sabato 25 aprile 2009

Resistenza e Costituzione

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è tornato a ribadire con parole forti il valore delle Festa della liberazione legata a quello della Costituzione.
Di fronte ai rappresentanti delle Associazioni combattentistiche e d’arma, e delle associazioni partigiane, ha ricordato che «i messaggio, l’eredità spirituale e morale della Resistenza, della lotta per la liberazione d’Italia, vive nella Costituzione, carta fondante della Repubblica, pietra angolare del nostro agire comune e della nostra rinnovata identità nazionale»
«Nella Costituzione possono ben riconoscersi anche quanti vissero diversamente gli anni '43-'45, quanti ne hanno una diversa memoria ed esperienza personale o per giudizi acquisiti» ; «il nostro ricordo, il nostro omaggio a tanto sacrificio, si unisce all’impegno a non ripetere gli errori del passato».
C’è bisogno però anche di una «realistica presa d’atto delle conseguenze che l’arbitrio e l’oppressione conosciute con la dittatura fascista e l’occupazione nazista producono sempre ineluttabilmente».
Nei giorni scorsi il Presidente Napolitano aveva aperto i lavori della Biennale Democrazia con un’appassionata ed appassionante lezione tenutasi dal palco del teatro Regio a Torino.
Rivolgendosi ai tanti “ragazzi e ragazze” presenti, il Presidente era ritornato con la memoria al 1943, epoca in cui aveva la stessa età che hanno ora parecchi fra quei giovani ascoltatori presenti e al momento in cui, tramite la radio, lo raggiunse la notizia della caduta di Mussolini.
L’aneddoto è stato il punto di partenza di una testimonianza intensa dell’immediato senso di liberazione, ma anche della drammatica situazione in cui versava la popolazione italiana, e di come si unì nella resistenza e nella mobilitazione per la libertà: «Così rinacque la democrazia in Italia».
«La Costituzione Repubblicana non è una specie di residuato bellico», ha poi affermato con forza Napolitano, soffermandosi con precisione su un’attenta spiegazione dell’importanza e del significato della nostra Carta, «legge fondamentale» nata in anni di grande fervore intellettuale e non soltanto “carta dei valori”, che mai dovrebbe essere sottovalutata nella sua importanza.
«Rispettare la Costituzione è espressione altamente impegnativa (…). Ogni espressione della sovranità popolare, ogni potere delle istituzioni rappresentative riconosce la supremazia della Costituzione, rispetta i limiti che essa gli pone», ha ricordato il Presidente, che ha anche evidenziato l’attualità di una carta «che nacque guardando avanti e lontano»
Una Costituzione che è di tutti, non soltanto della generazione che l’ha vista nascere, non soltanto di una parte politica, che «seppe, partendo da esperienze democratiche di cui scongiurare ogni possibile riprodursi, dare fondamenta solide e prospettive di lunga durata al nuovo edificio dell’Italia democratica (…). Prospettive affidate ad uno sforzo sapiente (…) per tenere aperte le porte del nuovo edificio alle imprevedibili evoluzioni e istanze del futuro. I valori dell’antifascismo e la resistenza non restarono mai chiusi in una semplice logica di rifiuto e di contrasto, sprigionarono sempre impulsi positivi e propositivi e poterono tradursi in principi e inviti condivisibili anche da parte di chi fosse rimasto estraneo ad antifascismo e resistenza. Perciò il 25 aprile non è festa di una parte sola».
Napolitano si è rivolto espressamente ai giovani, per concludere la sua lezione:
«Sappiamo quali orizzonti nuovi la Costituzione abbia aperto per il nostro paese, orizzonti di libertà e di uguaglianza, di modernizzazione e di solidarietà, ma la condizione per coltivare queste potenzialità (…) è in un impegno che attraversi la società (…), uomini e donne di ogni generazione (…). Parlo di un rilancio indispensabile del senso civico, della dedizione all’interesse generale, della partecipazione diffusa a forme di vita sociale e di attività politica. Parlo di uno scatto culturale e morale».
Il Presidente della Repubblica si è dunque rivolto al ruolo fondamentale dei giovani che prenderanno in mano il futuro del nostro Paese.
Una generazione che ha ancora la fortuna di poter ascoltare le parole, sagge e attuali, di un Presidente che, come i nostri padri, più o meno suoi coetanei, ha visto nascere la Repubblica dopo gli anni bui e terribili della dittatura che l’aveva drammaticamente preceduta.
Una fortuna da non sottovalutare ma anche una responsabilità.
La responsabilità di portare avanti un messaggio di libertà e di democrazia nate quel lontano 25 aprile di 64 anni fa senza lasciarsi fuorviare, senza lasciarsi ingannare, mai, dai falsi narratori di una storia che non è mai stata vera e sincera !!!

Buon 25 aprile

Stamattina ho accompagnato mia mamma alla messa ed alla cerimonia, organizzata dall'Anpi di Omegna, al Cimitero di Crusinallo, per ricordare la liberazione dell'Italia dai nazifascisti
Il discorso è stato tenuto da Michele Beltrami, il figlio del Capitano, ucciso a Megolo nel 1944
L'amico Michele ha parlato di quegli anni terribili ed ha ricordato che fu la popolazione di Omegna tutta intera a partecipare con i partigiani alla ribellione contro la dittatura fascista e l'occupazione nazista
Molto emozionante e commovente è stata la sua lettura dell' Epigrafe scritta da Piero Calamandrei, nel 1953, sulla rivista " Il Ponte " :
Non rammaricatevi
dai vostri cimiteri di montagna
se giù al piano
nell'aula ove fu giurata la Costituzione
murata col vostro sangue
sono tornati
da remote caligini
i fantasmi della vergogna
troppo presto
li avevamo dimenticati
è bene che siano esposti
in vista su questo palco
perché tutto il popolo
riconosca i loro volti
e si ricordi
che tutto questo fu vero
chiederanno la parola
avremo tanto da imparare
manganelli pugnali patiboli
vent'anni di rapine
due anni di carneficine
i briganti sugli scanni
i giusti alla tortura
Trieste venduta al tedesco
l'Italia ridotta un rogo
questo si chiama governare
per far grande la patria
apprenderemo da fonte diretta
la storia vista dalla parte dei carnefici
parleranno i diplomatici dell'Asse
i fieri ministri di Salò
apriranno i loro archivi segreti
di ogni impiccato
sapremo la sepoltura
di ogni incendio
si ritroverà il protocollo
Civitella Sant'Anna Boves Marzabotto
tutte in regola

Sapremo finalmente
quanto costò l'assassinio
di Carlo e Nello Rosselli
ma forse a questo punto
preferiranno rinunciare
alla parola peccato
questi grandi uomini di stato
avrebbero tanto da raccontare

domenica 19 aprile 2009

Grazie , Presidente!

Non volevo parlare del terremoto d'Abbruzzo perchè già ne hanno parlato in troppi ormai e le Tv ancora ci mostrano servizi su servizi dai paesi terremotati in ogni momento della giornata, ma questo articolo de quotidiano La Stampa mi ha lasciata letteralmente basita :

" Un'università costruita con la plastica. Come i Lego. E non una facoltà qualunque, ma proprio ingegneria, il regno dei progettisti.
A guardare le tonnellate di detriti accumulati davanti alle aule degli studenti si resta di sasso: al posto del cemento armato si trova plastica espansa. Proprio questo avrebbe provocato il crollo che, se i ragazzi fossero stati presenti, era destinato a causare una strage.
La facoltà di ingegneria era uno dei fiori all'occhiello dell'università dell'Aquila...a Roio Poggio, una collina che domina la città e si affaccia sulle montagne.
Difficile trovare un ateneo altrettanto suggestivo, una specie di nido in mezzo ai boschi. Proprio per questo gli architetti negli Anni Ottanta avevano disegnato questi edifici dalle immense vetrate affacciate sul Gran Sasso.
Un progetto dalla lunga storia che fu ultimato soltanto negli Anni Novanta, con tante imprese che si alternarono nell'esecuzione. Ma alla fine, si disse, ne era valsa la pena.
Oggi, però, a vedere gli effetti del terremoto viene qualche dubbio. L'edificio 1, quello della biblioteca, appare quasi integro. I guai, seri, invece, si scoprono nel secondo palazzo, quello più frequentato, con decine di aule in grado di ospitare circa 1200 ragazzi.
Arrivarci, sgusciando tra i corridoi ingombri di detriti, non è facile.
Ed ecco la sorpresa. Le vetrate, appunto.
Quello che doveva essere il tratto distintivo dell'edificio ha rischiato di provocare un disastro.
Le enormi lastre trasparenti erano sospese a molti metri d'altezza e dovevano essere in grado di resistere ai terremoti. La garanzia derivava dal cemento armato su cui le vetrate avrebbero dovuto poggiare.
Ma a quanto pare non era così.
Lo dicono i detriti, ma anche i brandelli della struttura rimasti in piedi e ancora visibili.
Lo dice chi se ne intende: «Al posto del cemento c'era della plastica», allarga le braccia un vigile del fuoco.
Di cemento c'era soltanto un sottile spessore che non ha retto la scossa.
Il risultato: tonnellate e tonnellate di materiale sono crollate sulle scale, proprio quelle da cui dovevano fuggire gli studenti.
I vigili del fuoco e i professori che ieri camminavano con le torce elettriche per i corridoi bui e deserti dell'università non nascondono la rabbia: «Questa non è un'università, ma una trappola per topi».
Tutti indicano le aule: decine, ma sotto il livello del terreno. Un docente allarga le braccia, forse immaginando anche se stesso in cerca di una introvabile via di fuga: «Se la scossa fosse arrivata in una normale mattina di lezione, non si sarebbe stato scampo».
Primo, per i crolli che si sono verificati negli spazi dedicati ai ragazzi. Secondo, perché la scala d'uscita era occupata dai detriti.
Ma ancora: se gli studenti e i professori fossero stati all'università, sarebbero stati colpiti da lame di vetro pesanti decine di chili, precipitate da molti metri di altezza.
...Intanto si sta cercando di risalire alle imprese che hanno realizzato le vetrate. Di distinguere gli eventuali responsabili dalle altre società che hanno compiuto i lavori a regola d'arte. I locali del primo padiglione e della mensa, per dire, hanno retto bene il colpo. Tutto per arrivare a quella domanda: chi ha utilizzato plastica espansa invece del cemento? "
Non si può quindi che applaudire il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ed il suo richiamo di ieri a riflettere su quanto «abbiano contribuito alla gravità del danno umano e del dolore umano comportamenti di disprezzo delle regole».

La speculazione ed il dio denaro non hanno avuto limiti, a quanto pare, ma le riflessioni del Presidente della Repubblica dovrebbero essere un monito per tutti, politici compresi, che troppo spesso pensano a loro stessi e non al bene ed alla vita di noi cittadini

Un precedente richiamo, tecnico, ma fermo e molto importante, è stato anche quello datato 9 aprile 2009, quando il Presidente della Repubblica ha inviato una lettera al premier Silvio Berlusconi, ai Presidenti di Camera e Senato Gianfranco Fini e Renato Schifani e al ministro dell’Economia Giulio Tremonti.

Napolitano ha fatto riferimento al "decreto-incentivi", un testo che in origine si componeva di 7 articoli, ma che in Parlamento è stato modificato con un maxi-emendamento che ha fatto ’lievitare il provvedimento fino a determinare l’introduzione di altri 10 articoli, comportando un onere di un altro miliardo e trecento milioni di euro.
Napolitano ha ricordato che non si trattava del primo caso del genere e ha rammentato di essere già intervenuto in passato sulla delicata questione della emendabilità dei dl.
Il richiamo del Capo dello Stato era ai rigorosi limiti imposti dalla Costituzione.

Il centro della questione posta è stato il fatto che la scelta di sottoporre per la promulgazione al Presidente della Repubblica un decreto in prossimità della scadenza, soprattutto se si tratta di un provvedimento modificato in modo sostanziale, non consente al Capo dello Stato l’esercizio dei poteri di garanzia che la Costituzione ha previsto per la prima carica dello Stato.

Napolitano ha ricordato che è sempre a lui che la Carta costituzionale affida il compito di verificare i requisiti di necessità e urgenza, così come di valutare se intervengano oneri aggiuntivi.
L’invito è stato dunque quello a non far mancare la preventiva determininazione dei contenuti della manovra nel testo originariamente approvato dal governo, perché questo espone a una dilatazione della facoltà di emendamento ben al di là del criterio dell’attinenza dell’oggetto del decreto.

Fra le conseguenze vi sono quello dell’allungamento dei tempi dell’esame e dell’approvazione e un difficile vaglio del governo per quanto riguarda il contenuto degli emendamenti, a partire dal loro impatto finanziario.

L’ultimo appello di Napolitano, rivolto a Premier, Governo e Presidenti delle Camere, è stato quello di collaborare per garantire nel modo più efficace il funzionamento delle istituzioni

Un grande plauso a Napolitano, dunque, per la sua coscienza democratica ed etica e per il rispetto del suo ruolo di Capo dello Stato che deve vigilare sulla Costituzione e sulle istituzioni

Le torture della Cia

Quest'anno le mie vacanze di pasqua sono state più lunghe del solito, ma, pioggia permettendo, perchè giovedì è caduta copiosa e continua come ora, in una fredda ed uggiosa domenica più invernale che primaverile, ne ho approfittato per risistemare l'orto e una parte del giardino
Ho già piantato aglio, cipolle, patate ed erbe officinali e quando cambierà la luna, seminerò le insalate, i piselli, i fagioli e zucche e zucchine
Tenere un orto è spesso un lavoro a tempo pieno, anche faticoso, e sovente si deve combattere con le sorprese sgradite del tempo e con parassiti ed insetti dannosi, ma i risultati positivi sono soddisfacenti e quello che si mangia è genuino e fresco e molto più buono e saporito delle verdur che si comprano!
Tra un lavoro e l'altro però ho anche letto i giornali e qualche notizia mi ha lasciata decisamente esterefatta
Una di queste è l' immunità di Obama ai colpevoli di torture della Cia
"Il presidente americano concede l'immunità agli agenti che hanno usato maniere forti con i detenuti
L'era Bush è finita, l’«oscuro» capitolo degli abusi e delle torture negli interrogatori va superato con la «riflessione» e non con la «vendetta».
Il presidente Usa, Barack Obama, ha annunciato così la svolta americana sui metodi di detenzione e sulle tecniche di interrogatorio impiegati dalla Cia. Un cambiamento rivelato ieri con un comunicato in cui il presidente ha fatto sapere di non aver intenzione di perseguire gli agenti della Cia implicati e accompagnato da quattro documenti in cui, nero su bianco, si descrivono le durissime tecniche avallate dall’Amministrazione Bush.
Sui metodi di tortura Obama ha quindi ribadito che gli Usa hanno una volta per tutte messo la parola fine alle pratiche «che minano la nostra autorità morale e non ci rendono allo stesso tempo più sicuri».
Da qui la decisione di voltare pagina mostrando la cruda realtà:
«Le nostre informazioni riservate vengono normalmente protette per ragioni di sicurezza, ma ho deciso di pubblicare questi memorandum perchè credo fortemente nella trasparenza e nella responsabilità».
Una decisione comunque destinata a creare polemiche: da Amnesty Internationale sono infatti arrivate le prime critiche alla decisione di non punire i responsabili («un salvacondotto gratis per l’impunità») mentre il Centro per diritti costituzionali Usa ha parlato della «più grande delusione» arrivata dall’Amministrazione Obama." ( da La Stampa, Torino)
Non posso che condividere le opinioni di Amnesty internetional e del CDC: è stato giusto pubblicare i memorandum, ma chi ha torturato doveva essere messo sotto accusa. E non solo gli autori materiali delle torture, ma anche i mandanti! a partire da Bush e dai suoi consiglieri, dai suoi ministri e dai capi della Cia, che hanno approvato e permesso simili degradanti schifezze
Era giusto combattere il terrorismo e punire i terroristi colpevoli di atti criminosi, ma le leggi di Bush, gli orrori di Guantanamo e le torture della Cia, anche in territori non americani sono e restano un abominio di cui un paese democratico non avrebbe mai dovuto macchiarsi
Questa, secono me, è una decisione di Obama che " intacca " il suo essere un presidente intelligente e civile, che vuole la libertà la giustizia ed i diritti per tutti

sabato 11 aprile 2009

Pasqua

Domani sarà di nuovo Pasqua. Un augurio a Voi che sempre passate di qui e a chi sarà con voi a ricordare il sacrificio di Gesù, morto sulla croce per la salvezza di tutto il genere umano.
Un pensiero a chi passerà la Pasqua nelle terre terremotate d'Abruzzo, nel dolore e nell'angoscia per aver perso affetti e case e la sicurezza di una vita serena e tranquilla, con la paura di nuove scosse e di un futuro incerto ed imprevedibile

mercoledì 8 aprile 2009

Una firma per la democrazia, un fiore per la libertà

Ricevo dall' amico Michele questa mail, che diffondo molto volentieri

Una firma per la democrazia, un fiore per la libertà
Istituto Storico Resistenza "Piero Fornara" - NOVARA


Questo Istituto aderisce all'iniziativa promossa dal Coordinamento delle Associazioni Resistenza, Deportazione, Internamento Militare e Perseguitati Politici del Piemonte, denominata "Una firma per la democrazia, un fiore per la libertà" che si propone un raccolta di firme per contrastare il Progetto di Legge n. 1360 che istituisce l'Ordine del Tricolore e di fatto intende equiparare tutti i combattenti della Seconda Guerra Mondiale, parificando chi ha combattuto per la libertà e la democrazia e chi ha servito il regime nazifascista.

Chi volesse aderire firmando on line può farlo attraverso il sito www.no1360.it che è stato appositamente creato
Chi volesse saperne di più, le iniziative in corso e dove è possibile firmare, può contattare uno di questi numeri attivi in ogni capoluogo di Provincia del Piemonte
Torino - 011/521.16.79 Asti - 0141/35.33.08 Alessandria - 0131/44.38.61 Cuneo 0171/60.36.36 Novara 347/22.17.941 Verbano-Cusio-Ossola 0323/58.68.02 Biella-Vercelli 0163/52.005


In allegato l'o.d.g. n. 1175 votato dal Consiglio Regionale del Piemonte

Netta contrarietà del Consiglio regionale del Piemonte per il vitalizio a tutti gli ex combattenti


Torino, 11 febbraio 2009
È stato approvato a larga maggioranza dal Consiglio regionale del Piemonte, nella seduta del 10 febbraio, un ordine del giorno che esprime netta contrarietà alla proposta di legge in Parlamento n. 1360 "Istituzione dell'Ordine del Tricolore e adeguamento del trattamento pensionistico di guerra". Tale proposta prevede espressamente, all'articolo 2, l'equiparazione, ai fini del conferimento dell'onorificenza dell'istituendo Ordine del Tricolore e della concessione del conseguente assegno vitalizio di 200 euro annui, tra partigiani e prigionieri nei campi di concentramento da un lato e combattenti nell'esercito della Repubblica Sociale Italiana dall'altro.
L'odg è stato sottoscritto da numerosi consiglieri di maggioranza e opposizione, primo firmatario il vicepresidente del Consiglio regionale Roberto Placido, delegato al Comitato Resistenza e Costituzione. In Aula sono intervenuti, oltre a Placido, i consiglieri Giampiero Leo (Fi), che si è espresso a favore, e Gian Luca Vignale (An), che ha annunciato l'astensione del suo gruppo.
L'odg si conclude invitando "tutte le forze sociali e politiche, l'associazionismo, le istituzioni culturali, gli Istituti storici della Resistenza, le associazioni dei partigiani, dei deportati, degli internati militari e dei perseguitati politici, la società civile piemontese tutta ad una mobilitazione capillare sul territorio in difesa dei valori della Resistenza, della libertà, della democrazia e a tutela della memoria storica".
Di seguito il testo del documento approvato.
"Il Consiglio regionale del Piemonte, Vista la proposta di legge n. 1360 recante "Istituzione dell'Ordine del Tricolore e adeguamento dei trattamenti pensionistici di guerra", attualmente all'esame della IV Commissione Difesa della Camera dei Deputati; Rilevato che tale proposta prevede espressamente, all'articolo 2, l'equiparazione, ai fini del conferimento dell'onorificenza dell'istituendo Ordine del Tricolore e della concessione del conseguente assegno vitalizio di € 200,00 annui, tra partigiani e prigionieri nei campi di concentramento da un lato e combattenti nell'esercito della Repubblica Sociale Italiana dall'altro;
Considerato che il Comitato per l'affermazione dei valori della Resistenza e dei principi della Costituzione repubblicana, riunitosi appositamente, su richiesta dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, in seduta plenaria il 4 febbraio ultimo scorso, ha giudicato grave e inaccettabile sia dal punto di vista storico e morale sia da quello giuridico tale equiparazione;
Preso altresì atto che il Comitato ha assunto unanimemente la decisione di intraprendere, a partire dal Piemonte, regione che reca ancora tra le sue montagne e nelle sue città i segni profondi ed i ricordi indelebili della lotta di Liberazione e dei crimini nazifascisti, una serie di iniziative pubbliche volte a sensibilizzare i soggetti istituzionali, le forze politiche e sociali, gli enti territoriali e l'opinione pubblica al fine di evitare che il legislatore nazionale approvi una norma vissuta come una profonda ferita alla coscienza civile e democratica del nostro Paese;
Ricordato che a seguito di tale riunione il Comitato ha indirizzato una missiva a tutti i parlamentari eletti in Piemonte, ai componenti della Commissione Difesa della Camera, ai Presidenti di Senato e Camera, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Presidente della Repubblica rivolgendo loro un invito affinché, nel rispetto del ruolo istituzionale di ciascuno e delle prerogative del Parlamento, adottino le iniziative necessarie per evitare che tale proposta divenga legge della Repubblica Italiana; che la costruzione di una memoria storica nazionale condivisa non possa basarsi su ingiuste equiparazioni tra chi ha combattuto, è stato imprigionato, deportato o ha dato la vita per la libertà e la democrazia e chi ha difeso il regime fascista e il nazismo;
Auspicando che, al di là delle legittime e naturali differenze di schieramento, sia possibile ricostituire attorno ai valori della Resistenza lo straordinario scenario di unità tra le forze politiche democratiche che permise la conduzione vittoriosa della lotta di liberazione, la stesura della Costituzione e la nascita della nostra Repubblica; Esprime la più netta contrarietà alla proposta di legge in questione; Invita le forze sociali e politiche, l'associazionismo, le istituzioni culturali, gli Istituti storici della Resistenza, le associazioni dei partigiani, dei deportati, degli internati militari e dei perseguitati politici, la società civile piemontese tutta ad una mobilitazione capillare sul territorio in difesa dei valori della Resistenza, della libertà, della democrazia e a tutela della memoria storica;
Sollecita i Consigli provinciali e comunali del Piemonte a voler discutere e approvare il presente Ordine del Giorno, impegnando il Presidente del Consiglio regionale alla trasmissione del medesimo a tutte le Assemblee elettive della regione; Sostiene la pubblica sottoscrizione di un appello rivolto al Parlamento per chiedere che non venga approvata la proposta di legge n. 1360".

lunedì 6 aprile 2009

6 aprile 1994, Kigali

La sera del 6 aprile 1994, l’aereo del presidente ruandese Juvénal Habyarimana, di ritorno da Arusha, in Tanzania, dove si erano tenuti negoziati di pace con i ribelli del Fronte patriottico ruandese (a maggioranza tutsi, oggi al potere), venne abbattuto sopra Kigali.
I responsabili dell’attacco non sono stati mai identificati.
Il giorno dopo, il primo ministro hutu moderato, Agathe Uwilingiyimana, dieci caschi blu belgi della Missione di osservazione delle Nazioni Unite (Minuar) e diversi ministri dell’opposizione vennero uccisi.
Cominciarono i massacri su vasta scala.
I tutsi vennero accusati dal governo hutu, allora al potere, di complicità con i ribelli arrivati dall’Uganda, entrati nel nord del Paese a partire dal 1990, e furono preparati elenchi delle persone da uccidere.
Il braccio armato del governo, le milizie hutu Interahamwe e le Forze armate ruandesi massacrarono gli «Inyenzi» (blatte nella lingua kinyarwanda, come venivano definiti i tutsi), gli hutu che si opponevano al partito di Habyarimana e coloro che rifiutavano di partecipare ai massacri.
Nelle strade di Kigali vennero eretti posti di blocco, mentre miliziani e soldati perquisivano le case.
I miliziani Interahamwe, nati come il «movimento dei giovani» del partito di Habyarimana, divennero una vera macchina di morte, con i massacri che si estesero a tutto il paese.
Uomini, donne, bambini vennero sterminati a colpi di machete e fatti a pezzi da granate e mortai nelle strade, nelle case, ma anche nelle chiese e nelle scuole dove cercavano rifugio.
Anche la popolazione, mobilitata dalle autorità e dai mass media, prese parte ai massacri, ai saccheggi e alle sistematiche violazioni.
Il 28 aprile 1994, Medici senza frontiere della sezione belga denunciò che era in atto un vero genocidio
«È l’orrore totale. Siamo nel cuore delle tenebre», disse il portavoce della Croce rossa.
Ma la missione delle Nazioni Unite si rivelò incapace di fermare il bagno di sangue, mentre la comunità internazionale si dimostrò paralizzata sul da farsi.
Inoltre, i caschi blu vennero ridotti da 4.000 a 270 uomini.
Il 4 luglio, il Fronte patriottico ruandese conquistò il controllo di Kigali.
La vittoria dei ribelli diede inizio a sua volta a un esodo di centinaia di migliaia di hutu verso il vicino Congo, mentre la Francia lanciò l’operazione militare-umanitaria Turquoise.
L’8 novembre, le Nazioni Unite crearono un Tribunale penale internazionale per il Ruanda ad Arusha, in Tanzania.
Le prime condanne all’ergastolo arrivarono quattro anni più tardi, ma a 15 anni di distanza sono ancora centinaia i colpevoli di genocidio sfuggiti alla giustizia e riparati all'estero

Sono centinaia i presunti responsabili ancora latitanti.
Molti di loro hanno trovato rifugio in Belgio, Canada, Francia, Kenya e nella Repubblica democratica del Congo (RDC).
Furono almeno 800.000 i tutsi e gli hutu moderati uccisi in meno di 100 giorni, tra aprile e luglio del 1994.
Formalmente ricercati dal Tribunale penale internazionale per il Ruanda, o sospettati dai parenti delle vittime, i ricercati vivono sotto falsa identità o alla luce del giorno, a volte godendo dello status di rifugiato politico.
In fuga davanti all’avanzata delle truppe guidate da Paul Kagame, numerosi miliziani hutu, noti come ’Interahamwe', hanno trovato rifugio nel vicino Congo, subito dopo la fine dei massacri, dove non hanno mai veramente deposto le armi, nonostante le operazioni militari lanciate contro di loro da Kinshasa, di cui l’ultima lo scorso gennaio.
Altri sospetti colpevoli di genocidi hanno preferito lasciare la regione dei Grandi Laghi: per rimanere in Africa, come il presunto tesoriere del genocidio, Felicien Kabuga, che avrebbe trovato rifugio in Kenya, secondo il Tribunale penale internazionale per il Ruanda; o per andare in esilio in Europa o in America settentrionale, in particolare in Belgio e Canada, dove «vivono centinaia di presunti assassini», secondo la Corte ruandese.
Gli autori dei genocidi sono «ovunque» in metropolitana, nelle strade e nei caffè di Bruxelles. In Francia, le famiglie di vittime hanno presentato nel marzo 2008 una denuncia contro Agathe Habyarimana, vedova del presidente ruandese Juvénal Habyarimana, ucciso nell’attentato messo a segno la sera del 6 aprile 1994 contro l’aereo con cui stava rientrando nel Paese e che innescò i massacri.
Secondo il Collettivo delle parti civili per il Ruanda, la signora Habyarimana avrebbe partecipato alla «pianificazione, all’organizzazione e alla direzione del genocidio».
Parigi le ha rifiutato lo status di rifugiato politico, ma la vedova continua ad abitare nell’area parigina senza essere indagata.
Un’altra decina di ruandesi che vivono in Francia sono sotto inchiesta per presunta complicità nel genocidio.
Tuttavia, il governo di Parigi si è opposto all’estradizione a Kigali di tre ruandesi, giudicando insufficienti le garanzie offerte dalla giustizia di Kigali che li ha condannati per il rispetto delle norme internazionali.
Anche la Corte suprema del Canada ha dato parere negativo all’estradizione in Ruanda di Leon Mugesera, ritenuto uno degli «strateghi» del genocidio.
Importante paese di immigrazione, il Canada ospiterebbe 800 sospetti autoeri di genocidi. Ottawa ha ricevuto nel 2007 da Kigali e dall’Interpol una richiesta di estradizione per cinque uomini, ma è rimasta sulla carta.
«Non è una priorità dare la caccia ai genocidari ruandesi», ha commentato René Provost, direttore del Centro per i diritti della persona e per la pluralità giuridica dell’Università McGill.
Tuttavia, è incoraggiante che nel 2007 sia stato portato a giudizio Desire Munyaneza, un hutu accusato di aver guidato una milizia.
Si tratta del primo processo di questo tipo che si è tenuto in Canada, che sarà «un test» perché «a parte l’Europa», pochi Stati fanno lo stesso, sebbene siano oltre un centinaio i Paesi che hanno aderito alla Corte penale internazionale dell’Aia(Cpi), il tribunale permanente chiamato a giudicare i crimini di genocidio.
E, nonostante la lentezza della giustizia, potrebbe segnare «l’inizio di una cultura della giustizia penale internazionale», perchè questo processo incoraggerà «gli Stati a riconoscere come uno dei loro obblighi il dovere di arrestare e giudicare individui che hanno commesso atti di genocidio».

6 aprile 2009, il terremoto

Oggi è il mio compleanno, con gli auguri di mia mamma, dei miei alunni, che si sono ricordati anche se io non avevo detto nulla, dei blogger di Libero e di chi mi conosce da tanto tempo, ma le immagini terribili del terremoto in Abbruzzo mi resteranno a lungo nel più profondo del cuore con tanta tanta tristezza
Ho rivisto le immagini che avevo fatto in un bellissimo viaggio estivo in terra abbruzzese, alcuni anni fa, inserite nel mio sito, e le parole che vi avevo aggiunto.
Quanta angoscia per tutte quelle persone senza casa ormai, per i feriti ed i morti...
Ma non è possibile, mai, fare prevenzione, qui in Italia, ed evitare queste disgrazie annunciate???
La speranza che anche la blogger Anna , che vive a L'Aquila, stia bene si mescola con la mia costernazione dopo che ho letto nel suo blog il post da lei scritto alla fine di marzo : Il Terremoto
Una settimana fa Anna raccontava del forte terremoto di quel giorno, del suo terrore e del fatto che aveva dormito in macchina in preda alla paura !!!
Una settimana fa c'era già stata una forte scossa sismica a L'Aquila ma tutto era passato sotto silenzio
Perchè? Perchè nessuno si è preoccupato allora ???
Ora possiamo solo piangere con le vittime del terremoto, indignarci per un'ennesima tragedia annunciata da ben due mesi di scosse sismiche e pregare per i morti
e sperare che non si ripeta troppo presto un'altra volta, altrove...con tutto quel dolore, quella distruzione e quelle morti angoscianti