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martedì 12 maggio 2020

La Mamma di Silvia Romano

Sono due giorni  che il coronavirus è  finito  in secondo piano perché su tutti i giornali e in TV impazzano le polemiche per la liberazione di Silvia Romano, la giovane cooperante milanese rimasta prigioniera della jiad islamica in Somalia per ben 18 mesi, dopo un rapimento che anche allora provocò polemiche, insulti e quant'altro sui social 
La giovane e  stata liberata con il pagamento  di un riscatto, e già questo è  stato motivo di ire funesta,  ma quello che ha scatenato l'ira  di dio, come si suol dire, è  il fatto che è  tornata vestita come una musulmana ( dopo tutto quel tempo non poteva essere diversamente, no ) e che ha candidamente dichiarato di essersi convertita alla religione  di Maometto e di chiamarsi adesso Aisha, come la terza moglie del suddetto.
Dopo  insulti minacce di morte lettere  e chi più  ne ha più  ne metta, Silvia Romano si è  recata dal capo dell'antiterrorismo di Milano, Alberto Nobili 
Lei ha dichiarato di essere serena, ma la madre, assillata dai giornalisti mentre era uscita un attimo da casa,  ha detto solo una cosa, la stessa che ho pensato io quando ho visto la foto della giovane tutta intabarrata in quel lungo pastrano verde che le ricopriva anche il capo : " Chiunque finisce in quei posti li,  si converte",
Donna saggia, la mamma di Silvia. E posso immaginare l'angoscia di questa famiglia che per mesi non ha avuto notizie della ragazza e poi al suo ritorno si sono ritrovati in mezzo a questa bagarre da circo equestre del solito branco di affezionati insultatori sputa sentenze che devono sempre dire la loro su tutto e su tutti, spargendo veleno e cattiverie a iosa.
La loro felicità  per aver potuto riabbracciare Silvia è  stata sporcata da tutto  quello  che è  successo nelle ore successive  al suo ritorno in Italia.
Sicuramente anche su di lei calerà  l'oblio di stampa e giornali e i frequentatori dei social avranno altre vittime da prendere di mira, ma un'esperienza  simile non è  da augurare a nessuno, ne a chi è  andata sicuramente  in Africa piena di gioia e di speranza convinta di fare del bene ai piccoli del posto, insegnando loro quello che lei aveva appreso in un paese europeo culturalmente avanzato, e che si è  ritrovata nelle mani di fanatici religiosi che non hanno scrupoli di nessun tipo, uomini che in nome di una religione uccidono e sottomettono senza pietà  interi territori occupandoli con le armi e la violenza. Ne tanto meno la famiglia di chi è  stato rapito per tanti mesi, un tempo infinito per chi ha atteso con ansia notizie senza sapere se era ancora viva o se era stata uccisa senza pietà .
Ricordo il rapimento di Giuliana Sgrena,  la giornalista la cui famiglia vive ancora qui in Ossola, e la sua liberazione traumatica in Iraq. Una donna adulta ed esperta tornata provata il cui viso pieno di angoscia e di disperazione non impedí ai soliti di creare un caos di polemiche a non finire. 
La brillante operazione di quella volta fini  nel sangue, mentre questa è stata un successo per il capo di Governo Conte e per Di Maio , che si sono recati entrambi a riceverla all'aeroporto.  
Forse col senno di poi sarà  venuto loro in mente che forse era meglio farla rientrare in sordina, con un silenzio forse ipocrita, ma sicuramente  rassicurante  per lei e per la sua famiglia?
Io penso spesso a padre Dall'Oglio,  scomparso da anni in quel calderone infernale che era  la Siria in guerra, anche lui rapito mentre si dedicava al benessere di chi era in difficoltà,  e di cui non si è  mai più  saputo nulla.
Mentre Quirico, il giornalista di guerra de La Stampa, entrato clandestinamente in Siria,  fu preso e passato di banda in banda fino alla liberazione.  Un uomo fortunato che però  in quell'occasione rischiò  parecchio e subi parecchio. Vide cose inimmaginabili e quando tornò  dichiarò  in una lunga intervista al giornale torinese, per il quale ancora oggi lavora come reporter di guerra, il suo odio per quegli assassini e farabutti che usano la religione mussulmana come scudo per commettere crimini e nefandezze indescrivibili
Questa volta invece ciò  che più  ha scatenato le menti dei soliti è  stato  il fatto che la giovane  Silvia Romano è  tornata  sorridente, apparentemente felice, ben vestita e per nulla sciupata o terrorizzata.
E allora apriti cielo, impiccatela,  arrestatela e tutto il resto del repertorio  becero di un certo mondo di  internet e dintorni
Oggi pomeriggio  io ho accolto il messaggio di Amnesty International  Italia ed ho inviato un breve pensiero a Silvia. Le ho augurato di ritrovare la pace e la tranquillità con la sua famiglia e con chi le vuole bene
E spero il più  presto  possibile perché  non sarà  di certo facile e semplice per lei dimenticare ciò  che le è  successo in Africa, comunque sia andata.
A quell'età si è  ancora giovani e se non si ha un carattere forte, da guerriere,  in un modo o nell'altro si soccombe e si subisce tutto pur di non impazzire, umiliate e calpestate dall'odio di uomini che ci odiano a morte
Perché  siamo europei e cattolici
A questo forse dovrebbero pensare tutti quelli che si sono scagliati contro Silvia e dovrebbero pure riflettere sul fatto che noi europei siamo stati vittime negli ultimi anni  di attacchi terroristici a casa nostra. In Francia, in Inghilterra, in Belgio ....fino al devastante attacco delle Torri gemelle a New York nell'ormai lontano 2001. Menti bacate che ci odiano ed odiano il nostro modo di vivere, odiano noi donne libere intelligenti e non succubi, odiano la nostra religione, ben più  antica della loro, ma con tante analogie , da alcune feste a tanti versetti del Corano, dove si ritrovano pensieri positivi come nella Bibbia di Cristiani ed Ebrei 
 F

sabato 4 aprile 2020

Zoom e zoombombing

Questa settimana ho partecipato ai consigli di classe da casa con computer. Sono stata invitata dai coordinatori di classe a partecipare agli incontri. Per la prossima settimana dovremo fare un saluto alle classi sempre collegandoci con Zoom . Ma oggi la nostra collega giovane di Inglese, che è l'animatore digitale della scuola, sta tribolando da ore perchè proprio in queste ore Zoom sta introducendo delle novità a livello di sicurezza e di pasword
Cercando nuovi articoli sul coronavirus oggi pomeriggio ho trovato questo articolo online pubblicato dalla pagina de IlPost veramente molto interessante ed utile

" IlPost

INTERNET SABATO 4 APRILE 2020
Gli “Zoombombing” stanno diventando un problema
Sono le azioni di disturbo organizzate introducendosi nelle ormai quotidiane videochiamate e riunioni a distanza, che spesso diventano vere aggressioni verbali

Zoom è una delle app per videochiamate più usate nel mondo per mantenere i contatti con amici, parenti e colleghi in questo periodo di restrizioni agli spostamenti per via del coronavirus (SARS-CoV-2). La usano anche molti insegnanti per tenere videolezioni in diretta, aziende per fare riunioni e perfino ministri britannici per consigli governativi. Secondo la società di analisi dati sulle app SensorTower, a febbraio l’app di Zoom era stata scaricata 6,2 milioni di volte: a marzo 76 milioni di volte, più del mille per cento in più. Parallelamente alla sua grande diffusione, però, è stato segnalato un problema di Zoom: il cosiddetto “Zoombombing”, cioè la pratica di interrompere videolezioni e riunioni di vario genere in corso con messaggi scemi o, nei casi peggiori, pornografici, razzisti e offensivi.

Negli Stati Uniti l’FBI ha ricevuto così tante segnalazioni di episodi di “Zoombombing” da aver diffuso un comunicato per avvisare del problema e invitare chi ne ha subito uno di segnalarlo. Alcuni procuratori americani inoltre hanno detto che indagheranno sulle accuse di questo tipo, mentre Matthew Schneider, procuratore del Michigan, ha addirittura detto: «Pensate che lo Zoombombing sia divertente? Vediamo quanto lo sarà quando sarete arrestati. Se interferite con una teleconferenza o un incontro pubblico in Michigan potrebbe capitarvi di sentir bussare alla vostra porta dalla polizia federale, statale o locale».

Su Zoom si può accedere a una videochiamata con un link: se questo è usato tra pochi amici e diffuso per mail o messaggio non ci sono ovviamente rischi di intrusione. Ma per le videochiamate più ampie, i link sono spesso diffusi sui social network o siti internet, e da lì possono essere usati anche da persone malintenzionate.

Il New York Times, che ha dedicato un lungo articolo al fenomeno, ha raccolto le storie di alcune persone che lo hanno subito. Il 29 marzo, ad esempio, si è tenuta una videoconferenza del Concordia Forum, una rete internazionale di persone musulmane, a proposito della spiritualità in relazione alla pandemia: a un certo punto qualcuno ha cominciato a scrivere un insulto razzista su una delle slide condivise tra i partecipanti. Dopodiché l’infiltrato ha condiviso il suo schermo, dove si vedeva un video pornografico, ripetendo l’insulto razzista a voce.

Lo stesso genere di interruzione è avvenuta durante una discussione di tesi di dottorato a distanza, in un incontro dell’American Jewish Committee di Paris, in vari eventi culturali a distanza ma anche in molte riunioni degli Alcolisti Anonimi: tra le altre cose è successo che qualcuno usasse la funzione di Zoom per cambiare lo sfondo intorno a chi parla per mostrare una GIF di una persona che beve una bevanda alcolica. Un uomo di Los Angeles membro degli Alcolisti Anonimi ha raccontato che in tutti i 30 incontri a distanza a cui ha partecipato nelle ultime settimane ci sono state interruzioni spiacevoli.

Chi organizza gli incontri su Zoom può rimuovere un partecipante fastidioso in qualunque momento, ma se gli Zoombombing sono portati avanti da più persone contemporaneamente può essere difficile.

Queste aggressioni infatti sono spesso organizzate in modo simile alle campagne di insulti, minacce e molestie sui social network che si sono viste più volte negli ultimi anni – una delle più note fu il cosiddetto “GamerGate”, nel 2014 – e ai gruppi che condividono immagini di nudità o atti sessuali diffuse senza il consenso della persona che ritraggono. Su alcuni social network e app di messaggistica vengono diffusi i codici di accesso per incontri e lezioni su Zoom, spesso resi pubblici dagli stessi organizzatori senza immaginare possibili conseguenze negative, con l’invito a disturbarle e interromperle.

Leggi anche: C’è una “campagna di diffamazione” contro Houseparty?

Il New York Times ha trovato 153 profili di Instagram, decine di account di Twitter e numerosi forum di discussione su Reddit (che successivamente li ha chiusi) e 4Chan usati da migliaia di persone per fare Zoombombing, a volte semplicemente condividendo i codici di accesso, altre volte pianificando come interrompere le videoconferenze. Dallo scorso weekend migliaia di persone hanno cominciato a seguire account di Instagram con nomi come Zoomraid e Zoomattack, creati appositamente per diffondere informazioni sulle aggressioni e le azioni di disturbo su Zoom. Un portavoce di Facebook ha detto al New York Times che per evitare che Instagram sia usato in questo modo gli hashtag usati per segnalare gli Zoombombing saranno bloccati.

In alcuni casi si può dire che lo spirito con cui vengono fatte queste operazioni non sia molto lontano da quello degli scherzi telefonici degli adolescenti: sono proprio ragazzi costretti a stare in casa, pieni di compiti da fare, a disturbare molte videolezioni di scuole medie e superiori, un po’ per noia e un po’ per ribellione verso l’isolamento forzato in casa. Come nel caso degli scherzi telefonici, spesso si tratta di interruzioni inoffensive, magari inappropriate, ma relativamente innocenti. Tra i ragazzi che le stanno organizzando ci sono anche gestori di account di Instagram che condividono video divertenti presi da TikTok o meme: per aumentare il numero dei propri follower si sono messi a diffondere informazioni su incontri su Zoom, invitando chi li segue a interrompere facendo qualcosa di buffo.

Ma ci sono tanti Zoombombing molto meno innocenti: quelli organizzati da gruppi di adulti che, dopo essere entrati in contatto su forum e social network, pianificano gli attacchi alle videoconferenze su Zoom usando Discord, una piattaforma per chattare mentre si gioca ai videogiochi molto usata, tra gli altri, da estremisti di destra. In queste chat – il New York Times ne ha trovate 14, la più popolare delle quali ha più di 2mila partecipanti – si condividono codici di accesso a Zoom, ci si mette d’accordo su un orario in cui compiere le interruzioni e vengono decise scale di “punti” che si possono ottenere facendo una certa azione di disturbo piuttosto che un’altra. Tra i codici che vengono condivisi ci sono quelli di videolezioni di scuole e di incontri di supporto psicologico a ragazzi trans.

La società che gestisce Discord ha condannato questo comportamento e ha detto che viola i termini di servizio della piattaforma: quando scoprirà che un account è coinvolto in questo tipo di chat, si impegnerà a rimuovere certi contenuti condivisi e a chiudere l’account in questione.

Alcuni Zoombombing sono stati registrati dai loro autori e i video sono stati diffusi su YouTube e Twitch, un sito per giocare ai videogiochi di Amazon. Uno youtuber piuttosto noto ha fatto uno streaming in diretta degli Zoombombing compiuti contro decine di gruppi di Alcolisti Anonimi riunitisi su Zoom. Anche nel caso di YouTube un portavoce ha detto che i contenuti inappropriati e offensivi saranno rimossi.

Un portavoce di Zoom ha detto che la società condanna gli Zoombombing, ma per come l’app per le videoconferenze è stata progettata, pensando ai soli incontri di lavoro, e non tanto agli usi che se ne fanno in questo periodo, non ha molti strumenti per impedire che avvengano. Gli utenti però possono prendere delle precauzioni per proteggersi, consigliate anche dall’FBI:

su Zoom si possono organizzare videoconferenze pubbliche e private ed è bene propendere per le seconde; per controllare l’accesso si può richiedere una password oppure attivare una specie di sala d’attesa che fa sì che solo gli organizzatori della videoconferenza possano dare l’accesso ai nuovi partecipanti;
un’altra cosa da evitare è condividere il link di accesso a videoconferenze e videolezioni su post sui social network che chiunque può vedere;
si può impedire ai partecipanti alle videoconferenze di condividere il proprio schermo con le altre persone presenti, basta cambiare le impostazioni;
è bene inoltre che tutti i partecipanti usino la versione più aggiornata di Zoom "


giovedì 6 marzo 2014

Quaresima senza social network

Don Paolo Ciccotti, 40enne parroco di Borgo San Siro, esorcista della Diocesi di Vigevano, ha pubblicato qualche giorno fa la raccomandazione di staccarsi dalle continue connessioni digitali in questo periodo che la Chiesa vuole sia di riflessione e digiuno. Lui stesso, come molti sacerdoti è presente sul social network, dove comunica quotidianamente con fedeli, parrocchiani, studenti ed amici. Ma   «Ho proposto questo digiuno dal virtuale  perché possa servire da un lato a ritrovare Dio, in attesa della Pasqua, e dall’altro a recuperare i rapporti reali con gli altri». Chi ha a che fare con gli adolescenti sa quanto la presenza di smartphone possa essere pervasiva: «Organizziamo dei ritrovi per ragazzi delle medie, il sabato sera, abbiamo dovuto proibire i cellulari altrimenti i ragazzi arrivano a parlare con il compagno seduto di fianco usando il telefono». Qualche giorno fa il vignettista Marc Maron ha raccontato in una strip cruda ma molto efficace proprio Twitter e Facebook come una delle droghe dei giorni nostri. Per ora molti hanno espresso l’intenzione di aderire a questo invito. Per ora lui è davvero scomparso dai sociale. «C’è chi vive la sua vita raccontandola minuto per minuto su Facebook – aggiunge – questo è eccessivo, sembra che non esisti se non mostri agli altri quello che stai facendo».  «Questa continua connessione, questo essere in rete sempre e comunque ci porta via anche molto tempo: usiamolo per ritrovare Dio, per parlare davvero con il nostro prossimo Ci può fare bene disintossicarci un po’». da La Stampa To
Sta arrivando la primavera e forse anche le belle giornate di sole, dopo un inverno non freddo, ma molto piovoso, ed io sento la necessità di stare all'aria aperta a contatto con la terra, le piante ed i fiori
Senza internet e il mondo virtuale del web. 
Purtroppo i giovanissimi con cui passo tante ore insieme a scuola spesso non sentono questo bisogno impellente di uscire e di incontrare gli altri ed il mondo che rinasce con la bella stagione
Conoscono tutti gli orpelli della rete, persino What's up , e li usano in eccesso 
Uno spreco 
Quanto alle parole del sacerdote, ha perfettamente ragione. Ricordo una gita di due anni fa con una mia seconda media dove i ragazzi e le ragazze non facevano altro che messaggiarsi o inviarsi foto o musica con Bluetooth da un sedile all'altro del pullman Una vera follia 
Non si rendevano conto che sarebbe bastato alzarsi e cambiare posto per parlare a tu per tu con gli altri compagni 
Un bel digiuno dalla rete e troppo spesso dalle sue banalità o cattiverie di massa faranno sicuramente bene al cervello e all'anima 

giovedì 12 dicembre 2013

Il Diario di Malala

«Malala» significa «addolorata». Lo  pseudonimo che Malala Yousafzai aveva scelto per il suo diario era Gul Makai  Ma Malala era anche una guerriera pashtun del XIX secolo, una Giovanna D'Arco afghana che ispirò il popolo a combattere fino alla morte contro britannici e indiani «anziché vivere una vita nella vergogna». Stessi valori ma dedicati a fini diversi dai talebani, in maggioranza di etnia pashtun.

Sabato 3 gennaio: “Ho paura”
Ho fatto un sogno terribile ieri, con gli elicotteri militari e i talebani.  Faccio questi incubi dall’inizio dell’operazione dell’esercito a Swat. Mia madre mi ha preparato la colazione, e sono andata a scuola. Avevo paura di andare perché i talebani hanno emanato un editto che proibisce a tutte le ragazze di frequentare la scuola.
Solo 11 compagne su 27 sono venute in classe. Il numero è diminuito a causa dell’editto dei talebani. Per la stessa ragione, le mie tre amiche sono partite per Peshawar, Lahore e Rawalpindi con le famiglie.
Mentre tornavo a casa, ho sentito un uomo che diceva “Ti ucciderò”. Ho affrettato il passo, guardandomi alle spalle per vedere se mi seguiva. Ma con grande sollievo mi sono resa conto che parlava al cellulare. Minacciava qualcun altro.

Domenica 4 gennaio: “Devo andare a scuola”
Oggi è vacanza, e mi sono svegliata tardi, alle 10 circa. Ho sentito mio padre che parlava di altri tre cadaveri trovati a Green Chowk (al valico). Mi sono sentita male sentendo questa notizia. Prima del lancio dell’operazione militare, andavamo spesso a Marghazar, Fiza Ghat e Kanju per il picnic della domenica. Ma ora la situazione è tale che da un anno e mezzo non facciamo più un picnic.
Andavamo sempre anche a passeggiare dopo cena, ma adesso torniamo a casa prima del tramonto. Oggi ho aiutato un po’ in casa, ho fatto i compiti e ho giocato con mio fratello. Ma il mio cuore batteva forte — perché devo andare a scuola domani.
 
Lunedì 5 gennaio: “Non indossare vestiti colorati”
Mi stavo preparando per la scuola e stavo per indossare la divisa, quando mi sono ricordata di ciò che il preside ci ha detto: “Non indossate le divise, e venite a scuola in abiti normali”. Perciò ho deciso di mettermi il mio vestito rosa preferito. Anche altre ragazze indossavano abiti colorati, per cui c’era un clima molto casalingo in classe.
Una mia amica è venuta a chiedermi: “Dio mio, dimmi la verità, la nostra scuola sarà attaccata dai talebani?”. Durante l’assemblea del mattino, ci è stato detto di non indossare più vestiti colorati, perché i talebani sono contrari.
Dopo pranzo, a casa, ho studiato ancora un po’, e poi la sera ho acceso la tv. Ho sentito che a Shakarda viene rimosso il coprifuoco che era stato imposto 15 giorni fa. Sono contenta perché la nostra insegnante di inglese vive nella zona e adesso forse riuscirà a venire a scuola.
 
Mercoledì 7 gennaio: “Né spari né paura”
Sono stata a Bunair in vacanza per Muharram (una festività musulmana). Adoro Bunair per via delle sue montagne e dei suoi rigogliosi campi verdi. La mia Swat è anch’essa molto bella, ma non c’è pace. Ma a Bunair c’è pace e tranquillità. Non ci sono spari né paura. Siamo molto felici.
Oggi sono stata al mausoleo di Pir Baba e c’era tanta gente, loro erano lì per pregare, noi per un’escursione. C’erano negozi che vendevano bracciali, orecchini e bigiotteria. Ho pensato di comprare qualcosa, ma niente mi ha colpito particolarmente, mentre mia madre ha comprato degli orecchini e dei bracciali.
 
Mercoledì 14 gennaio: “Potrebbe essere l’ultima volta che vado a scuola”
Ero di cattivo umore sulla strada della scuola, perché le vacanze invernali cominciano domani. Il preside ha annunciato quando iniziano le vacanze, ma non ha detto quando la scuola riaprirà. E’ la prima volta che succede.
In passato, la data di riapertura veniva sempre annunciata chiaramente. Il preside non ci ha detto perché non l’abbia fatto, stavolta, ma io credo che  i talebani abbiano annunciato che l’editto contro l’istruzione femminile entrerà in vigore ufficialmente a partire dal 15 gennaio.
Stavolta le ragazze non sono così entusiaste di andare in vacanza, perché sanno che, se i talebani applicano l’editto, non potremo mai più andare a scuola. Alcune compagne erano ottimiste e dicevano che certamente la scuola riaprirà a febbraio, ma altre mi hanno confidato che i genitori hanno deciso di lasciare Swat e di trasferirsi in altre città per il bene della loro istruzione.
Visto che oggi era l’ultimo giorno di scuola, abbiamo deciso di giocare nel cortile un po’ più a lungo. Io credo che la scuola un giorno riaprirà, ma mentre tornavo a casa ho guardato l’edificio pensando che potrei non tornarci mai più.
 
Giovedì 15 gennaio: “Il suono dell’artiglieria riempie la notte”
Il rumore del fuoco dell’artiglieria riempiva la notte, e mi ha svegliata tre volte. Ma dal momento che non c’è scuola, mi sono alzata più tardi, alle 10 del mattino. Poi è venuta a casa la mia amica e abbiamo parlato dei compiti.
Oggi è il 15 gennaio, è l’ultimo giorno prima che entri in vigore l’editto talebano, e la mia amica continuava a parlare dei compiti, come se non stesse accadendo niente al di fuori dell’ordinario.
Oggi ho anche letto il diario che ho scritto per la BBC (in urdu) e che è stato pubblicato sul giornale. A mia madre piace il mio pseudonimo “Gul Makai”, e ha detto a mio padre “perché non cambiamo il suo nome e la chiamiamo Gul Makai?” Anche a me piace perché il mio vero nome vuol dire “addolorata”.
Mio padre dice che alcuni giorni fa qualcuno gli ha mostrato una copia di questo diario dicendo quanto sia fantastico. Papà ha sorriso, ma non poteva nemmeno dire che l’autrice è sua figlia.

Malala Yousafzai

 
  Malala Yousafzai a qattordici anni   sfidò i talebani, che successivamente  le spararono fuori dalla scuola
La giovane studentessa pachistana aveva in precedenza scritto un diario sulla sua vita nella provincia di Swat, al confine con l’Afghanistan,controllata dagli estremisti, ed era diventata un simbolo
In quella zona, dal 2003 al 2009 i talebani avevano preso il controllo   e vietato l’istruzione femminile, distruggendo centinaia di scuole. Nel luglio 2009, dopo furiosi combattimenti, l’esercito li  aveva sconfitti, e da allora il governo aveva incoraggiato i turisti a tornare a visitare quella che, una volta, era una popolare destinazione sciistica. 
Ma il tentativo di uccidere Malala fece capire quanto pericolo ci fosse ancora per le donne e per la loro istruzione
Un uomo barbuto  sparò alla ragazzina all’uscita della scuola, colpendola alla testa 
 Poco dopo arrivò la rivendicazione dei talebani pachistani: "L’abbiamo attaccata perché diffondeva idee laiche fra i giovani e faceva propaganda contro di noi. Oltretutto, considerava Obama il suo idolo».
 Il premier pachistano Raja Pervez Ashraf  mandò un elicottero per trasferire Malala in ospedale. Si infuriarono gli opinionisti pachistani e rimasero sotto choc molti cittadini, nel  Paese che pure è tristemente abituato alla violenza.
Malala   non era una ragazzina qualunque. Era la studentessa più nota del Pakistan   Prima di sparare, pare che l’assalitore avesse chiesto: «Dov’è Malala?». La ragazzina era vista come un pericolo dai talebani  per  la sua età, perché rappresentava le nuove generazioni. Pur non sapendo cosa fare da grande credeva che l’istruzione fosse un suo diritto. Pur non negando di avere paura, la sua voglia di studiare si era rivelata più forte. Mentre a Swat i talebani decapitavano la gente per «comportamenti anti-islamici», lei continuava ad andare a scuola e, nel 2009, a undici anni, aveva scritto un diario online per la Bbc raccontando sotto pseudonimo la sua vita di studentessa.   Era un diario in urdu, stampato anche su un giornale locale, accessibile a chi non sa l’inglese, per dare coraggio ad altre bambine e alle loro famiglie. 
Quando i talebani furono sconfitti a Swat, Malala fece ciò che molti adulti non hanno avuto  il coraggio di fare: li   criticò pubblicamente in tv. Ricevette molte minacce e sperimentato le conseguenze dell'attivismo, ma   difese l'importanza dell'istruzione: «Dateci delle penne oppure i terroristi metteranno in mano alla mia generazione le armi».
Perciò l'attacco contro di lei è stato un avvertimento a tutti coloro che lavorano per le donne e le ragazze. Ed un monito alle famiglie divise tra l'attrattiva delle libertà occidentali e il rispetto delle tradizioni locali. «Dopo l'operazione dell'esercito la situazione è tornata alla normalità - aveva detto Malala -. Speriamo che ricostruiscano le scuole al più presto. Ora tutti sono liberi di studiare e le ragazze non hanno paura dei talebani».

martedì 25 giugno 2013

DDL contro i blog

Ritorna la proposta per modificare la Legge sulla Stampa e introdurre il "dovere di rettifica" nel caso di "diffamazione" nei commenti pubblicati online nei blog. Il Ddl è stato depositato alla Camera da Stefano Dambruoso con altri 13 deputati, tra cui Andrea Romano (Scelta Civica).
Si può leggere interamente qui