lunedì 12 dicembre 2011

La Casta

" ... in molte Regioni governate da noi il vitalizio è già stato abolito. Sia ben chiaro: si tratta di un intervento che non è a costo zero per tante persone, perché molti una volta finito il mandato si troveranno in una condizione non molto diversa da quella dei lavoratori messi oggi in mobilità che non possono arrivare alla pensione. Persone che ha fatto politica da sempre e non hanno una professione, altri che hanno dovuto trascurare il loro lavoro, politici che una volta tornati a casa dovranno vivere con lo stipendio della moglie. ... per molti di loro non stiamo parlando del superfluo, ma dell’essenziale della vita. Poi devo ricordare che l’indennità dei deputati non è più indicizzata dal 2001, da quando era presidente Casini. Mentre in questa legislatura, dall’inizio del 2008, abbiamo tolto 500 euro dalla diaria, 500 dal rimborso del cosiddetto rapporto con gli elettori e altri 500 dall’indennità. Il totale fa 1500 euro al mese. Dovuti».
«...  Dobbiamo ancora dare. Però attenzione perché se dovessimo adeguarci alla media europea, per effetto dei compensi ai collaboratori che in Europa sono più alti, noi costeremmo di più».
....
«E’ iniziato un percorso che porta alla delegittimazione della politica ma soprattutto del Parlamento. Ed in tutto questo ci vedo un pericolo per la democrazia del Paese, perché ogni volta che è stata attaccata la vita parlamentare c’è sempre stato un affievolimento delle garanzie democratiche. Ma se fossimo percepiti utili alla vita del paese probabilmente l’opinione pubblica non sarebbe così insofferente per le nostre indennità».
«Bisogna cambiare la legge elettorale, ridurre il numero dei parlamentari, e poi introdurre regole che ci difendano dagli Scilipoti e dalle compravendite dei deputati, dagli strani modi con cui una persona viene candidata. Insomma bisogna fare il possibile per ristabilire la dignità dell’istituzione, perché avanti di questo passo non cambia se lo sbocco è una dittatura populista o l’affermazione di una tecnocrazia». dall'intervista pubblicata oggi su La Stampa To a Rosy Bindi  PD
Non sono così ottimista come l'onorevole del PD Rosy Bindi sulle abolizioni dei privilegi della casta politica italiana in tempi brevi così come non credo che si possano paragonare certi politici ai comuni lavoratori che perdono il posto   
I privilegi della classe politica attuale ci sono e come tali saranno difficili da togliere in tempi brevissimi visto quanto i parlamentari sono affezionati ai loro stipendi e pensioni, non certo da operai. La nuova manovra salva Italia del governo Monti non è granch' è equa e si affida pure lei alla " generosità ed al buon cuore" dei soliti che hanno sempre pagato le tasse
La lotta all'evasione, la tassazione dei redditi elevati, la riduzione delle spese militari, la riduzione dei Parlamentari stessi, sono delle belle parole che come tali riempiono la bocca di tutti quelli che ci governano, anche i tecnici di nuova nomina, ma nulla cambia mai sotto il sole ed il cielo del bel paese. Pagano i pensionati, pagano i lavoratori dipendenti, pagano i ceti medi e bassi Come sempre E solo loro
Sono perfettamente d'accordo invece con l'onorevole Bindi sul fatto che si debba cambiare la legge elettorale, il porcellum del leghista Calderoli, ma anche che sia estremamente importante che si facciano delle leggi che salvaguardino il parlamento da quei politici che continuano a cambiare partito Quelli che vengono eletti con un partito che poi lasciano per passare al gruppo misto, per passare ad un altro partito di tendenza completamente opposta al primo e poi magari di passare anche ad un  terzo, con lauti pagamenti per la felice scelta !!!
Si dovrebbe far sì, per esempio,  che un onorevole che è stato eletto in un partito resti in quel partito per tutto il tempo della sua nomina; nel caso decida invece di uscire dal partito, deve essergli impedito di restare in Parlamento Deve dimettersi, lasciare il posto ad un altro e tornarsene a casa. In questo modo non avremmo i vari Scilipoti di turno e non saremmo arrivati ad un governo Monti, che per salvare l'Italia dalla catastrofe ci affossa con tasse, Ici Imu e quant'altro ci sia, da fare pagare ai soliti poveri tapini che già tirano la cinghia per arrivare a fine mese
E Berlusconi, invece di dire le sue solite cretinate tipo " gli Italiani sono tutti benestanti ", farebbe meglio a togliere i veti che impone al nuovo governo e a pagare le tasse anche per le sue emittenti televisive, che ora sono gratis 
Come Bossi, che inneggia alla  secessione della Padania e alle nuove monete padane, perché " l'euro è kaput", dovrebbe ritirarsi in silenzio in un bel eremo cisalpino " in cima ai bric " a meditare ; con i suoi tira e molla con il Pdl, per mesi e mesi la Lega non ha fatto altro che fare casino e non combinare nulla, contribuendo ampiamente ad aumentare il deficit italiano, quello che ora dobbiamo pagare noi naturalmente, e a portare l'Italia sull'orlo del baratro economico
Se si vergognassero tutti quanti almeno, invece di continuare a blaterare idiozie da tutti i salotti politici esistenti in  Rai e nelle Tv private, saremmo tanto felici di non vederli più, i signori della casta politica italiana E la democrazia migliorerebbe alquanto ....

Angela Casella

E' morta Angela Casella, che osò sfidare la 'ndrangheta quando le rapirono il figlio
Nel giugno 1989 Angela si incatenò nelle piazze di Platì e San Luca, paesi dell'Aspromonte, per chiedere la liberazione di suo figlio Cesare 
«Combatti con qualcosa che non vedi e che non senti». Erano state le sue parole per cercare di sconfiggere quegli uomini senza volto e senza scrupoli. Piccola, minuta, il volto scarno, il coraggio negli occhi I giornali la chiamarono «Mamma coraggio». Si legava dentro a una tenda e fuori appoggiava dei cartelli: «Cesare, forse tu non hai nemmeno una tenda». O si teneva solo ai ceppi: «Mio figlio è così da 17 mesi». Attorno aveva qualche madre calabrese. Colpiva i cuori, in silenzio. E’ morta in silenzio, tre anni di interventi chirurgici, una lunga malattia, una voce flebile: «Non odio la Calabria. E’ una regione bellissima. Ne ho un ricordo stupendo, se penso ai quei giorni. Di solidarietà».
Cesare Casella fu liberato il 30 gennaio 1990, quando la madre era tornata a casa e i carabinieri avevano arrestato Giuseppe Strangio, l’esattore della banda, la notte di Natale, mentre cercava di ritirare un nuovo miliardo del riscatto.
La sera di lunedì 18 gennaio 1988, mentre Cesare stava rientrando con la sua auto nella nebbia, una vettura gli bloccò la strada e due banditi incappucciati lo prelevarono puntandogli contro una pistola. Prima lo tennero in un garage, vicino a Pavia, poi lo trasferirono sull’Aspromonte. Nella stessa zona erano prigionieri Marco Fiora e Claudio Celadon, altri due sequestri che fecero storia. Li costringevano in tane lunghe due metri, larghe uno, e alte uno e mezzo, ai piedi di un albero alla cui base erano assicurate le catene da legare alla caviglia e al collo della vittima. Le pareti erano foderate da un muro di sassi. Sopra, una lamiera ricoperta di foglie.
Quando, dopo aver già ricevuto il miliardo pattuito, il telefonista della banda ne pretese altri 5, insultando il padre Casella, Angela decise di andare in Calabria per manifestare la sua disperazione. Scese una prima volta nel novembre 1988. Poi il 10 giugno ’89, per rompere il silenzio e smuovere le coscienze. Girò le piazze e raccolse firme di solidarietà, suscitando ammirazione e commozione e inducendo lo Stato a fare qualcosa di più. Alla fine, quella drammatica partita la vinse lei. Cesare venne liberato dopo 743 giorni. Solo Carlo Celadon  restò più tempo in mano agli aguzzini: 831 giorni.
«Non bisogna mai aver paura» sono le parole di Angela che ricorderò sempre e la sua grande forza di donna coraggiosa, tenace e combattiva.

domenica 11 dicembre 2011

Ombre di un lontano passato di morte

"Così sterminarono donne e bambini"
Strage di Fucecchio,  provincia di Firenze, 1944. 
" Le urla non si possono dimenticare. «La mi’ sorella aveva 16 anni. Urlò tanto: “Non m’ammazzate, non m’ammazzate!”. Ma poi l’ammazzarono...». 
«Mi ricordo... Altroché se mi ricordo. Arrivarono... Noi eravamo tutti a letto. La mi’ sorella la presero per il collo e la mi’ mamma disse: “Che ‘ni fai?". E loro presero e andarono via. Presero tutte le persone che c’erano, le misero al muro e le mitragliarono. Io rimasi su e vidi che buttarono come una bomba a mano, poi crollai e sentii un colpo di dietro per vedere se ero viva. Me lo porto fino alla morte, purtroppo, questo dolore».
«Poi ammazzarono i miei due cugini , li ammazzarono tutti e due con la cassa del fucile. Il piccino puppava la mamma e quello grande aprì gli occhi. La mamma disse: “Puppa, bimbo, puppa”. E gli diedero na’ costa sul capo...». 
Dalla testimonianza resa a processo della signora Giovanna Simoni, che il 23 agosto 1944 aveva 12 anni      
Furono due ore di spari nelle campagne, fra i canneti e i campi di mais del Padule, zona povera e contadina fra Fucecchio e Montecatini. Due ore di violenza senza pietà, uno dei più gravi eccidi compiuti dai nazisti durante la seconda guerra mondiale, undici giorni dopo quello di Sant’Anna di Stazzema, in cui furono trucidate 184 persone: 94 uomini, 63 donne, 27 bambini. 
Dalla primavera 2011 quella strage ha però dei colpevoli. Il tribunale militare di Roma ha infatti condannato all’ergastolo 3 soldati tedeschi, contumaci, che non hanno partecipato alle udienze e non hanno mai voluto dire neanche una parola al riguardo. Sono l’ex capitano Ernst Pistor, l’ex maresciallo Fritz Jauss e l’ex sergente Johan Robert Riss, 88 anni, che appartenevano a diversi reparti della 26a divisione corazzata dell’esercito nazista. Un quarto imputato, l’ex tenente Gherard Deissmann, è morto a cent’anni prima della fine delprocesso.
Lo storico Poalo Pezzino ha definito quanto successo nelle campagne di Fucecchio «un’operazione di desertificazione totale». Definizione che il procuratore Marco De Paolis ha fatto sua durante la requisitoria: «Uccisioni a sangue freddo, guardando negli occhi donne e bambini innocenti. Speriamo solo che se la sentenza verrà confermata in Cassazione,  ci sia la possibilità di far scontare la pena, almeno in Germania».
Anche l’inchiesta sull’eccidio di Fucecchio era finita nel famigerato armadio della vergogna, quello con l’apertura rivolta verso il muro, dimenticato in uno sgabuzzino della procura militare di Roma, assieme a molti altri fascicoli giudicati imbarazzanti. Per fortuna il primo lavoro d’indagine fatto sul campo dagli ufficiali americani non è andato perduto e, dopo 67 anni, il tribunale ha disposto anche un risarcimento di 13 milioni di euro a carico degli imputati e del responsabile civile, individuato nella Repubblica federale di Germania.
Fucecchio è il paese di Indro Montanelli 
«Finalmente giustizia; la cosa più importante è che si è dimostrato che non contano solo le responsabilità degli alti comandi. Qui sono stati individuati alcuni esecutori materiali della strage. Una carneficina disumana, per intimidire la popolazione e guadagnarsi una via di fuga»  sindaco di Fucecchio, Claudio Toni 
Nella zona del Padule restano le lapidi ai caduti, i casolari diroccati,e  ancora diverse testimonianze della strage. I nazisti avevano il loro comando a Villa Poggi Bancheri. 
La signora Elda Gintoli continua ad abitare poco lontano da lì, nel podere la Pineta: "Quella notte mio nonno disse che si doveva andare a dormire tutti sotto le cannelle, per stare più sicuri. Ma mio padre mi richiamò a casa e mi salvai. Tutti fummo svegliati dalle raffiche di mitra». I nazisti battevano la zona a cavallo. Non c’erano partigiani sotto le cannelle, solo contadini con i loro bambini che cercavano rifugio."
 Il teste Baldi: «Il giorno dopo ho visto i morti per terra, li mettevano su’ carretti sanguinosi... Poi noi figlioli c’hanno portato via...»
Il teste Tognozzi: «Fecero una grande buca comune. Li buttarono tutti dentro e poi la ricoprirono. Dopo un mese, a molti non si riconosceva più il viso. Io volevo scappare. Perché ho sempre avuto il pallino, da quando ero piccolina, di correre... Corri, corri! Perché io mi sogno sempre i tedeschi alle spalle, sono su un argine e loro dietro, con il fucile...».
Mi chiedo sempre, quando leggo testimonianze come queste, come abbiano potuto gli aguzzini tranquillamente dimenticare, per anni ed anni, vivendo vite normali in una Germania che ha cercato in tutti i modi possibili di cancellare il nazismo e i nazisti, facendo sì che gli assassini restassero impuniti per sempre 

Stragi naziste in Italia

Molti autori delle stragi naziste in Italia sono ancora vivi, ma non hanno mai pagato per gli eccidi commessi perché, nonostante i mandati d'arresto, la Germania ne ha sempre rifiutato la consegna 
 " Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Civitella Val di Chiana sono le   località tragicamente segnate dalla lunga scia di sangue  della Seconda guerra mondiale, che accompagnò la «ritirata del terrore» delle truppe naziste dal sud al nord dell’Italia. Furono circa 400 gli eccidi compiuti, per un totale di circa 15.000 vittime innocenti. I responsabili, impuniti per decenni, sono ormai in gran parte deceduti, ma 17 di loro, condannati dalla corte di Cassazione in via definitiva all’ergastolo, sono ancora vivi  e se ne stanno tranquillamente nelle loro case in Germania, perché i mandati di arresto europeo nei loro confronti sono stati respinti e non hanno avuto esito i successivi tentativi dei magistrati di far scontare le pene nel loro Paese. 
Il dato è stato dato dal capo della procura militare di Roma, Marco De Paolis, l’ufficio giudiziario attualmente competente per la stragrande maggioranza di questi processi,  che lo stesso magistrato ha in buona parte istruito a partire da metà degli anni ’90, dopo la scoperta del cosiddetto «armadio della vergogna», quando era procuratore militare della Spezia ( l'ufficio fu poi soppresso ). Tra questi ex criminali di guerra,  tutti ultraottantenni - alcuni quasi centenari -, vi sono i responsabili di alcuni dei peggiori eccidi compiuti nel corso della seconda guerra mondiale: 8, condannati all’ergastolo dalla Cassazione per la strage di Sant’Anna di Stazzema -560 vittime-, sono ancora in vita e non scontano la pena; 3  per Marzabotto - 770 vittime -; 1 per gli eccidi di Civitella Val di Chiana, Cornia e San Pancrazio - 244 vittime -; 1 per Branzolino e San Tomè - 10 vittime -; 1 per la Certosa di Farneta -oltre 60 morti - e 1 per Falzano di Cortona - 16  civili trucidati -. Solo un altro condannato all’ergastolo per la strage di Falzano di Cortona, Josef Scheungraber, 93 anni, è finito in prigione,   perché è stato condannato anche in Germania per  l’eccidio commesso.
Per tutti i condannati definitivi la magistratura militare ha emesso nel tempo i relativi mandati di arresto europeo, ma poiché la Germania ha sempre rifiutato la consegna, i giudici con le stellette hanno inoltrato al ministero della Giustizia la richiesta di esecuzione della pena in Germania, non  ricevendo però alcuna risposta. Si sono perse le tracce  delle loro istanze e   non si sa  se sia il governo tedesco che deve ancora pronunciarsi, o se è quello italiano che non ha mai inoltrato l’istanza alla Germania. 
Solo per 2  condannati dalla Cassazione al carcere a vita, perché ritenuti responsabili delle stragi compiute nell’agosto ’44 nel comune toscano di Fivizzano, dove furono trucidate complessivamente 346 persone, in maggioranza donne e bambini, il pubblico ministero non ha ancora spiccato il mandato di cattura europeo, in attesa che diventi irrevocabile la condanna anche per altri 2 coimputati. 
( 29/05/2011- La Stampa To, riassunto  e risistemato da ericablogger )
Ho ritrovato per caso questo articolo, che avevo letto e conservato con cura, perchè avevo trovato veramente scandaloso il comportamento delle autorità tedesche nel proteggere gli autori delle stragi naziste e "inconcludente", come al solito, quello del governo italiano  (l'ex-coalizione Lega- Pdl di Berlusconi). 
In un periodo di profonda crisi economica e politica dell'Europa, come è quella attuale, dove da mesi le decisioni salva -stati  sono prese in funzione della cancelliera tedesca Angela Merkel e dei suoi diktat, sorge in me un grande senso di sgomento e di smarrimento. Perchè la Germania, alla sacrosanta richiesta di punire gli assassini nazisti e di avere finalmente giustizia, non fa nulla?   Il silenzio assordante delle istituzioni tedesche per le vittime innocenti di troppe stragi efferate, anche se ormai lontane nel tempo, o il loro rifiuto a consegnarceli, sono preoccupanti . Ottenere il riconoscimento delle colpe e la detenzione in Italia di quegli assassini sarebbe sicuramente un passo importante nei confronti del governo tedesco, che ha, e continua a proteggere uomini che non meritano di essere considerati tali, visto ciò  che commisero, vigliacchi che si sono sempre nascosti dietro le loro divise e la scusa spregevole di "obbedire a degli ordini superiori", uomini senza vergogna e senza rimorso alcuno per aver barbaramente massacrato tanti civili innocenti

Piazza Tienanmen

Nel giugno 1989, l’esercito cinese aprì il fuoco sui dimostranti, facendo un numero ancora imprecisato di vittime, un bagno di sangue spaventoso, durante le proteste di piazza Tienanmen, a Pechino.
Ricordo ancora bene le sconvolgenti immagini di violenza trasmesse dai telegiornali dell'epoca, in particolare il coraggio del giovane uomo che a braccia aperte sfidava il carro armato che gli stava andando contro...
Più nessuno ormai ricorda piazza Tienanmen, più nessuno ne parla; la Cina è diventata la grande potenza che domina l'economia mondiale e in Cina tante industrie italiane hanno trasferito le loro fabbriche, sacrificando i lavoratori italiani, perchè là si paga meno la manodopera, perchè là non ci sono gli stessi diritti sindacali che proteggono i lavoratori ( anche se attualmente l'ad  della Fiat Marchionne sta  imponendo anche qui a  sindacati e lavoratori dell'auto regole nuove,  modello Pomigliano !...) 
E dalla Cina si acquistano prodotti di tutti i tipi, a volte perfino pericolosi per le sostanze inquinanti con cui sono fabbricati. Una cino-dipendenza economica veramente eccessiva a volte, soprattutto se si dimentica quanto siano limitati i diritti umani dei cittadini che vivono in quel paese.
Ma che cos'è attualmente piazza Tienanmen per i Cinesi ?
In Cina " è il tabù più grande che esista, una data che non può essere menzionata sul Web, che viene pronunciata a proprio rischio e pericolo, che porta, ogni anno, la capitale e il Paese intero ad uno stato di allerta casomai qualcuno volesse dire a voce alta che Pechino non dimentica. Così, le più audaci forme di protesta sono talmente oscure ed intricate da essere rebus per iniziati, un linguaggio in codice comprensibile solo ad alcuni dissidenti e accaniti «netizen» su Internet, e alle forze dell’ordine." ( da La Stampa online To)
Solo Hong Kong, l’ex-colonia britannica tornata nel 1997 sotto la sovranità cinese ma che, grazie alla formula «Un Paese Due Sistemi» continua a godere di significative libertà politiche, ricorda ancora piazza Tienanmen. 
" Qui, dove un milione di persone scesero nel giugno 1989 al Parco Vittoria per denunciare la decisione di sparare contro la folla, ogni anno viene tenuta una commovente veglia a lume di candela, durante la quale vengono cantate le canzoni di ventidue anni fa, ricordati i morti, e chiesta giustizia e democrazia in nome loro e di tutti quelli che si battono per le riforme politiche in Cina. Fra i più famosi  il premio Nobel Liu Xiaobo, incarcerato, e l’artista Ai Weiwei, scomparso dopo l’arresto.
Quest’anno, le Madri di Tienanmen, un gruppo di familiari delle vittime del 4 giugno 1989, in una lettera aperta hanno rivelato al mondo di essere state contattate da alcuni agenti che volevano sondare la possibilità di offrire loro un pagamento, in cambio della sospensione del loro movimento per la memoria dei loro cari. Gli agenti hanno ricevuto un rifiuto oltraggiato, e le madri hanno anche specificato che, quest’anno, dopo che Pechino si è lasciata spaventare dai richiami online per organizzare delle «proteste dei gelsomini» come quelle che scuotono il Medio Oriente, e mentre si intensifica nel Partito comunista l’appostarsi strategico in preparazione delle nomine alle massime cariche politiche nell’ottobre del prossimo anno, «la situazione è la peggiore dal 4 giugno 1989. Il silenzio regna in tutto il Paese». " 
Un silenzio assordante anche nel resto del mondo perché, in nome del Dio denaro, è più importante fare affari economici con la Cina  e dimenticare quanto sia dispotico il regime "comunista" che la governa ....

lo Stato di New York e i matrimoni gay

Dopo il Massachusetts, il Connecticut, l' Iowa, il New Hampshire, il Vermont e il Distretto di Columbia, il Senato di Albany, capitale dello Stato di New York, ha legalizzato i matrimoni gay, con 33 voti a favore e 29 contrari, il 25 luglio 2011, ribaltando il No di due anni fa. 
Andrew Cuomo, governatore dello Stato dal 1 gennaio 2011, per conquistare alla causa l’opinione pubblica, ha puntato sul sentimento libertario dell’America progressista e tutrice dei diritti umani, l’America della Rivoluzione, l’America della Dichiarazione d’Indipendenza, che il 4 luglio 1776, a Filadelfia, proclamava il diritto alla “ricerca della felicità”, e ne faceva il collante dell’emancipazione di individui e popoli.
Seguendo quella Dichiarazione, che riemerge sempre potente nella coscienza americana per affrontare e vincere le grandi battaglie contro discriminazioni e razzismo, New York ha legalizzato il Marriage Equality Act. 
Andrew Cuomo ha rievocato il solidarismo delle libertà attraverso una campagna d’informazione che ha messo a nudo ipocrisie perbeniste omofobe e connivenze della cattiva coscienza politica che le alimenta. Una campagna capillare che ha potuto contare sulle generosissime erogazioni di magnati della finanza repubblicana come Paul Singer, che ha un figlio dichiaratamente omosessuale, e che ha creato grandi turbamenti tra i parlamentari repubblicani, spezzando atavici pregiudizi e legami clericali. 
Come è accaduto al senatore cattolico Mark J. Grisanti della città di Buffalo, contea di Erie, che ha votato per i matrimoni gay e che ha così spiegato il suo cambiamento di giudizio: «Ho letto numerosi documenti e fatto studi indipendenti. La posta in gioco era alta e ho sentito tutto il peso di dover prendere davanti a tutti una decisione informata. Sono giunto così a ritenere che tutti i newyorchesi debbano avere gli stessi diritti. In qualità di avvocato ho analizzato la legislazione e ho concluso che non si possono prevedere deroghe determinate da veti di istituzioni religiose. Non posso negare a una persona, a un essere umano, a un contribuente, a un lavoratore, a nessuno della mia città e di tutto lo Stato di New York di avere gli stessi diritti che io ho con mia moglie».
Una presa di coscienza democratica dunque, che viene prima del Partito e della Chiesa, e che è un formidabile appello a riflettere sul concetto stesso di appartenenza nella cittadinanza democratica: intransigente su pariteticità e reciprocità di diritti e doveri. Perché è qui la pratica democratica, il fulcro della democrazia americana, che non fa sconti su quel fondamentale diritto umano alla ricerca della felicità che è un tutt’uno con vita e libertà, come  la Dichiarazione del 1776 proclamava.
L’alleanza a favore dei matrimoni gay  si è strutturata nello Stato della Grande Mela anche tra il suo governatore, Andrew Cuomo, e il suo sindaco, Michael Bloomberg. 
Democratico e cattolico il primo, Repubblicano ed ebreo il secondo; storie e culture personali diverse, che si sono incontrate sul terreno comune del pluralismo democratico per dare il loro apporto istituzionale di governanti al diritto dei gay alla felicità. 
« È arrivato il momento di consentire a milioni di uomini e donne di diventare pienamente membri della famiglia americana, dobbiamo continuare il cammino iniziato dai nostri padri fondatori. Oggi la maggioranza degli americani è a favore del matrimonio gay e sempre di più le persone giovani tendono a vedere il matrimonio gay come negli anni Sessanta si vedevano i diritti civili»  26 maggio 2011 Università Cooper Union di Manhattan, dichiarazione di Bloomberg   in risposta a quanti pensavano che bastassero le già previste “unioni civili”,  
Libertà e uguaglianza   non posso essere a mezzo servizio    «Questo voto oggi manda un messaggio al paese. Questa è la strada da seguire, è un trionfo storico per eguaglianza e libertà. New York è sempre stata leader nei movimenti che si battono per ampliare libertà ed eguaglianza alle persone a cui è stata negata piena cittadinanza nella famiglia americana. Nell'accogliere tutte le persone, non importa da dove provengano, quale fede o filosofia professino, o chi amino, New York è diventata la più forte città dinamica del mondo. E oggi siamo più forti di quanto non lo fossimo ieri». Governatore Cuomo , dopo la vittoria dei sì
Libertà giustizia uguaglianza sono i valori fondativi dell’emancipazione umana, il richiamo ai diritti umani voluti dai Padri fondatori, l' impegno a rendere tutto questo realtà, e il dovere dei governanti a trovare le soluzioni legislative per garantire ai cittadini quella «sicurezza e felicità» sancita già a Filadelfia.
E' questo il patto tra Bloomberg e Cuomo, che sulla strada della giustizia e della libertà hanno fatto dialogare anche il miglior ebraismo del primo: impegno a costruire il paradiso in terra, col miglior cristianesimo del secondo: la carità che è comprensione e assunzione della prospettiva dell’altro. 
Democratici e repubblicani uniti  perché la libertà è un bene comune. Perché quella statua della Libertà che svetta all'entrata del porto di New York resti la fiaccola che vuole ancora illuminare ciascuno nella ricerca della propria emancipazione e autodeterminazione da conquistare anche attraverso la serenità affettiva di un progetto di vita matrimoniale. 
La patria della libertà, che spesso proprio l’accesso alla reciprocità delle libertà ha tradito, ha rimesso il valore della libertà come centro della sua storia, nonostante le reprimende del vescovo Timothy Michael Donal, presidente della Conferenza Episcopale Usa, che vorrebbe che i principi del catechismo cattolico, considerati eterni e assoluti, fossero legge statale. Secondo la chiesa curiale, il matrimonio fondato sull'unione tra un uomo e una donna per tutta la vita è una «verità senza tempo», «una verità innegabile», «una pietra angolare». 
Ma negli States la separazione tra Stato e Chiesa è una cosa seria, come ben  sanno i suoi cittadini e i suoi governanti...

Piazza Fontana

Alle 16.37, il 12 dicembre 1969, Roberto Antonucci Prina si trovava al lavoro, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana, a Milano, quando esplose la bomba che uccise 17 persone. Una strage rimasta senza colpevoli, un mistero mai risolto degli anni più bui dell’Italia del dopoguerra. 
Il tribunale del lavoro di Imperia, 42 anni dopo l’attentato, ha riconosciuto all’ex cassiere  settantunenne un risarcimento di oltre 500 mila euro. Il giudice Enrica Drago ha accolto il ricorso dell’uomo, guarito dalle ferite fisiche della bomba ma non dal trauma, e ha condannato al pagamento il ministero dell’Interno e l’Inps.  
«Le vittime degli attentati si sentono abbandonate», è l' accusa dell’uomo, che ha deciso di trascorrere la vecchiaia nel ponente ligure, lontano da quella piazza, ma non da quella tragedia che lo ha segnato per sempre. «Quel 12 dicembre la mia vita è cambiata per sempre. Soffro di disturbi post trauma e di stress cronico». Malattie certificate dalle numerose perizie mediche presentate al tribunale nel corso degli anni. Una battaglia a colpi di carte bollate, che si è conclusa soltanto ora: all’uomo sono stati riconosciuti i benefici sanciti dalla legge per le vittime delle stragi e potrà farsi curare a spese dello Stato, ricevendo, oltre al risarcimento, un vitalizio mensile. «Per quanto mi riguarda non posso che ritenermi soddisfatto di questa sentenza; mi chiedo però quante altre persone come me debbano ancora soffrire». 

martedì 6 dicembre 2011

Dimentichiamoli !

In questi ultimi giorni sul quotidiano e nei telegiornali in Tv si è di nuovo parlato di Erika e Omar, i due giovani fidanzati assassini che una decina di anni fa furono condannati per un efferato omicidio che sconvolse l'Italia intera. Avevano sedici anni circa quando nel febbraio del 2001 uccisero senza pietà a Novi Ligure la madre ed il fratellino di lei e cercarono di nascondere quell'orrore tremendo e barbaro da loro commesso accusando degli inesistenti albanesi.
Lui è libero già da un anno, più o meno, e lei ha appena lasciato la comunità Exodus di Lonato, nel bresciano.
I media naturalmente si sono di nuovo buttati a pesce sui due facendo a gara nell'intervistarli e nel parlarne a iosa
Non sono stati, e non sono, certo due persone da prendere ad esempio per ciò che hanno fatto; probabilmente saranno cambiati ma non vedo perché li si debba mettere di nuovo al centro dell'attenzione come delle star.  
Lasciamoli in pace. Dimentichiamoli, completamente, e speriamo solamente che si siano ravveduti ed abbiano capito la gravità del loro gesto insensato ed immotivato provando rimorso e vergogna perenni ...
Hanno ucciso togliendo la vita a due esseri umani innocenti, ed è questo che loro non dovrebbero mai dimenticare, visto quanto sia stata mite la loro condanna in effetti ( la Graneris, l'altra giovane piemontese che uccise la nonna restò in carcere molti più anni, se ben ricordo ).
Come non dovrebbero mai dimenticarlo giornali e Tv !!! 
Possiamo provare pietà per loro ma niente altro e sinceramente non ci interessano proprio per nulla  ... 

l'importanza dei Blogger attivisti

Domenica 3 dicembre, le autorità siriane hanno arrestato la blogger Razan Ghazzawi al confine con la Giordania mentre era in viaggio verso Amman per partecipare a un workshop sulla libertà di stampa nel mondo arabo.
La giovane donna, che ha la doppia nazionalità USA e siriana ed è da tempo attiva nella blogosfera e su Twitter, ma ha anche curato articoli per Global Voices Online e Global Voices Advocacy,. è anche una delle poche blogger siriane che si firma con il proprio nome, sostenendo da tempo i diritti degli attivisti arrestati dal regime siriano e quelli dei gay e di altre minoranze locali. Il suo arresto ha immediatamente provocato rabbia e critiche da parte degli attivisti online di ogni parte del mondo, che hanno subito lanciato appelli per la sua   liberazione. 
L'ultimo post del 1 dicembre nel suo blog  festeggiava la libertà concessa ad un altro blogger, Hussein Ghrer, detenuto dalle autorità siriane per 37 giorni. Purtroppo due giorni dopo è toccato a lei finire nelle carceri del suo paese, dove la libertà e la democrazia non esistono ahimè.
I blogger hanno una funzione molto importante in molti paesi a rischio, ma le loro denunce contro i regimi dittatoriali possono costare cari : questi uomini e donne coraggiosi spesso finiscono in prigione e subiscono violenze e condanne anche pesanti. Un noto blogger egiziano, Alaa Abdel Fattah, per esempio è ancora detenuto sotto false accuse, mentre un blogger del Bahrain, Ali Abdulemam, vive in clandestinità a causa del suo attivismo online.
Ed è notizia di oggi che anche in Russia, dopo la vittoria elettorale del premier Vladimir Putin, che è più una sconfitta in effetti,  la seconda giornata consecutiva delle proteste di piazza, che volano sulle ali di Facebook, ha avuto oltre 300 arresti in una Mosca blindata da colonne di camionette e truppe speciali, nel timore di una rivoluzione arancione o in stile arabo.
In cella sono finiti tra gli altri l’ex vicepremier Boris Nemtsov, lo scrittore Eduard Limonov, il numero due del Partito riformatore filo-occidentale Iabloko Serghiei Mitrokhin, e un tribunale della capitale ha inflitto 15 giorni di carcere, il massimo della pena, ad Ilia Iashin, uno dei leader di Solidarnost, e a Alexiei Navalni, il più popolare blogger russo, entrambi accusati di resistenza a pubblico ufficiale, dopo essere stati arrestati ieri insieme ad altre 300 persone nella più grande manifestazione mai organizzata negli ultimi anni dall’opposizione extraparlamentare. Un’ondata di protesta simile è stata bloccata nello stesso modo anche a San Pietroburgo, con 200 arresti,  e in altre città russe, tra cui Samara e Rostov sul Don.
La tv di opposizione Dozhd  ha già battezzato le manifestazioni  «rivoluzione Facebook», mentre le tv di Stato hanno tenuto sotto silenzio il pugno di ferro contro il dissenso. Ma la rete internet sembra ormai il vero motore della contestazione e riesce a portare in piazza migliaia di persone con il tam tam sul Facebook russo e sul Livejournal. L’arresto e la condanna di Navalni, impegnato nel denunciare la corruzione imperante, rischiano però di ritorcersi contro il potere stesso perché il carismatico blogger è infatti la figura emergente dell’opposizione, l’anello che può saldare la rete con la piazza. 
«Mettendolo in galera hanno fatto l’errore più stupido che potessero fare», ha osservato l’attivista per i diritti umani Andrei Mironov, ex prigioniero politico ed ex dissidente presente sulla piazza Triunfalnaia presidiata da camionette militari e truppe di Omon, gli agenti antisommossa. «Il vero parlamento, il luogo della discussione, non è la Duma ma la rete, che non è controllabile dal potere e sta lentamente politicizzando vasti strati della società suscitando indignazione per brogli e corruzione documentati con tanto di video»«I fischi a Putin sono l’inizio della fine, le proteste continueranno, anche durante le presidenziali, e la svolta arriverà dai 20-30enni cresciuti senza il paternalismo sovietico conservato da Putin» 
La protesta contro le «elezioni farsa», promossa via Facebook da un gruppo denominato «La Rivoluzione continua? Sì!» non è stata autorizzata, il che autorizza quindi la polizia a dare la caccia ai manifestanti, che gridano senza opporre resistenza «Russia senza Putin», caricandoli uno ad uno sui pullmini....
Ma grazie a questi giovani coraggiosi e ai blogger che sfidano lo zar Putin e la sua polizia speciale noi possiamo sapere cosa sta succedendo esattamente anche nell'ex paese comunista  per eccellenza!