Visualizzazione post con etichetta anniversari. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta anniversari. Mostra tutti i post

martedì 13 gennaio 2015

Arianna Szörényi testimone della Shoah italiana

Anche quest'anno a fine gennaio in Italia si ricorderanno le vittime dell'Olocausto 
Peer la Giornata della Memoria  venerdí 23 gennaio 2015 presso la Sala EXPO a Trezzano sul Naviglio (Milano), in Via Vittorio Veneto 30, sarà presente  Arianna  Szörényi , reduce dell'olocausto italiano, di origine ebraica ed autrice di  Una bambina ad Auschwitz  ed Mursia, le memorie sulla sua esperienza di sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz 

Arianna Szörényi è nata il 18 aprile 1933 a Fiume  da Adolfo Szörényi e Vittoria Pick di origine ebraica.  
Il padre ungherese lavorava come contabile nelle banca italo-ungherese della città di Fiume, dove aveva conosciuto la moglie, impiegata nella stessa banca. I due si sposarono nel 1917. 
Dal loro matrimonio nacquero otto figli: Edith (1917), Stella (1919), Daisy (1921), Alessandro (1923), Carlo (1925), Rosalia (1927), Lea (1929) e Arianna (1933). 
Nel 1935 tutti i figli vennero battezzati con rito cattolico. Edith, la sorella più grande, sposò un ufficiale italiano e andò a vivere a San Daniele del Friuli. 
Ed è proprio in questa cittadina che tutta la famiglia Szörényi scelse di trasferirsi nell'ottobre  1943 per sfuggire ai bombardamenti che colpirono Fiume e alle persecuzioni razziali. 
Traditi da un delatore, il 16 giugno 1944 tutti i Szörényi furono prelevati e portati prima ad Udine e poi a Trieste alla Risiera di San Sabba.

Arianna trascorre sei giorni nel campo di sterminio triestino condividendo la prigionia con due altri coetanei che come lei sopravviveranno al campo di Auschwitz, Luigi Ferri e Loredana Tisminieszky
Il 21 giugno 1944 la famiglia Szörényi è deportata ad Auschwitz-Birkenau. 
All'arrivo il padre e i due fratelli vengono separati dalle donne. 
Arianna ha soli 11 anni ma all'inizio viene aggregata alle donne con il numero di matricola 89219. Verso la fine di settembre una selezione più accurata la destina al "Kinderblock", la baracca dei bambini, separandola anche dalla madre e dalla sorelle. Arianna le vedrà attraverso la rete che separa i blocchi e un'ultima volta,da lontano, riuscendo a far avere loro un biglietto grazie all'aiuto di Luigi Ferri che era impiegato al campo come portaordini dell'infermeria.
Nel dicembre 1944 con l'avvicinarsi del fronte, cominciò l'evacuazione dal campo. 
Arianna è inserita con un gruppo di prigionieri nella "marcia della morte" che li conduce al campo di Ravensbrück e  successivamente a Bergen-Belsen, dove viene liberata dagli alleati il 15 aprile 1945, devastata nel fisico: è malata di tifo petecchiale, con un principio di TBC, ha i piedi congelati e i polmoni colpiti dalla pleurite. 
Dei  776 bambini ebrei italiani di età inferiore ai 14 anni deportati a Auschwitz, Arianna è tra i soli 25 sopravvissuti.  
L'anno successivo, dopo essere stata curata, torna a S. Daniele del Friuli dalla sorella Edith. 
Dai campi di sterminio è tornato vivo solo il fratello Alessandro, liberato a Buchenwald il 5 maggio 1945. 
Dopo un anno trascorso con la sorella, per studiare Arianna entra in un orfanotrofio dalle suore. Ottenuto il diploma, si trasferisce a Milano.
Nel dopoguerra scrive un diario accurato della sua esperienza, pubblicato  nella sua interezza solo nel 2014. 
Fatta eccezione per Luigi Ferri , che rilascia la sua testimonianza all'indomani stesso della Liberazione da Auschwitz di fronte ad una commissione d'inchiesta a Cracovia, Arianna è stata la prima bambina deportata dall'Italia a testimoniare in età adulta. 
Ha cominciato a rilasciare interviste già negli anni '70 con un articolo comparso sull'Unita' dell'11 marzo 1976, in occasione del processo per i crimini alla Risiera di San Sabba. 
Da allora si è resa disponibile a raccontare con frequenza la sua esperienza. 
La sua testimonianza è stata raccolta nel 1986 da Teodoro Morgani  nel libro Quarant'anni dopo, Carucci, Roma; nel 1994 da Mimma Paulesu Quercioli  ne L'erba non cresceva ad Auschwitz, Mursia, Milano, e   nel 1997 da Lidia Beccaria Rolfi e Bruno Maida  nel libro I nazisti contro i bambini, Giuntina, Firenze.
Nel 2009 la voce di Arianna Szörényi è stata inclusa nel progetto di raccolta dei "racconti di chi è sopravvissuto", una ricerca condotta tra il 1995 e il 2008 da Marcello Pezzetti per conto del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea che ha portato alla raccolta delle testimonianze di quasi tutti i sopravvissuti italiani dai campi di concentramento allora ancora viventi 
Il 18 febbraio 2014, Arianna ha presentato il suo diario nel libro  Una bambina ad Auschwitz che racconta nei dettagli la storia della sua deportazione, con interventi della storica Liliana Picciotto del CDEC e dello scrittore Dario Venegoni dell' ANED. Era presente anche la sua amica  Goti Herskovits Bauer, anche lei deportata a soli quattordici anni nel Campo di concentramento di Auschwitz

Per non dimenticare che cosa è stato il nazismo ed il fascismo del xx° Secolo !

domenica 8 giugno 2014

D Day

Il 6 giugno 1944 iniziava lo sbarco alleato in Normandia.  !30 mila uomini , inglesi canadesi ed americani, arrivarono davanti alle coste francesi e combatterono contro i soldati tedeschi per liberare l'Europa  dal Nazismo
Venerdì , 70 anni dopo, migliaia di veterani sono tornati su quelle spiagge normanne teatro della più grande operazione militare mai compiuta prima, l’Overlod,  dove  videro tanti loro giovani compagni morire sotto il fuoco nemico E con loro gli unici due capi di Stato ancora viventi fra i 20 capi di Stato che erano sulle spiagge, pressoché coetanei, che ad ogni incontro si soffermano sempre a rievocare insieme quella lontana stagione sulle cui ceneri nacque la nuova Europa della democrazia : Elisabetta II di Windsor,  a quell’epoca appena diciottenne ma che si era già fatta i nove bombardamenti nazisti   subiti da Buckingham Palace, e  Giorgio Napolitano, allora non ancora diciannovenne che già aveva subìto i durissimi bombardamenti alleati nella sua Napoli e che nel giugno del ’44 stava facendo  la sua prima esperienza lavorativa nell’American Red Cross .  

«I lunghi singhiozzi dei violini d’autunno...», scandì ripetutamente Radio Londra l’1 giugno del 1944 avvertendo in codice la resistenza francese che il tempo per lo sbarco degli alleati in Normandia s’era fatto breve.  
«Mi feriscono il cuore con languore monotono..» proseguì il 5, coi versi successivi della stessa «Poesia d’autunno» di Verlaine, annunciando che il D-Day era giunto, e omettendo la strofa successiva e pericolosamente significativa, «l’ora è suonata».
Il 4 giugno gli Alleati erano arrivati anche a Roma accolti da liberatori dalla popolazione ma la guerra in Italia del nord continuò per altri lunghi sanguinosi mesi fino al 25 aprile 1945
Il presidente italiano, invitato personalmente alle cerimonie  per il settantesimo anniversario dal presidente francese Hollande , ha ritenuto tale invito, giunto per la prima volta  dal tavolo dei vincitori della seconda guerra mondiale, un onore 
Di quell’ invito Napolitano ne ha dato pubblica notizia  nel discorso per la Liberazione nel quale ha rimarcato che la Resistenza fu «un grande moto civile ed ideale» contro il nazismo, grazie al quale l’Italia passò « dall’ umiliazione alla riscossa», giungendo poi alla libertà e alla democrazia. 
L' invito è stato accettato «in nome di un popolo che aveva rotto nel 1943 con il fascismo e con l’asservimento alla Germania hitleriana, e in nome delle nostre nuove forze armate ,che allora già combattevano in Italia insieme alle forze anglo-americane». Ricordando poi anche che «due giorni prima dello sbarco in Normandia, il 4 giugno del 1944, le forze alleate erano già entrate a Roma come liberatrici anche grazie all’eroico contributo della Resistenza romana».  
L’onore tributato dall’Italia alle celebrazioni trova nelle parole di Napolitano la corrispondenza e l’orgoglio del riconoscimento di quei valori italiani sui quali è  fondata la nostra Costituzione 
Una giornata  storica molto importante,  per l'Italia, soprattutto, perché  il nostro paese 70 anni fa con Mussolini stava dalla parte sbagliata, quella del nazifascismo sconfitto!...

lunedì 27 gennaio 2014

Il Giorno della Memoria

 " Il Giorno della Memoria è stato istituito, dal Parlamento italiano, con la legge n. 211 del 20 luglio 2000 “Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. 
All’articolo 1 la Legge n. 211 stabilisce che “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria” (...)”.
La tragedia della deportazione non finisce, in realtà, con l’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, il 27 gennaio del 1945.
Quando l’esercito sovietico comincia ad avvicinarsi ai campi di sterminio, gli internati superstiti vengono evacuati e costretti a mettersi in cammino verso l’Occidente. Dei 66.000 evacuati da Auschwitz persero la vita circa 15.000 persone. Negli ultimi due mesi di guerra 250.000 prigionieri sono costretti a compiere le marce della morte. La data che segna la definitiva liberazione dei lager è il 5 maggio 1945, quando gli uomini della 11a Divisione corazzata americana del generale Patton liberano Mauthausen.
Primo Levi ricorda che “il sistema concentrazionario nazista rimane un unicum, sia come mole sia come qualità. In nessun altro luogo e tempo si è assistito ad un fenomeno così imprevisto e così complesso: mai tante vite umane sono state spente in così breve tempo, e con una così lucida combinazione di ingegno tecnologico, di fanatismo e di crudeltà”.
Nel Giorno della Memoria, accanto alla Shoah che costituisce la più grande tragedia del Novecento con lo sterminio di sei milioni di ebrei, si ricorda la deportazione da parte dei nazisti che, in Italia, trovano una validissima collaborazione nella Repubblica di Salò, degli oppositori politici e dei lavoratori arrestati a seguito
degli scioperi del marzo 1944. 
Il New York Times e Radio Londra definirono quegli scioperi che videro la partecipazione accanto agli operai delle più importanti fabbriche, dei colletti bianchi, di docenti universitari e di studenti, come “la più grande manifestazione di massa mai effettuata nell’Europa occupata dai nazifascisti”
La repressione nazifascista fu durissima e fu attuata sulla base di precisi elenchi fatti compilare dalle direzioni
aziendali. La deportazione politica ha assunto a Milano e nell’area industriale di Sesto San Giovanni, notevoli dimensioni per la grande e compatta partecipazione dei lavoratori agli scioperi del 1944. 
Quasi tutti gli arresti avvenivano di notte, nelle case, ed erano effettuati dalla Guardia Nazionale Repubblicana, dalla Muti, dall’Ufficio Politico Investigativo. 
Mentre per gli ebrei la destinazione prevalente era il lager di Auschwitz, per gli oppositori politici e i lavoratori la meta obbligata era Mauthausen, con i suoi quarantanove sottocampi. 
Chi arriva a Mauthausen è immediatamente consapevole che in quel campo si è vivi solo e sino a quando si è in grado di lavorare, perché il diritto alla vita esisteva, ma non competeva a chi non era idoneo al lavoro.
Sin dall’stituzione del Giorno della Memoria, il Comitato Permanente Antifascista per la difesa dell’ordine repubblicano, in stretto accordo con la Comunità Ebraica milanese e con la Fondazione Memoria della Deportazione si è fatto promotore di iniziative volte a ricordare le tragedie provocate dall’avvento del nazifascismo in Europa, nella consapevolezza che un Paese senza memoria non può avere alcun futuro. 
 Nelle significative iniziative per il Giorno della Memoria, va sempre tenuto presente il messaggio di coloro che non sono ritornati dalla deportazione: quello di non negare lo sterminio dove è stato praticato, di non banalizzare e non confondere tutto con la sola violenza o la natura malvagia dell’uomo (perché la violenza aveva un solo nome: nazifascismo), di non dimenticare l’organizzazione specifica di un trattamento che programmaticamente annientava con il lavoro e programmaticamente sopprimeva con il gas gli inabili. 
La ricorrenza del Giorno della Memoria ci deve fare riflettere  . 
Fare memoria legandola alla conoscenza storica significa combattere l’oblio che tende a cancellare le differenze, significa far rivivere, nella società contemporanea, che sembra aver perso la propria identità, i valori della pace, della solidarietà, della giustizia sociale, della politica posta al servizio del bene comune che animarono i combattenti per la libertà e coloro che resistettero nei lager nazisti. 
Da quella resistenza all’oppressione è nata quel bellissimo dono che è la Costituzione repubblicana.
Etty Hillesum, un’ebrea olandese morta ad Auschwitz il 30 novembre 1943, così scrive nel suo diario dal campo di concentramento olandese di Westerbork, da dove, ogni lunedì partivano treni con destinazione Auschwitz: “Se noi salveremo i nostri corpi e basta dai campi di prigionia sarà troppo poco. Se non sapremo offrire al mondo impoverito del dopoguerra nient’altro che i nostri corpi salvati a ogni costo – e non un nuovo senso delle cose, attinto dai pozzi più profondi della nostra miseria e disperazione – allora non basterà. Dai campi stessi dovranno irraggiarsi nuovi pensieri, nuove conoscenze dovranno portar chiarezza oltre i recinti di filo spinato”.
Questo è il monito più profondo che  viene dalla tragedia provocata dal nazifascismo e che  deve rendere vigili sui pericoli che le nostre democrazie possono ancora correre per i rigurgiti neofascisti e neonazisti che pervadono l’Europa. 

Il 27 gennaio ricorre  l' anniversario della Liberazione del campo di concentramento di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa sovietica, data scelta a livello internazionale quale “Giorno
della Memoria”, in cui ricordare gli oltre 12 milioni di vittime delle deportazioni e dello sterminio nei campi di concentramento nazifascisti.
 Dopo ben 55 anni, in Italia, nel luglio del 2000, il Parlamento giunse all’approvazione della Legge N. 211/2000 che nel primo articolo stabilisce: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita, hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Il ricordo delle vittime del razzismo, della deportazione dei Rom, dei diversi e dei non normodotati, finalmente diventa un’indicazione dello Stato. 
Gli italiani deportati furono circa 44.000, di cui 8.600 ebrei, 30.000 partigiani, antifascisti e lavoratori (la maggioranza arrestati e deportati dopo gli scioperi del 1944) e circa 5.000 IMI: il 90% di essi morì nei lager.
Spesso, quando si ricorda la tragedia delle deportazioni italiane, i lavoratori vengono dimenticati o considerati solo marginalmente, mentre essi costituiscono la maggioranza dei deportati italiani. I lavoratori italiani hanno avuto un ruolo fondamentale nella lotta contro il fascismo e la guerra, per riconquistare la libertà e la democrazia.
Due momenti importanti della lotta di Liberazione che videro protagonisti i lavoratori furono gli scioperi del marzo 1943 e 1944. Nel 1943, il 5 marzo, gli scioperi iniziarono a Torino alla Fiat Mirafiori; nei giorni e nelle settimane successive si estesero in Piemonte e poi – a partire dalla Falck – in Lombardia. Gli scioperanti nel 1943 – contro la guerra e il fascismo – furono oltre 150.000 e lavoravano in 217 aziende.
Molti furono gli arresti e le repressioni fasciste. Questa mobilitazione contribuì alla destituzione di Mussolini e alla costituzione del governo Badoglio., a cui seguì,  l’8 settembre ’43, l’Armistizio con gli anglo-americani e l’occupazione nazista del Nord Italia.
I lavoratori svilupparono, sul finire del 1943 e l’inizio del ’44, lotte in varie fabbriche, rivendicando contemporaneamente: fine della guerra, fornitura di alimenti, il diritto al servizio mensa con primo e secondo, adeguamenti salariali, parità donna uomo. 
Le truppe naziste del Comando Militare di Milano – dirette dal generale Zimmermann – entravano nelle fabbriche in sciopero come la Falck di Sesto San Giovanni, la Pirelli Bicocca, la Franco Tosi di Legnano, arrestando e poi deportando decine, centinaia di lavoratori.
Nel marzo  1944, oltre un milione e mezzo di lavoratori del Nord Italia, attuarono lo sciopero generale. La mobilitazione a Milano e a Torino iniziò con lo sciopero dei tranvieri che bloccarono i trasporti per una settimana.
Lo sciopero si estese a tutte le fabbriche, nelle banche; i tipografi e i giornalisti bloccarono la pubblicazione per cinque giorni del Corriere della sera.
Durante gli scioperi i nazisti arrestarono decine di migliaia di lavoratori (operai, impiegati, dirigenti), e li deportarono.
Molti partirono chiusi nei vagoni merci dal “Binario 21” della Stazione Centrale di Milano, sino ai campi di sterminio.
 Sono 553 i lavoratori - di cui 417 operai, 31 manovali, 17 impiegati, 14 tecnici e dirigenti dipendenti della Breda, della Pirelli, della Falck, dell’Ercole Marelli e della Magneti Marelli - deportati e ricordati dal monumento al Parco Nord di Milano.
La fabbrica italiana con il maggior numero di lavoratori deportati è la Breda di Sesto, con 199 deportati, 122 dei quali non hanno fatto ritorno.
Gli scioperi dei lavoratori italiani - unici in Europa durante la guerra - ebbero una ricaduta politica mondiale, come sottolineato dal New York Times del 9 marzo 1944, che tra l’altro scrisse: “Non è mai avvenuto nulla di simile nell’Europa occupata che possa somigliare alla rivolta degli operai italiani disarmati come sono, sanno combattere con coraggio e audacia quando hanno una causa per cui combattere”.
E'  indispensabile informare e formare le nuove generazioni sulla tragedia dei campi di sterminio che ha colpito i diversi, gli ebrei, gli antifascisti, i lavoratori, affinché fascismo e razzismo, vecchio e nuovo, non abbiano più cittadinanza in nessun paese civile.
Tutto ciò è possibile solo se si fanno vivere i valori che portarono i lavoratori alle lotte e al sacrificio della vita; gli stessi valori che sono fissati nella Costituzione repubblicana, che va fatta rispettare e attuare.  

Quando venne istituito il Giorno della Memoria (in Italia nel 2000, dall’ONU nel 2005 e altrove in altre date), si poté legittimamente considerarlo come il punto d’arrivo d’una presa di coscienza comune a buona parte dell’opinione pubblica mondiale, e specialmente di quella europea e occidentale in genere. A più
di 50 anni   dalla fine della guerra si riconosceva la specificità – anche e soprattutto dal lato delle vittime: il popolo ebraico – di quello che Churchill già immediatamente a ridosso dei fatti, ed anzi mentre ancora quasi si svolgevano, aveva definito “probabilmente il più grande e il più orribile crimine mai commesso nell’intera storia del mondo”.
In realtà, si trattava di qualcosa ch’era iniziato davvero qualche decennio prima, quando, almeno a partire dagli anni 70 (ma forse dal 1961, l’anno del processo Eichmann in Israele), il dibattito storiografico, ma anche la riflessione e l’interpretazione, oltreché la rappresentazione attraverso la letteratura, il cinema, ecc., avevano conosciuto un’impennata straordinaria, come se davvero fosse finalmente insorta, dopo lunga maturazione, una nuova consapevolezza, uno sguardo sullo sterminio degli ebrei che riusciva a staccarlo dallo sfondo, a stagliarlo e illuminarlo di luce propria rispetto alle complessive vicende della Seconda Guerra Mondiale.
 Erano stati in particolar modo gli ebrei che non soltanto si erano già dati un loro “Giorno della Memoria” tra il 1953 e il 1959 (Yom ha- Shoah), ma soprattutto avevano già da un pezzo rielaborato in profondità la loro memoria ed anzi il loro vissuto, individuale e collettivo a un tempo, dell’Evento, mentre era la coscienza
pubblica “generale” che era nel frattempo maturata abbastanza da invocare, reclamare quasi, una giornata memoriale che fosse significativa e parlasse a tutti e per tutti, e soprattutto ai giovani delle nuove generazioni. Naturalmente, gli ebrei non potevano che vedere con favore e soddisfazione tutto quel lavorio e tutto quel fervore, che parevano davvero annunciare piena giustizia storica e, per il presente e il futuro, nuova consapevolezza e nuovo rispetto nei loro confronti. Mentre erano da considerarsi fisiologiche e un po’ scontate, almeno finché minoritarie, le voci dissonanti di chi accusava la parte ebraica di: vittimismo esagerato, esclusivismo e magari anche utilizzo improprio della memoria storica per giustificare, per esempio, l’esistenza e tutta l’azione “nel presente” dello Stato d’Israele.
In realtà, al di là del puro ricordare, richiamare alla memoria  “quel ch’è stato”, quali potevano essere le finalità più profonde e radicali nell’istituire una ricorrenza del genere? Il Giorno della Memoria doveva senza dubbio testimoniare del significato universale di quanto accaduto al popolo ebraico (ma anche ad altri,  e soprattutto agli zingari) durante la Seconda Guerra Mondiale e far riflettere, contemporaneamente, sulla
inaggirabile questione del: “perché gli ebrei?”. In effetti, i nazisti tedeschi e i loro complici vollero certo annientare l’uomo che era nell’ebreo, ma forse ancor più l’ebreo che è in ogni uomo, e cioè la forza superbamente umana, e davvero “universale”, della differenza, dell’individualità e della libera identità. Poiché è questa la vera, profonda universalità della condizione ebraica, quella che alla fine provoca nel profondo l’antisemita e il “fascista” di ogni tempo e che spiega, tra l’altro, la radicalità e l’unicità della Shoah.
 Com’è ormai consapevolezza diffusa, una Giornata della Memoria aveva, doveva avere, la funzione primaria di far riflettere la collettività nazionale dei diversi paesi su quelle che erano state anche le proprie responsabilità, traendone il massimo di coscienza storico politica per il presente e per il futuro.
 La memoria non poteva che rimandare continuamente al “sapere” e alla storia ricostruita sempre meglio
e sempre più in profondità. Anche perché soltanto una storia così intesa avrebbe permesso di riconoscere le responsabilità
 Quelle aspettative nei confronti del Giorno della Memoria sono andate, nel tempo, e forse non poteva essere altrimenti, largamente disattese se non francamente deluse. Molti, ebrei e non ebrei, non possono che prendere atto delle derive di una memoria così spesso istituzionalizzata, banalizzata, ritualizzata, rappresentata e celebrata nella pura ripetizione. Dove persino la ricorrente e giusta osservazione che la memoria non possa essere coltivata soltanto un giorno all’anno ma debba esserlo sempre, tutti i giorni dell’anno, è diventata una banale ovvietà, di quelle che rinviano soltanto la risposta che si deve dare a un problema senza averne compreso il significato reale.

Cosa può il Giorno della Memoria di fronte alla crisi del nostro tempo, non solo economico-sociale ma anche etico-politica e dei valori , che non solo conferma la ripetibilità del male – e sia pure non esattamente quel male, per intensità e radicalità, oltreché intenzionalità totale nell’annientamento di un popolo – ma persino una ripetizione puntuale di quel male, o almeno dei suoi presupposti fondamentali, e dunque l’antisemitismo, e il negazionismo, e le mille altre cose orribili che puntualmente rialzano oggi la testa, e con tanto maggior vigore nella società della “comunicazione globale”?
Eppure  la “memoria”, anche quella più ufficiale, mantiene il suo carattere di assoluta necessità,  perché  nella sua realtà storica ma anche nella sua proiezione verso il presente e verso il futuro, è cosa che oltrepassa ogni   possibile strategia esistenziale e anche politica... " 

ANED

 " L’ANED, Associazione Nazionale Ex Deportati,  in rappresentanza di tutti i deportati nei campi di sterminio nazisti   si è prodigata, in Parlamento ma non solo, per l’istituzione, da parte della Repubblica, del “Giorno della Memoria”: il 27 gennaio 1945, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz ad opera dell’Armata
rossa.
L’ANED  ha contribuito a definire le finalità e la delimitazione ideale della giornata, quella cioè “di ricordare la Shoah, le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, e coloro che, anche in campi e schieramenti diversi,si sono opposti al progetto di sterminio, e a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
Conoscere il testo integrale della legge è importante perché la delimitazione ideale dei soggetti che devono essere ricordati nel giorno della memoria è estesa e riunisce tutti coloro che hanno subito ogni forma di deportazione e la morte nei campi di sterminio: deportati politici, razziali, religiosi, oppositori dei regimi dittatoriali, partigiani combattenti, resistenti, diversi, omosessuali, rom e sinti, milioni di uomini, donne, bambini, anziani, handicappati, mutilati, militari, interi popoli inermi, ma anche di coloro che hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati. 
Persone che hanno avuto il coraggio di scegliere – rischiando la propria vita - una partecipazione attiva alla lotta dei popoli europei contro il razzismo e la barbarie del nazismo e del subalterno fascismo repubblichino
Combattenti consapevoli, ma anche vittime innocenti, travolte nello scontro, tutti insieme deportati nei campi di sterminio, soggetti a umiliazioni, percosse, lavori pesanti, fame e freddo, destinate alle camere a gas e ai forni crematori. 
Persone che si sommano ai milioni di ebrei, perseguitati per il solo fatto di far parte di un’etnia, di una tradizione e – non sempre – di una religione diversa: il 27 Gennaio si ricorda non solo la Shoah, la persecuzione e lo sterminio degli ebrei  ma anche la sofferenza di tutti coloro che hanno avuto in sorte l’esperienza concentrazionaria.
Infatti  le deportazioni sono state tante e tutte hanno la stessa dignità davanti alla Storia. Parlare oggi di “Deportazione” è limitativo: per onorare tutti coloro che sono caduti e i sopravvissuti che hanno inciso nella memoria lo strazio di quanto visto nei lager, si deve parlare di “Deportazioni”.
Il problema – oggi – è quello di rileggere la storia di quegli anni terribili e sistemarla in una memoria condivisa da tutti noi, ma soprattutto di avere la capacità di trasmettere quella Memoria alle giovani generazioni.
La formazione di una coscienza civile, prima che politica, basata sulla Memoria di quanto è stato – per evitare la diffusione di idee di sopraffazione e di morte – è il senso del Giorno della Memoria.
Questo è il compito dell’Associazione Nazionale Ex Deportati, fondata nel 1946 dai pochi sopravvissuti ai campi di sterminio, che ha l’importante particolarità che da sempre ne orienta la missione e gli obbiettivi: nella sua storia l’ANED non si è mai divisa, a differenza di altre associazioni partigiane o sindacali, ma ha sempre trovato modalità di conferma di una grande unità antifascista.
Molto del permanere di questa unità sostanziale è dovuto al fatto che i sopravvissuti dei campi siano stati testimoni di tali atrocità di un disegno criminale di annientamento di tutte le diversità, che invece sono una ricchezza per l’umanità, per cui l’unità antifascista fosse da tutti ritenuta un bene così prezioso da meritare ogni sforzo per mantenerla alta e forte.
Ciò consente all’ANED di essere genuina interprete di tutti coloro che devono essere celebrati nel giorno della memoria, in un quadro di solidarietà e fratellanza nato dalla lotta per la conquista della libertà.
Questo impegno   consente di mettere a disposizione delle celebrazioni della giornata della memoria testimoni diretti, ormai purtroppo pochi i sopravvissuti, ma anche figli e nipoti di tutti i deportati italiani e, dal congresso dell’ANED dello scorso anno, i nuovi associati, a cui è consentita la partecipazione con l’impegno di studiare, approfondire e di documentarsi sulla storia delle deportazioni, per diventare utili interpreti della conservazione della memoria storica di quel tragico periodo. "

Come figlia di un IMI, internato militare italiano, per me la Giornata della memoria è sempre un giorno particolare 
Ricordo mio papà e ricordo che anche lui è stato una vittima del fascismo e del nazismo con due lunghissimi anni nei campi di concentramento tedeschi in Polonia e in Germania e tutto il resto della vita passato a cercare di dimenticare ciò che aveva subito
Perché non possa succedere mai più  
Mai Più !

martedì 10 dicembre 2013

United Nations Human Rights Prize

Sono stati annunciati i vincitori del riconoscimento conferito dalle Nazioni Unite a chi si è distinto nella difesa dei diritti umani , lo United Nations Human Rights Prize. Questi i prescelti: Biram Dah Abeid, Hiljmnijeta Apuk, Liisa Kauppinen, Khadija Ryadi, la Corte Suprema messicana e Malala Yousafzai.
Il premio è stato istituito nel 1966  e conferito per la prima volta il 10 dicembre 1968, in occasione del 20esimo anniversario della Dicharazione universale dei diritti umani, proclamato poi "Giornata internazionale dei diritti umani". Le successive premiazioni sono avvenute a intervalli di cinque anni, e tra i vincitori del passato spiccano Amnesty International, Jimmy Carter, Martin Luther King, Nelson Mandela ed Eleanor Roosevelt. 
La cerimonia per la consegna del premio si è tenuta oggi martedì 10 dicembre nel quartier generale dell'Onu a New York -- nella giornata dei diritti umani ( Human Rights Day)
 
Malala Yousafzai è diventata  un simbolo per i diritti delle giovani donne di tutto il mondo.  Attivista per l'istruzione e i diritti delle donne, dopo essere sopravvissuta al tentato assassinio nell'ottobre 2012, Malala ha dimostrato ancora più coraggio e impegno, riprendendosi e continuando a parlare a nome dei diritti delle ragazze e delle donne del globo.

lunedì 9 settembre 2013

8 settembre 1943

Ieri era il settantesimo anniversario dell’8 settembre 1943,  il giorno dell’armistizio, quando gli italiani, destituito Benito Mussolini da meno di un mese e mezzo, si arresero alle forze Alleate
In effetti l’armistizio era stato firmato cinque giorni prima, il 3,  ma poiché l’8 non aveva ancora avuto applicazione perché i vertici dell' Esercito italiano si consideravano impreparati a supportare l’azione degli Alleati, mentre in realtà erano impreparati ad affrontare la ovvia reazione tedesca, il generale americano Dwight Eisenhower diede l’annuncio alle 18,30 da Radio Algeri.
La notizia raggiunse il re Vittorio Emanuele III, che fu perciò obbligato a dare una conferma, diramata più di un’ora dopo.
 All’alba del 9 settembre, insieme con la famiglia, alcuni generali e alcuni ministri del governo Badoglio, il re lasciò Roma  fuggendo fino a Brindisi.  Un episodio vergognoso ed indegno, le cui conseguenze ricaddero quasi subito sulla pelle dei soldati italiani, lasciati ovunque allo sbando 
Roma era rimasta senza il re, senza il  governo,  senza generali, senza alcuna direttiva a chi restava in armi e no: se l’erano tutti data a gambe !!!
Nei dintorni di Roma c’erano sei divisioni italiane e soltanto due tedesche, ma l’armistizio informava della fine delle ostilità con gli Alleati . La gente festeggiava per strada, cantava e ballava e i soldati buttavano le armi e sostituivano le divise con abiti civili per tornare più in fretta a casa. Tutti erano felici e convinti  della fine della guerra.
Peccato che non fu così, purtroppo
Gli Italiani non si resero conto che l'Italia, Mussolini, il re ed un governo debole ed irresponsabile, si erano alleati al mostro germanico, ai Nazisti con i campi di sterminio e la folle politica di dominio
Se gli Italiani erano convinti  che i Tedeschi l’avrebbero presa con un’alzata di spalle, si sbagliavano di grosso
Rosario Romeo dichiarerà una verità cruda e deprimente: noi Italiani eravamo un popolo di «antifascisti e antitedeschi dalla venticinquesima ora», noi Italiani eravamo un popolo «moralmente e intellettualmente» incapace di cogliere la gravità dei suoi atti, o della sua indolenza. Questo valeva anche e soprattutto per il re, naturalmente, che aveva appoggiato ogni scelta autoritaria e liberticida del Duce, e che mai aveva trovato il coraggio di trarre le conseguenze di quel regime e di quella guerra: se ne restò imbelle al Quirinale, aspettando la mossa di altri, o il lampo del famoso stellone. Nei suoi diari, accreditati dallo storico De Felice, Dino Grandi (ministro degli Esteri e ambasciatore a Londra, il 25 luglio ’43 ministro Guardasigilli e presidente della Camera) scriveva di aver chiesto ripetutamente a Vittorio Emanuele III di prendere in mano la situazione, ripristinare lo Statuto Albertino e restituire prerogative alle istituzioni. Bisognò attendere che Grandi entrasse al Gran Consiglio con l’ordine del giorno che di fatto abbatteva il Duce, e con due bombe a mano in tasca, un raro esempio di un regime autoaffondato.
Pochi giorni dopo le truppe naziste occuparono il suolo italiano e sappiamo come andò a finire... due anni di guerra, di lotte fratricide, di pochi che inizialmente fuggirono in montagna per combattere, dei soldati italiani in fuga catturati e spediti nei campi di concentramento nazisti a lavorare come schiavi, dei bombardamenti, di uomini donne e bambini trucidati in stragi senza senso, come a Boves o a Stazzema e Marzabotto, di orrori senza fine fino al 25 aprile 1945,  il giorno della Liberazione, quando Mussolini rimase a Milano sino al tramonto, a colloquio col cardinale Schuster, e poi fuggì lasciando campo libero al Comitato di liberazione