ANPI

Le autorità impediscano il concerto neonazista nel sud-ovest milanese

L'ANPI Provinciale di Milano esprime la sua profonda preoccupazione ed indignazione per l'annunciato concerto di gruppi neonazisti provenienti da diversi paesi europei che dovrebbe svolgersi il primo Novembre 2014 nel territorio del sud-ovest milanese, a pochi chilometri da Milano, Città Medaglia d'Oro della Resistenza.

Il raduno si pone in aperto contrasto con i principi sanciti dalla Costituzione repubblicana nata della Resistenza di cui ricorre il settantesimo anniversario e si contrappone nettamente, per la sua carica antisemita, xenofoba e razzista  ai valori della nostra civiltà fondata sugli ideali nati con la rivoluzione inglese, francese e con il movimento operaio, che sono poi i valori della libertà, dell’uguaglianza, della solidarietà, della pace.

Mentre chiamiamo gli antifascisti e i cittadini alla massima vigilanza democratica, chiediamo alle Istituzioni e alle autorità competenti di intervenire per impedire  che queste inaccettabili e provocatorie iniziative, che si pongono in aperta violazione della Costituzione e delle leggi vigenti, possano aver luogo nei Comuni della nostra Regione, il cui contributo per la liberazione del nostro Paese dal nazifascismo e per la costruzione di un mondo migliore è stato elevatissimo.

Roberto Cenati
Presidente ANPI Provinciale di Milano

ASSOCIAZIONE NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA
Comitato Provinciale di Milano
Via San Marco, 49 - 20121 Milano
Ente Morale – Decreto Luogotenenziale n. 224 del 5 aprile 1945 - C.F. 80156470157
Tel.: 0276023372 - 0276023373 - 0276020620 - Fax 02784675 - 0289879983
e-mail: anpi.milano@tiscali.it - web: http://anpimilano.com/

domenica 4 maggio 2014

Petizione al Ministro Alfano

" Federico Aldrovandi è morto il 25 settembre 2005, a soli 18 anni. Quel giorno il corpo di Federico è rimasto sulla strada dalle 6 di mattina alle 11, quando la polizia avvisò i genitori. Federico era sfigurato dalle percosse e sui suoi vestiti si aprivano larghe macchie di sangue. I poliziotti, poi condannati in via definitiva per eccesso colposo in omicidio colposo tentarono di depistare, dicendo che Federico si era ferito da solo sbattendo la testa contro i pali della luce. Eppure adesso sono tornati in servizio, dopo aver provocato ben 54 lesioni sul corpo di Federico portandolo alla morte.
I medici hanno dichiarato che Federico aveva lo scroto schiacciato, una ferita lacero-contusa alla testa e numerosi segni di percosse in tutto il corpo.
Hanno ucciso a mani nude e con i manganelli un ragazzo di 18 anni. Hanno aspettato 6 ore per avvisare la famiglia. Hanno disinformato, omesso, mentito. A causa dei depistaggi hanno avuto una condanna per un omicidio che di colposo non ha niente. La sicurezza dei cittadini non può essere affidata a chi si è reso responsabile di questo orrore.
Chiediamo pertanto che quei poliziotti non siano mai più nella posizione di poter fare ancora ciò che già hanno fatto.
Non hanno mai chiesto scusa, non si sono mai mostrati addolorati per aver tolto la vita a Federico. Ora possono tornare, armati, a svolgere un servizio istituzionale delicato come quello della gestione dell’ordine pubblico. Ciò è ingiusto.
Dobbiamo continuare a pensare che un'altra polizia è possibile. Dobbiamo continuare a pensare che mai più un cittadino possa subire un controllo di polizia così brutale da esserne ucciso e possa entrare in contatto con apparati così reticenti e omertosi da depistare e insabbiare le indagini. 
Chiediamo di sapere quale sia stato l’esito del procedimento disciplinare a carico dei quattro poliziotti. Chiediamo che vengano disarmati e messi nelle condizioni di non nuocere più ad alcuno. Chiediamo che sia loro impedito di svolgere funzioni di ordine pubblico e di sicurezza e chiediamo che siano applicati esclusivamente a funzioni amministrative e che svolgano un servizio che non preveda, né ora né mai, alcun contatto con il pubblico.
Luigi Manconi via Change.org " Membro della 4ª Commissione permanente (Difesa) del Senato
Presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani

È importante. Puoi firmarla anche tu? Qui c'è il link 

domenica 27 aprile 2014

Manifestazione nazionale ANPI

L'ANPI Nazionale ha organizzato per martedì' 29 aprile 2014 alle ore 16.30 presso il Teatro Eliseo, Corso Nazionale (vicino a piazza Esedra) Roma, una importante Manifestazione pubblica sul progetto di riforma costituzionale ed elettorale all'esame del Parlamento.

Interverranno:CARLO SMURAGLIA, LORENZA CARLASSARE, STEFANO RODOTA’, GIANNI FERRARA  

L'iniziativa vuole lanciare l'allarme contro un progetto che, unendosi alla legge elettorale come quella che è' stata approvata alla Camera ed al proposito di irrobustire i poteri del Presidente del Consiglio e del Governo, si risolverebbe in una ulteriore e grave riduzione degli spazi di democrazia, che subiscono da tempo una lenta ma progressiva erosione e che, invece, l'ANPI considera intangibili, alla luce dei principi e dei valori costituzionali

“Riforme, rappresentanza, coerenza costituzionale nel cambiamento: una questione democratica”
Antifascisti e democratici insieme per lanciare l’allarme contro un progetto che, unendosi ad una legge elettorale come quella che è stata approvata alla Camera ed al proposito di irrobustire i poteri del Presidente del Consiglio e del Governo, si risolverebbe (oltretutto) in una ulteriore e grave riduzione degli spazi di democrazia, che subiscono da tempo una lenta ma progressiva erosione e che, invece, l’ANPI considera intangibili, alla luce dei princìpi e dei valori costituzionali.
Troviamoci insieme con la voce delle radici, di quell’antifascismo e di quella Resistenza da cui la democrazia ha preso le mosse e da cui non è possibile prescindere.  www.anpi.it

Il Comitato nazionale dell’ANPI rileva che:
- l’indirizzo che si sta assumendo nella politica governativa in tema di riforme e di politica istituzionale non appare corrispondente a quella che dovrebbe essere la normalità democratica;
- si sta privilegiando il tema della governabilità (pur rilevante) rispetto a quello della rappresentanza (che è di fondamentale e imprescindibile importanza)
- si continua nel cammino - anomalo - già intrapreso da tempo, per cui è il Governo che assume l’iniziativa in tema di riforme costituzionali e pretende di dettare indirizzi e tempi al Parlamento;
- un rinnovamento della politica e delle istituzioni è essenziale per il nostro Paese, come già rilevato nel documento dell’ANPI del 12 marzo 2014;
- sono certamente necessari aggiustamenti anche del sistema parlamentare, così come definito dalla Costituzione, rispettando peraltro non solo la linea fondamentale perseguita dal legislatore costituente, ma anche le esigenze di centralità del Parlamento, della rappresentanza dei cittadini, del controllo sull’attività dell’Esecutivo, delle aziende e degli enti pubblici, in ogni loro forma e manifestazione;
- in questo contesto, è giusto superare innanzitutto il cosiddetto bicameralismo “perfetto”, fondato su un identico lavoro delle due Camere e quindi, alla lunga, foriero anche di lungaggini e difficoltà del procedimento legislativo; ma occorre farlo mantenendo appieno la sovranità popolare, così come espressa fin dall’art. 1 della Costituzione e garantendo una rappresentanza vera ed effettiva dei cittadini, nelle forme più dirette;
- il Senato, dunque, non va “abolito”, così come non va eliminata l’elezione da parte dei cittadini della parte maggiore dei suoi componenti; possono essere individuate anche forme di rappresentanza di altri interessi, nel Senato, come quelli delle autonomie locali, della cultura, dei saperi, della scienza; ma in forme tali da non alterare il delicato equilibrio delle funzioni e della rappresentanza;
- la maggior parte dell’attività legislativa può ben essere assegnata alla Camera, così come il voto di fiducia al Governo; ma individuando nel contempo forme di partecipazione e tipi di intervento da parte del Senato, così come previsto in molti dei modelli già esistenti in altri Paesi;
- in nessun modo il Senato può essere escluso da alcune leggi di carattere istituzionale, nonché dalla partecipazione alla formazione del bilancio, che è lo strumento fondamentale e politico dell’azione istituzionale e dei suoi indirizzi anche con riferimento alle attività di Autonomia e Regioni;
- tutto questo può essere realizzato agevolmente, anche con una consistente riduzione di spese, non solo unificando la gran parte dei servizi delle due Camere, ma anche riducendo il numero dei parlamentari, sia della Camera che del Senato, vista l’opportunità offerta dalla differenziazione delle funzioni;
- bisogna anche dire che concentrare tutti i poteri su una sola Camera, per di più composta anche col premio di maggioranza, lasciando altri compiti minori ad un organismo non elettivo, con una composizione spuria e fortemente discutibile ed obiettivi e funzioni altrettanto oscure, non appare rispondente affatto al disegno costituzionale, dotato di una sua intima coerenza proprio perché fatto di poteri e contropoteri e di equilibri estremamente delicati; un disegno che in qualche aspetto può – e deve – essere aggiornato, ma non fino al punto di stravolgere quello originario.

Queste sembrano, all’ANPI, le linee fondamentali di un cambiamento democratico delle istituzioni, che esalti il ruolo del Parlamento, rafforzi la rappresentanza dei cittadini in tutte le sue espressioni, ed assegni ad ognuna di esse il ruolo che le compete secondo gli orientamenti generali della Carta Costituzionale e le esigenze della democrazia, da perseguire con economicità di spesa ed efficienza dei risultati.
Appare, altresì, pacifico che deve essere riformato il titolo V della Costituzione, procedendo ad una più razionale ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, che elimini ragioni di conflitto e consenta agli organi centrali dello Stato di esprimere una legislazione di pieno indirizzo su materie fondamentali per tutto il territorio; definisca compiutamente e definitivamente il ruolo delle Regioni, a loro volta bisognose di riforme sulla base dell’esperienza realizzata dal 1970 ad oggi, che spesso le ha viste diventare altri organismi di centralizzazione dei poteri e le riconduca a funzioni di indirizzo e controllo e non di gestione; nonché precisi in modo conclusivo tutta la materia delle Province e degli enti intermedi, finora risolta con provvedimenti parziali che non sembrano corrispondere ad esigenze di effettiva razionalità e di contenimento delle spese.
Tutto questo richiederà tempi più adeguati, escluderà la fretta, rispondente, piuttosto che ad esigenze razionali, ad altro tipo di logiche; ma dovrà essere affrontato senza tergiversazioni e senza inopinati stravolgimenti dei metodi e degli stessi contenuti. Se è giusto porre rimedio ad alcune incongruenze strutturali rivelate dall’esperienza, l’obiettivo deve essere quello di farlo con saggezza e ponderazione, ed anche con le competenze necessarie, sempre preferibili alla improvvisazione ed all’incoerenza di una fretta dettata da ragioni molto lontane dal rispetto con cui si devono affrontare serie riforme costituzionali.
Ci sono, sul tappeto, diverse proposte; altre sono fornite dall’esperienza giuridica e politica di altri Paesi; le si esamini senza pregiudizi e insofferenze ed ascoltando pareri e proposte che possono contribuire al miglior esito delle riforme.
E si approfitti dell’occasione per un ripensamento della legge elettorale, che così come approvata da un ramo del Parlamento, non risponde alle esigenze di una vera rappresentanza e di democrazia e soprattutto contraddice, oltre alle attese di gran parte dei cittadini, le stesse indicazioni della Corte Costituzionale.
Infine, l’occasione non appare idonea per raccogliere l’antica esigenza, manifestata da altri Governi e sempre respinta, di un rafforzamento
A.N.P.I.
A S S O C I A Z I O N E N A Z I O N A L E P A R T I G I A N I D ’ I T A L I A
COMITATO NAZIONALE

... Quando si tratta di difendere valori che si richiamano alla Costituzione ed alla democrazia, oltreché ai diritti di fondo in cui si esprime la sovranità popolare, l’ANPI non può che essere in campo, non per conservare, ma per innovare, restando però sempre ancorata ai valori ed ai princìpi della Costituzione.
Questa non è l’ora della obbedienza ai diktat, ma è quella della mobilitazione, a cui chiamiamo tutti i cittadini, per fare ciò che occorre con la dovuta ponderazione e col rispetto e la salvaguardia degli interessi fondamentali dei cittadini, che certo aspirano ad un rinnovamento, ma in un contesto equilibrato e democratico, corrispondente alle linee coerenti e chiaramente definite dalla Costituzione repubblicana.
IL COMITATO NAZIONALE DELL’ANPI
aprile 2014

mercoledì 12 febbraio 2014

Polverone Friedman

E' scoppiato l’ennesimo polverone, grazie alla pubblicazione di un libro del giornalista americano Alan Friedman, sul Presidente della Repubblica
Ci mancava solo lui per completare il quadro...
E' per caso nata  anche una nuova alleanza tra  berlusconiani e grillini per sostenere l’impeachment del Presidente Napolitano  ?
Ma si rendono conto, questi così beneducati signori, di cosa vuol dire la messa in stato d’accusa di un Presidente della Repubblica ?
Secondo l’art. 90 della Costituzione, si parla di “alto tradimento o attentato alla Costituzione”? Accuse gravissime, eccezionali, che nulla hanno a che fare con le critiche che si possono formulare, con la dovuta correttezza e anche con rispetto, nei confronti di chiunque.
E se nell’estate 2011 eravamo tutti molto preoccupati, sicuramente lo era anche il Presidente della Repubblica, che avrà di certo pensato a come evitare il disastro che stava precipitando sul Paese e ipotizzato soluzioni accettabili e coerenti
Di certo, questo non eccede dai suoi poteri e il problema non si pone finché non si traduce in azioni
Tutto qui.
Costruire un “caso” su così poco, in questa fase particolarmente delicata della vita nazionale, sembra davvero incomprensibile.
A meno che non ci poniamo alcune domande scomode
 Chi sta giocando allo sfascio? e perché ?
 Quali interessi sono in gioco?
 Alla fin fine, tutto questo a chi giova ?
 

domenica 2 febbraio 2014

Caccia alle streghe

Gli amministratori della bacheca Facebook di Grillo hanno condiviso un video ironico su un ipotetico viaggio in auto con la presidente della Camera Laura Boldrini,  che i parlamentari grillini hanno pesantemente attaccato per aver utilizzato la “ghigliottina” durante il dibattito sul decreto Imu-Bankitalia. Ma la domanda “cosa succederebbe se ti trovassi la Boldrini in macchina?” è diventata l’opportunità per svariati utenti di mettere in mostra i loro peggiori istinti: insulti, minacce, parole retrive, con particolare predilezione per le offese sessiste che rimandano a violenze, stupri, prostituzione. 
Laura Boldrini, presidente della Camera, ha detto che : “Insulti e volgarità istigano alla violenza”
 “Gli insulti e le volgarità non possono in alcun modo fare parte del dibattito politico e non danno nessuna risposta concreta ai problemi dei cittadini. Piuttosto servono a istigare alla violenza e a minare le basi della nostra democrazia”.
Su Facebook la signora Boldrini ha ringraziato ” tutti per il sostegno contro gli insulti e le minacce che mi sono state rivolte in rete e la mia solidarietà a chi, come me, in queste ore, è vittima degli stessi attacchi: il presidente del Consiglio, Enrico Letta, e il giornalista Corrado Augias, colpevoli di avere mosso critiche al Movimento 5 Stelle“.
Anche contro Corrado Augias ci sono stati attacchi pesanti  E un suo libro , “Inchiesta su Maria”, è stato dato alle fiamme in un camino da un utente che poi ha pubblicato la foto   su Facebook.  
Il primo a reagire alle violenze verbali contro la Boldrini è stato il leader di Sel Nichi Vendola: “Mai arrivati ad un livello di degrado così basso. Ora incitazione a stupro simbolico. E poi Grillo non dovrebbe parlare di automobili”.
A intervenire successivamente  è stato anche il presidente del Senato Piero Grasso : “ Ho appena parlato con la presidente Boldrini per esprimerle la mia vicinanza e il mio sdegno per le offese volgari e sessiste che sta ricevendo in queste ore”. “Guardo con preoccupazione al clima di questi giorni che ha visto il Capo dello Stato e la presidente Boldrini vittime di insulti e accuse senza fondamento: il dissenso, il cui esercizio è regolato e garantito dalla nostra Costituzione, è un elemento fondamentale del processo democratico ma quando si trasforma in un irresponsabile attacco alle istituzioni e agli organi costituzionali si mettono in discussione i fondamenti della nostra democrazia”. “Chiunque approfitti della situazione critica del Paese per fomentare gli animi, cercando tornaconti elettorali, forse sottovaluta quanto sia pericoloso alimentare la rabbia dei cittadini in un momento già così difficile: spero quindi che tutte le forze politiche  abbiano la capacità di chiudere immediatamente questa parentesi indecorosa, assumano atteggiamenti più responsabili e tornino ad occuparsi seriamente di risolvere i problemi del nostro Paese”.
Al fianco della Boldrini anche  3 senatrici del Pd Isabella De Monte, Rosa Maria Di Giorgi e Nadia Ginetti: “ Beppe Grillo vuole il ritorno della caccia alle streghe   Il suo medioevo punta a colpire in modo particolare le donne. Le offese da trivio alla presidente della Camera Laura Boldrini, alla quale va la nostra solidarietà, sono vomitevoli”. “In pochi giorni è venuta fuori una quantità di maschilismo frustato  che rende perfettamente l’idea della cultura oscurantista di Grillo. Resta da capire come facciano le tante colleghe del M5S a sopportare una tale deriva”
Per la responsabile Riforme del Pd Maria Elena Boschi l’escalation di aggressività di queste ore, con un connotato violento che è stato prontamente denunciato da un gruppo di nostre parlamentari, insultate da un collega del M5S, è un segnale di allarme per le donne di questo Paese e per le istituzioni democratiche che dovrebbero essere luogo di confronto anche aspro, ma mai di mortificazione, di attacchi personali, di sopraffazione”.
 Il vicepresidente della Camera Simone Baldelli (Forza Ital ia)  ha affermato che“L’aggressione inquietante e volgare dei grillini alla Presidente della Camera, Laura Boldrini, è un vero e proprio boomerang  i cui effetti a livello politico sono inevitabilmente destinati a colpire e a squalificare gli autori”.
Per il sindaco di Roma Ignazio Marinogli insulti alla presidente della Camera che sarebbero da condannare di per sé in quanto attacco becero, volgare e sessista, sono esponenzialmente più gravi in quanto si rivolgono a chi rappresenta un’ istituzione democratica, anzi, la terza carica dello Stato. E’ evidente che ormai ci troviamo in una condizione di vera e propria emergenza democratica. Per questo auspico che tutte le persone perbene di questo Paese, e sono la maggioranza, si stringano attorno alle nostre istituzioni "
E' inquietante quello che è successo nei giorni scorsi in Parlamento ma ciò che sta succedendo nel mondo del web lo è molto di più
La violenza  più becera  che si scatena contro persone come la Boldrini o Augias , che ho seguito per anni  in TV su Rai 3 quando parlava di libri e di autori di libri , un uomo squisito, colto, intelligente e culturalmente molto preparato, fanno paura 
Dove andremo a finire se continuiamo così ? I libri li bruciavano i nazisti ma questi episodi recenti puzzano di fascismo belle e buono
E le minacce sessiste fanno tornare indietro ai tempi bui della storia, a quando le donne erano vittime  che dovevano subire in silenzio una società  maschilista brutale e violenta
Grillo e i grillini sono molto peggio di Bossi e dei laghisti di qualche anno fa, quelli del celodurismo tanto per intenderci, ma i tanti che li hanno votati convinti di far cambiare le cose in positivo non si rendono conto di aver dato la fiducia a persone simili ? Non ne sono disgustati ? 

lunedì 27 gennaio 2014

Il Giorno della Memoria

 " Il Giorno della Memoria è stato istituito, dal Parlamento italiano, con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 “Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. 
All’articolo 1 la Legge n. 211 stabilisce che “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria” (...)”.
La tragedia della deportazione non finisce, in realtà, con l’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, il 27 gennaio del 1945.
Quando l’esercito sovietico comincia ad avvicinarsi ai campi di sterminio, gli internati superstiti vengono evacuati e costretti a mettersi in cammino verso l’Occidente. Dei 66.000 evacuati da Auschwitz persero la vita circa 15.000 persone. Negli ultimi due mesi di guerra 250.000 prigionieri sono costretti a compiere le marce della morte. La data che segna la definitiva liberazione dei lager è il 5 maggio 1945, quando gli uomini della 11a Divisione corazzata americana del generale Patton liberano Mauthausen.
Primo Levi ricorda che “il sistema concentrazionario nazista rimane un unicum, sia come mole sia come qualità. In nessun altro luogo e tempo si è assistito ad un fenomeno così imprevisto e così complesso: mai tante vite umane sono state spente in così breve tempo, e con una così lucida combinazione di ingegno tecnologico, di fanatismo e di crudeltà”.
Nel Giorno della Memoria, accanto alla Shoah che costituisce la più grande tragedia del Novecento con lo sterminio di sei milioni di ebrei, si ricorda la deportazione da parte dei nazisti che, in Italia, trovano una validissima collaborazione nella Repubblica di Salò, degli oppositori politici e dei lavoratori arrestati a seguito
degli scioperi del marzo 1944. 
Il New York Times e Radio Londra definirono quegli scioperi che videro la partecipazione accanto agli operai delle più importanti fabbriche, dei colletti bianchi, di docenti universitari e di studenti, come “la più grande manifestazione di massa mai effettuata nell’Europa occupata dai nazifascisti”
La repressione nazifascista fu durissima e fu attuata sulla base di precisi elenchi fatti compilare dalle direzioni
aziendali. La deportazione politica ha assunto a Milano e nell’area industriale di Sesto San Giovanni, notevoli dimensioni per la grande e compatta partecipazione dei lavoratori agli scioperi del 1944. 
Quasi tutti gli arresti avvenivano di notte, nelle case, ed erano effettuati dalla Guardia Nazionale Repubblicana, dalla Muti, dall’Ufficio Politico Investigativo. 
Mentre per gli ebrei la destinazione prevalente era il lager di Auschwitz, per gli oppositori politici e i lavoratori la meta obbligata era Mauthausen, con i suoi quarantanove sottocampi. 
Chi arriva a Mauthausen è immediatamente consapevole che in quel campo si è vivi solo e sino a quando si è in grado di lavorare, perché il diritto alla vita esisteva, ma non competeva a chi non era idoneo al lavoro.
Sin dall’stituzione del Giorno della Memoria, il Comitato Permanente Antifascista per la difesa dell’ordine repubblicano, in stretto accordo con la Comunità Ebraica milanese e con la Fondazione Memoria della Deportazione si è fatto promotore di iniziative volte a ricordare le tragedie provocate dall’avvento del nazifascismo in Europa, nella consapevolezza che un Paese senza memoria non può avere alcun futuro. 
 Nelle significative iniziative per il Giorno della Memoria, va sempre tenuto presente il messaggio di coloro che non sono ritornati dalla deportazione: quello di non negare lo sterminio dove è stato praticato, di non banalizzare e non confondere tutto con la sola violenza o la natura malvagia dell’uomo (perché la violenza aveva un solo nome: nazifascismo), di non dimenticare l’organizzazione specifica di un trattamento che programmaticamente annientava con il lavoro e programmaticamente sopprimeva con il gas gli inabili. 
La ricorrenza del Giorno della Memoria ci deve fare riflettere  . 
Fare memoria legandola alla conoscenza storica significa combattere l’oblio che tende a cancellare le differenze, significa far rivivere, nella società contemporanea, che sembra aver perso la propria identità, i valori della pace, della solidarietà, della giustizia sociale, della politica posta al servizio del bene comune che animarono i combattenti per la libertà e coloro che resistettero nei lager nazisti. 
Da quella resistenza all’oppressione è nata quel bellissimo dono che è la Costituzione repubblicana.
Etty Hillesum, un’ebrea olandese morta ad Auschwitz il 30 novembre 1943, così scrive nel suo diario dal campo di concentramento olandese di Westerbork, da dove, ogni lunedì partivano treni con destinazione Auschwitz: “Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia sarà troppo poco. Se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati a ogni costo – e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione – allora non basterà. Dai campi stessi dovranno irraggiarsi nuovi pensieri, nuove conoscenze dovranno portar chiarezza oltre i recinti di filo spinato”.
Questo è il monito più profondo che  viene dalla tragedia provocata dal nazifascismo e che  deve rendere vigili sui pericoli che le nostre democrazie possono ancora correre per i rigurgiti neofascisti e neonazisti che pervadono l’Europa. 

Il 27 gennaio ricorre  l' anniversario della Liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa sovietica, data scelta a livello internazionale quale “Giorno
della Memoria”, in cui ricordare gli oltre 12 milioni di vittime delle deportazioni e dello sterminio nei campi di concentramento nazifascisti.
 Dopo ben 55 anni, in Italia, nel luglio del 2000, il Parlamento giunse all’approvazione della Legge N. 211/2000 che nel primo articolo stabilisce: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Il ricordo delle vittime del razzismo, della deportazione dei Rom, dei diversi e dei non normodotati, finalmente diventa un’indicazione dello Stato. 
Gli italiani deportati furono circa 44.000, di cui 8.600 ebrei, 30.000 partigiani, antifascisti e lavoratori (la maggioranza arrestati e deportati dopo gli scioperi del 1944) e circa 5.000 IMI: il 90% di essi morì nei lager.
Spesso, quando si ricorda la tragedia delle deportazioni italiane, i lavoratori vengono dimenticati o considerati solo marginalmente, mentre essi costituiscono la maggioranza dei deportati italiani. I lavoratori italiani hanno avuto un ruolo fondamentale nella lotta contro il fascismo e la guerra, per riconquistare la libertà e la democrazia.
Due momenti importanti della lotta di Liberazione che videro protagonisti i lavoratori furono gli scioperi del marzo 1943 e 1944. Nel 1943, il 5 marzo, gli scioperi iniziarono a Torino alla Fiat Mirafiori; nei giorni e nelle settimane successive si estesero in Piemonte e poi – a partire dalla Falck – in Lombardia. Gli scioperanti nel 1943 – contro la guerra e il fascismo – furono oltre 150.000 e lavoravano in 217 aziende.
Molti furono gli arresti e le repressioni fasciste. Questa mobilitazione contribuì alla destituzione di Mussolini e alla costituzione del governo Badoglio., a cui seguì,  l’8 settembre ’43, l’Armistizio con gli anglo-americani e l’occupazione nazista del Nord Italia.
I lavoratori svilupparono, sul finire del 1943 e l’inizio del ’44, lotte in varie fabbriche, rivendicando contemporaneamente: fine della guerra, fornitura di alimenti, il diritto al servizio mensa con primo e secondo, adeguamenti salariali, parità donna uomo. 
Le truppe naziste del Comando Militare di Milano – dirette dal generale Zimmermann – entravano nelle fabbriche in sciopero come la Falck di Sesto San Giovanni, la Pirelli Bicocca, la Franco Tosi di Legnano, arrestando e poi deportando decine, centinaia di lavoratori.
Nel marzo  1944, oltre un milione e mezzo di lavoratori del Nord Italia, attuarono lo sciopero generale. La mobilitazione a Milano e a Torino iniziò con lo sciopero dei tranvieri che bloccarono i trasporti per una settimana.
Lo sciopero si estese a tutte le fabbriche, nelle banche; i tipografi e i giornalisti bloccarono la pubblicazione per cinque giorni del Corriere della sera.
Durante gli scioperi i nazisti arrestarono decine di migliaia di lavoratori (operai, impiegati, dirigenti), e li deportarono.
Molti partirono chiusi nei vagoni merci dal “Binario 21” della Stazione Centrale di Milano, sino ai campi di sterminio.
 Sono 553 i lavoratori - di cui 417 operai, 31 manovali, 17 impiegati, 14 tecnici e dirigenti dipendenti della Breda, della Pirelli, della Falck, dell’Ercole Marelli e della Magneti Marelli - deportati e ricordati dal monumento al Parco Nord di Milano.
La fabbrica italiana con il maggior numero di lavoratori deportati è la Breda di Sesto, con 199 deportati, 122 dei quali non hanno fatto ritorno.
Gli scioperi dei lavoratori italiani - unici in Europa durante la guerra - ebbero una ricaduta politica mondiale, come sottolineato dal New York Times del 9 marzo 1944, che tra l’altro scrisse: “Non è mai avvenuto nulla di simile nell’Europa occupata che possa somigliare alla rivolta degli operai italiani disarmati come sono, sanno combattere con coraggio e audacia quando hanno una causa per cui combattere”.
E'  indispensabile informare e formare le nuove generazioni sulla tragedia dei campi di sterminio che ha colpito i diversi, gli ebrei, gli antifascisti, i lavoratori, affinché fascismo e razzismo, vecchio e nuovo, non abbiano più cittadinanza in nessun paese civile.
Tutto ciò è possibile solo se si fanno vivere i valori che portarono i lavoratori alle lotte e al sacrificio della vita; gli stessi valori che sono fissati nella Costituzione repubblicana, che va fatta rispettare e attuare.  

Quando venne istituito il Giorno della Memoria (in Italia nel 2000, dall’ONU nel 2005 e altrove in altre date), si poté legittimamente considerarlo come il punto d’arrivo d’una presa di coscienza comune a buona parte dell’opinione pubblica mondiale, e specialmente di quella europea e occidentale in genere. A più
di 50 anni   dalla fine della guerra si riconosceva la specificità – anche e soprattutto dal lato delle vittime: il popolo ebraico – di quello che Churchill già immediatamente a ridosso dei fatti, ed anzi mentre ancora quasi si svolgevano, aveva definito “probabilmente il più grande e il più orribile crimine mai commesso nell’intera storia del mondo”.
In realtà, si trattava di qualcosa ch’era iniziato davvero qualche decennio prima, quando, almeno a partire dagli anni 70 (ma forse dal 1961, l’anno del processo Eichmann in Israele), il dibattito storiografico, ma anche la riflessione e l’interpretazione, oltreché la rappresentazione attraverso la letteratura, il cinema, ecc., avevano conosciuto un’impennata straordinaria, come se davvero fosse finalmente insorta, dopo lunga maturazione, una nuova consapevolezza, uno sguardo sullo sterminio degli ebrei che riusciva a staccarlo dallo sfondo, a stagliarlo e illuminarlo di luce propria rispetto alle complessive vicende della Seconda Guerra Mondiale.
 Erano stati in particolar modo gli ebrei che non soltanto si erano già dati un loro “Giorno della Memoria” tra il 1953 e il 1959 (Yom ha- Shoah), ma soprattutto avevano già da un pezzo rielaborato in profondità la loro memoria ed anzi il loro vissuto, individuale e collettivo a un tempo, dell’Evento, mentre era la coscienza
pubblica “generale” che era nel frattempo maturata abbastanza da invocare, reclamare quasi, una giornata memoriale che fosse significativa e parlasse a tutti e per tutti, e soprattutto ai giovani delle nuove generazioni. Naturalmente, gli ebrei non potevano che vedere con favore e soddisfazione tutto quel lavorio e tutto quel fervore, che parevano davvero annunciare piena giustizia storica e, per il presente e il futuro, nuova consapevolezza e nuovo rispetto nei loro confronti. Mentre erano da considerarsi fisiologiche e un po’ scontate, almeno finché minoritarie, le voci dissonanti di chi accusava la parte ebraica di: vittimismo esagerato, esclusivismo e magari anche utilizzo improprio della memoria storica per giustificare, per esempio, l’esistenza e tutta l’azione “nel presente” dello Stato d’Israele.
In realtà, al di là del puro ricordare, richiamare alla memoria  “quel ch’è stato”, quali potevano essere le finalità più profonde e radicali nell’istituire una ricorrenza del genere? Il Giorno della Memoria doveva senza dubbio testimoniare del significato universale di quanto accaduto al popolo ebraico (ma anche ad altri,  e soprattutto agli zingari) durante la Seconda Guerra Mondiale e far riflettere, contemporaneamente, sulla
inaggirabile questione del: “perché gli ebrei?”. In effetti, i nazisti tedeschi e i loro complici vollero certo annientare l’uomo che era nell’ebreo, ma forse ancor più l’ebreo che è in ogni uomo, e cioè la forza superbamente umana, e davvero “universale”, della differenza, dell’individualità e della libera identità. Poiché è questa la vera, profonda universalità della condizione ebraica, quella che alla fine provoca nel profondo l’antisemita e il “fascista” di ogni tempo e che spiega, tra l’altro, la radicalità e l’unicità della Shoah.
 Com’è ormai consapevolezza diffusa, una Giornata della Memoria aveva, doveva avere, la funzione primaria di far riflettere la collettività nazionale dei diversi paesi su quelle che erano state anche le proprie responsabilità, traendone il massimo di coscienza storico politica per il presente e per il futuro.
 La memoria non poteva che rimandare continuamente al “sapere” e alla storia ricostruita sempre meglio
e sempre più in profondità. Anche perché soltanto una storia così intesa avrebbe permesso di riconoscere le responsabilità
 Quelle aspettative nei confronti del Giorno della Memoria sono andate, nel tempo, e forse non poteva essere altrimenti, largamente disattese se non francamente deluse. Molti, ebrei e non ebrei, non possono che prendere atto delle derive di una memoria così spesso istituzionalizzata, banalizzata, ritualizzata, rappresentata e celebrata nella pura ripetizione. Dove persino la ricorrente e giusta osservazione che la memoria non possa essere coltivata soltanto un giorno all’anno ma debba esserlo sempre, tutti i giorni dell’anno, è diventata una banale ovvietà, di quelle che rinviano soltanto la risposta che si deve dare a un problema senza averne compreso il significato reale.

Cosa può il Giorno della Memoria di fronte alla crisi del nostro tempo, non solo economico-sociale ma anche etico-politica e dei valori , che non solo conferma la ripetibilità del male – e sia pure non esattamente quel male, per intensità e radicalità, oltreché intenzionalità totale nell’annientamento di un popolo – ma persino una ripetizione puntuale di quel male, o almeno dei suoi presupposti fondamentali, e dunque l’antisemitismo, e il negazionismo, e le mille altre cose orribili che puntualmente rialzano oggi la testa, e con tanto maggior vigore nella società della “comunicazione globale”?
Eppure  la “memoria”, anche quella più ufficiale, mantiene il suo carattere di assoluta necessità,  perché  nella sua realtà storica ma anche nella sua proiezione verso il presente e verso il futuro, è cosa che oltrepassa ogni   possibile strategia esistenziale e anche politica... " 

domenica 19 gennaio 2014

Addio PD

Il giorno dopo l’incontro con Silvio Berlusconi, Renzi dichiara: “Accordo alla luce del sole”
«Di fronte a Silvio Berlusconi nella sede del Pd da dirigente mi sono un po’ vergognato».
Durissime le parole di Stefano Fassina, il viceministro all’Economia dimissionario, intervistato da Maria Latella a “L’intervista” su Sky Tg24.
 Il colloquio con il Cavaliere del segretario Matteo Renzi «è stato un errore che non andava fatto. Il Senato ha votato dopo una sentenza passata in giudicato per l’interdizione politica. Difficile spiegare perché lo abbiamo votato poi lo ribattezziamo per la terza volta a padre costituente».
 «Da ieri pomeriggio le legge è un po’ meno uguale per tutti», ha proseguito, oppure all’epoca del voto in Senato «Renzi doveva dire, per real politik, che siccome è stato votato da milioni di italiani la legge per lui non vale».
Fassina ha poi lanciato la proposta di interpellare la base del partito: «Renzi non ha la maggioranza dei voti degli iscritti del partito e quindi, come prevede lo statuto, sarebbe possibile consultare la base, gli iscritti, anche per via telematica, rapidamente, per sapere cosa pensi della legge elettorale. Si può fare».
 L’ex viceministro ha poi chiarito: «Non farò alcuna scissione. Resto e credo nel partito come sempre. Lavoreremo perché certe posizioni possano farsi sentire ed esprimere la loro forza nel Pd».
da La Stampa To
Io non sono una iscritta del PD, anche se ho votato per il PD in questi ultimi anni, anche di malavoglia in qualche caso
Ma a questo punto dico proprio Addio, PD !!!
Le trovate di Renzi non mi sono mai piaciute ma questo suo incontro con Berlusconi non è una pagliacciata
E' invece un grave atto di non responsabilità del segretario del PD che ha incontrato una persona condannata dalla magistratura e giudicata dal Parlamento che ha votato la sua decadenza da senatore
Se il PD continua su questa strada permettendo ad un incosciente di prendere simili decisioni , non finiremo certo bene
E l' Italia non ha di certo bisogno di un altro buffone
Bastano quelli che c'erano ...

venerdì 27 dicembre 2013

Cristian è libero

Dopo due mesi di prigione in Russia e più di un mese di libertà su cauzione trascorsa a San Pietroburgo finalmente Cristian potrà tornare a casa! Mio figlio sarà presto libero, e saranno liberi anche gli altri 27 attivisti di Greenpeace e i due giornalisti freelance arrestati in seguito ad un’azione di protesta contro la compagnia Gazprom per la difesa dell'Artico. Il Parlamento russo ha votato l’amnistia anche per il reato di cui erano accusati: il vandalismo.
Voglio ringraziare ancora una volta tutti i firmatari della petizione, donne e uomini liberi che hanno contribuito con il loro sostegno a tenere alta l’attenzione sul destino di mio figlio e dei suoi compagni. Giovani carichi di ideali che mai avrebbero dovuto finire in prigione, accusati di reati assurdi e gravissimi.
Non ho sentito mio figlio per settimane. L’angoscia, la lontananza e il timore che questa storia potesse prolungarsi ed essere dimenticata hanno accompagnato le nostre giornate.
Cristian è solo colpevole di pacifismo, e così tutti gli Arctic 30. Purtroppo però non c'è nessuna amnistia per l'artico che possa proteggere questo fragile ecosistema dalle trivellazioni petrolifere.
Grazie a tutti i firmatari che tanto hanno fatto per riportare a casa Cristian. Crediamo in lui e non vediamo l’ora di riabbracciarlo.
Raffaela Ruggiero 
Questa è la lettera che la signora Ruggiero ha inviato a tutti coloro che hanno firmato, su invito di Greenpeace,  la richiesta di scarcerazione di suo figlio e degli altri attivisti imprigionati in Russia 
Una buona notizia con la speranza che anche l'Artico possa essere salvato dagli interessi economici e dalle speculazioni delle Nazioni confinanti