venerdì 27 dicembre 2013

Cristian è libero

Dopo due mesi di prigione in Russia e più di un mese di libertà su cauzione trascorsa a San Pietroburgo finalmente Cristian potrà tornare a casa! Mio figlio sarà presto libero, e saranno liberi anche gli altri 27 attivisti di Greenpeace e i due giornalisti freelance arrestati in seguito ad un’azione di protesta contro la compagnia Gazprom per la difesa dell'Artico. Il Parlamento russo ha votato l’amnistia anche per il reato di cui erano accusati: il vandalismo.
Voglio ringraziare ancora una volta tutti i firmatari della petizione, donne e uomini liberi che hanno contribuito con il loro sostegno a tenere alta l’attenzione sul destino di mio figlio e dei suoi compagni. Giovani carichi di ideali che mai avrebbero dovuto finire in prigione, accusati di reati assurdi e gravissimi.
Non ho sentito mio figlio per settimane. L’angoscia, la lontananza e il timore che questa storia potesse prolungarsi ed essere dimenticata hanno accompagnato le nostre giornate.
Cristian è solo colpevole di pacifismo, e così tutti gli Arctic 30. Purtroppo però non c'è nessuna amnistia per l'artico che possa proteggere questo fragile ecosistema dalle trivellazioni petrolifere.
Grazie a tutti i firmatari che tanto hanno fatto per riportare a casa Cristian. Crediamo in lui e non vediamo l’ora di riabbracciarlo.
Raffaela Ruggiero 
Questa è la lettera che la signora Ruggiero ha inviato a tutti coloro che hanno firmato, su invito di Greenpeace,  la richiesta di scarcerazione di suo figlio e degli altri attivisti imprigionati in Russia 
Una buona notizia con la speranza che anche l'Artico possa essere salvato dagli interessi economici e dalle speculazioni delle Nazioni confinanti

martedì 24 dicembre 2013

giovedì 12 dicembre 2013

Il Diario di Malala

«Malala» significa «addolorata». Lo  pseudonimo che Malala Yousafzai aveva scelto per il suo diario era Gul Makai  Ma Malala era anche una guerriera pashtun del XIX secolo, una Giovanna D'Arco afghana che ispirò il popolo a combattere fino alla morte contro britannici e indiani «anziché vivere una vita nella vergogna». Stessi valori ma dedicati a fini diversi dai talebani, in maggioranza di etnia pashtun.

Sabato 3 gennaio: “Ho paura”
Ho fatto un sogno terribile ieri, con gli elicotteri militari e i talebani.  Faccio questi incubi dall’inizio dell’operazione dell’esercito a Swat. Mia madre mi ha preparato la colazione, e sono andata a scuola. Avevo paura di andare perché i talebani hanno emanato un editto che proibisce a tutte le ragazze di frequentare la scuola.
Solo 11 compagne su 27 sono venute in classe. Il numero è diminuito a causa dell’editto dei talebani. Per la stessa ragione, le mie tre amiche sono partite per Peshawar, Lahore e Rawalpindi con le famiglie.
Mentre tornavo a casa, ho sentito un uomo che diceva “Ti ucciderò”. Ho affrettato il passo, guardandomi alle spalle per vedere se mi seguiva. Ma con grande sollievo mi sono resa conto che parlava al cellulare. Minacciava qualcun altro.

Domenica 4 gennaio: “Devo andare a scuola”
Oggi è vacanza, e mi sono svegliata tardi, alle 10 circa. Ho sentito mio padre che parlava di altri tre cadaveri trovati a Green Chowk (al valico). Mi sono sentita male sentendo questa notizia. Prima del lancio dell’operazione militare, andavamo spesso a Marghazar, Fiza Ghat e Kanju per il picnic della domenica. Ma ora la situazione è tale che da un anno e mezzo non facciamo più un picnic.
Andavamo sempre anche a passeggiare dopo cena, ma adesso torniamo a casa prima del tramonto. Oggi ho aiutato un po’ in casa, ho fatto i compiti e ho giocato con mio fratello. Ma il mio cuore batteva forte — perché devo andare a scuola domani.
 
Lunedì 5 gennaio: “Non indossare vestiti colorati”
Mi stavo preparando per la scuola e stavo per indossare la divisa, quando mi sono ricordata di ciò che il preside ci ha detto: “Non indossate le divise, e venite a scuola in abiti normali”. Perciò ho deciso di mettermi il mio vestito rosa preferito. Anche altre ragazze indossavano abiti colorati, per cui c’era un clima molto casalingo in classe.
Una mia amica è venuta a chiedermi: “Dio mio, dimmi la verità, la nostra scuola sarà attaccata dai talebani?”. Durante l’assemblea del mattino, ci è stato detto di non indossare più vestiti colorati, perché i talebani sono contrari.
Dopo pranzo, a casa, ho studiato ancora un po’, e poi la sera ho acceso la tv. Ho sentito che a Shakarda viene rimosso il coprifuoco che era stato imposto 15 giorni fa. Sono contenta perché la nostra insegnante di inglese vive nella zona e adesso forse riuscirà a venire a scuola.
 
Mercoledì 7 gennaio: “Né spari né paura”
Sono stata a Bunair in vacanza per Muharram (una festività musulmana). Adoro Bunair per via delle sue montagne e dei suoi rigogliosi campi verdi. La mia Swat è anch’essa molto bella, ma non c’è pace. Ma a Bunair c’è pace e tranquillità. Non ci sono spari né paura. Siamo molto felici.
Oggi sono stata al mausoleo di Pir Baba e c’era tanta gente, loro erano lì per pregare, noi per un’escursione. C’erano negozi che vendevano bracciali, orecchini e bigiotteria. Ho pensato di comprare qualcosa, ma niente mi ha colpito particolarmente, mentre mia madre ha comprato degli orecchini e dei bracciali.
 
Mercoledì 14 gennaio: “Potrebbe essere l’ultima volta che vado a scuola”
Ero di cattivo umore sulla strada della scuola, perché le vacanze invernali cominciano domani. Il preside ha annunciato quando iniziano le vacanze, ma non ha detto quando la scuola riaprirà. E’ la prima volta che succede.
In passato, la data di riapertura veniva sempre annunciata chiaramente. Il preside non ci ha detto perché non l’abbia fatto, stavolta, ma io credo che  i talebani abbiano annunciato che l’editto contro l’istruzione femminile entrerà in vigore ufficialmente a partire dal 15 gennaio.
Stavolta le ragazze non sono così entusiaste di andare in vacanza, perché sanno che, se i talebani applicano l’editto, non potremo mai più andare a scuola. Alcune compagne erano ottimiste e dicevano che certamente la scuola riaprirà a febbraio, ma altre mi hanno confidato che i genitori hanno deciso di lasciare Swat e di trasferirsi in altre città per il bene della loro istruzione.
Visto che oggi era l’ultimo giorno di scuola, abbiamo deciso di giocare nel cortile un po’ più a lungo. Io credo che la scuola un giorno riaprirà, ma mentre tornavo a casa ho guardato l’edificio pensando che potrei non tornarci mai più.
 
Giovedì 15 gennaio: “Il suono dell’artiglieria riempie la notte”
Il rumore del fuoco dell’artiglieria riempiva la notte, e mi ha svegliata tre volte. Ma dal momento che non c’è scuola, mi sono alzata più tardi, alle 10 del mattino. Poi è venuta a casa la mia amica e abbiamo parlato dei compiti.
Oggi è il 15 gennaio, è l’ultimo giorno prima che entri in vigore l’editto talebano, e la mia amica continuava a parlare dei compiti, come se non stesse accadendo niente al di fuori dell’ordinario.
Oggi ho anche letto il diario che ho scritto per la BBC (in urdu) e che è stato pubblicato sul giornale. A mia madre piace il mio pseudonimo “Gul Makai”, e ha detto a mio padre “perché non cambiamo il suo nome e la chiamiamo Gul Makai?” Anche a me piace perché il mio vero nome vuol dire “addolorata”.
Mio padre dice che alcuni giorni fa qualcuno gli ha mostrato una copia di questo diario dicendo quanto sia fantastico. Papà ha sorriso, ma non poteva nemmeno dire che l’autrice è sua figlia.

Malala Yousafzai

 
  Malala Yousafzai a qattordici anni   sfidò i talebani, che successivamente  le spararono fuori dalla scuola
La giovane studentessa pachistana aveva in precedenza scritto un diario sulla sua vita nella provincia di Swat, al confine con l’Afghanistan,controllata dagli estremisti, ed era diventata un simbolo
In quella zona, dal 2003 al 2009 i talebani avevano preso il controllo   e vietato l’istruzione femminile, distruggendo centinaia di scuole. Nel luglio 2009, dopo furiosi combattimenti, l’esercito li  aveva sconfitti, e da allora il governo aveva incoraggiato i turisti a tornare a visitare quella che, una volta, era una popolare destinazione sciistica. 
Ma il tentativo di uccidere Malala fece capire quanto pericolo ci fosse ancora per le donne e per la loro istruzione
Un uomo barbuto  sparò alla ragazzina all’uscita della scuola, colpendola alla testa 
 Poco dopo arrivò la rivendicazione dei talebani pachistani: "L’abbiamo attaccata perché diffondeva idee laiche fra i giovani e faceva propaganda contro di noi. Oltretutto, considerava Obama il suo idolo».
 Il premier pachistano Raja Pervez Ashraf  mandò un elicottero per trasferire Malala in ospedale. Si infuriarono gli opinionisti pachistani e rimasero sotto choc molti cittadini, nel  Paese che pure è tristemente abituato alla violenza.
Malala   non era una ragazzina qualunque. Era la studentessa più nota del Pakistan   Prima di sparare, pare che l’assalitore avesse chiesto: «Dov’è Malala?». La ragazzina era vista come un pericolo dai talebani  per  la sua età, perché rappresentava le nuove generazioni. Pur non sapendo cosa fare da grande credeva che l’istruzione fosse un suo diritto. Pur non negando di avere paura, la sua voglia di studiare si era rivelata più forte. Mentre a Swat i talebani decapitavano la gente per «comportamenti anti-islamici», lei continuava ad andare a scuola e, nel 2009, a undici anni, aveva scritto un diario online per la Bbc raccontando sotto pseudonimo la sua vita di studentessa.   Era un diario in urdu, stampato anche su un giornale locale, accessibile a chi non sa l’inglese, per dare coraggio ad altre bambine e alle loro famiglie. 
Quando i talebani furono sconfitti a Swat, Malala fece ciò che molti adulti non hanno avuto  il coraggio di fare: li   criticò pubblicamente in tv. Ricevette molte minacce e sperimentato le conseguenze dell'attivismo, ma   difese l'importanza dell'istruzione: «Dateci delle penne oppure i terroristi metteranno in mano alla mia generazione le armi».
Perciò l'attacco contro di lei è stato un avvertimento a tutti coloro che lavorano per le donne e le ragazze. Ed un monito alle famiglie divise tra l'attrattiva delle libertà occidentali e il rispetto delle tradizioni locali. «Dopo l'operazione dell'esercito la situazione è tornata alla normalità - aveva detto Malala -. Speriamo che ricostruiscano le scuole al più presto. Ora tutti sono liberi di studiare e le ragazze non hanno paura dei talebani».

L’invasione dei “Forconi”

I sintomi della rivolta eversiva sono piuttosto evidenti (i blocchi, il tentativo di “fermare” tutto il Paese, i comportamenti e gliatteggiamenti violenti, ecc.) così come è sintomatico il rapido allineamento col movimento, da parte di forze dichiaratamente di destra e alcune, decisamente
fasciste.
Diciamo no ad ogni tipo di violenza diffusa e di sopruso, organizzato, sui diritti altrui; e soprattutto diciamo no a quelle forme di protesta e di “rivolta” che finiscono per avvicinarsi troppo a quel colore nero che non vogliamo più vedere nella nostra Italia e in nessun Paese.
Diciamo sì, invece, a quei governi che finalmente si decidano a mettere in campo tutte le risorse e tutte le misure possibili per risolvere la gravissima situazione economica e sociale in cui versa il Paese
Il movimento dei “forconi” è tornato nelle strade e nelle piazze d’Italia, ancora più deciso edagguerrito. In sé, potrebbe apparire una delle tante manifestazioni di protesta; ma c’è qualcosa di più, su cui occorre riflettere. Da mesi sto scrivendo e dicendo che bisogna fare attenzione e adottare provvedimenti seri contro l’emergenza sociale e la crisi, anche per evitare che la protesta si trasformi in forme esasperate e pericolose. Ed ho scritto più volte che, nelle grandi crisi, c’è sempre il grande pericolo dello sbocco a destra.
Ma la situazione è peggiorata e l’indignazione dei singoli si è trasformata spesso in manifestazioni al limite dell’esasperazione. Finora non è accaduto nulla di veramente preoccupante, anche se chiunque abbia buon senso non può restare indifferente di fronte alla grave situazione del Paese, con tutti gli effetti che ne derivano, per i singoli e per le categoria.
In questo caso, però, sembra che si stia andando ancora più in là; e i sintomi della rivolta eversiva sono piuttosto evidenti (i blocchi, il tentativo di “fermare” tutto il Paese, i comportamenti e gli atteggiamenti violenti, ecc.) così come è sintomatico il rapido allineamento col movimento, da parte di forze dichiaratamente di destra e alcune, decisamente fasciste.
E’ vero che alcuni dei promotori sembrano rifiutare certe logiche e certe alleanze; ma lo stesso proposito di bloccare tutto il Paese per “mandare tutti a casa” costituisce, di per sé, un sintomo davvero allarmante. Tanto più che la violenza, insita in queste forme esasperate di protesta, si manifesta talora in modo inconcepibile, come è avvenuto a Torino ed altrove.
Quando la “protesta” degenera, bisogna porre un limite alla tolleranza; e lo Stato deve garantire, così come la libertà di manifestazione del pensiero, anche la libertà di circolazione.
In più, mi ha molto colpito ciò che è accaduto a Torino, dove – nonostante le smentite ufficiali – giornalisti accreditati confermano che alcuni agenti di polizia avrebbero solidarizzato con i manifestanti, togliendosi l’elmetto. Se ciò fosse vero, il fatto apparirebbe veramente intollerabile, perché il dovere di chi rappresenta lo Stato è di essere giusto e non esercitare violenze preventive, ma anche di non aderire a comportamenti violenti, di vera e propria rivolta. Lo Stato, in qualunque sua componente deve essere imparziale e occuparsi dei diritti di tutti i cittadini, nello stesso modo.
Altrimenti, dove andremmo a finire? Si può, dunque, comprendere tutto, anche l’indignazione e la protesta di chi lotta per il suo lavoro, la sua famiglia, la sua piccola impresa; ma non cessando di garantire la sicurezza, la tranquillità ed i diritti di tutti e non assumendo atteggiamenti benevoli nei confronti di chi sembra rievocare il fantasma dell’Abbasso tutti, di qualunquistica memoria.
Ho visto anche un comunicato stampa del Comitato provinciale dell’ANPI di Torino che, oltre ai blocchi che si sono verificati nei giorni scorsi, denuncia anche carenze e addirittura assenze delle forze dell’ordine.
E’ necessario che anche su questi aspetti e sulle eventuali responsabilità, il Ministero degli interni faccia i necessari accertamenti, anche per evitare che situazioni e fatti del genere, possano ancora verificarsi in futuro.
Insomma e per concludere, diciamo no ad ogni tipo di violenza diffusa e di sopruso, organizzato, sui diritti altrui; e soprattutto diciamo no a quelle forme di protesta e di “rivolta” che finiscono per avvicinarsi troppo a quel colore nero che non vogliamo più vedere nella nostra Italia e in nessun Paese.
Diciamo sì, invece, a quei governi che finalmente si decidano a mettere in campo tutte le risorse e tutte le misure possibili per risolvere la gravissima situazione economica e sociale in cui versa il Paese.

Dalla news-letter dell’ANPI n 100

martedì 10 dicembre 2013

United Nations Human Rights Prize

Sono stati annunciati i vincitori del riconoscimento conferito dalle Nazioni Unite a chi si è distinto nella difesa dei diritti umani , lo United Nations Human Rights Prize. Questi i prescelti: Biram Dah Abeid, Hiljmnijeta Apuk, Liisa Kauppinen, Khadija Ryadi, la Corte Suprema messicana e Malala Yousafzai.
Il premio è stato istituito nel 1966  e conferito per la prima volta il 10 dicembre 1968, in occasione del 20esimo anniversario della Dicharazione universale dei diritti umani, proclamato poi "Giornata internazionale dei diritti umani". Le successive premiazioni sono avvenute a intervalli di cinque anni, e tra i vincitori del passato spiccano Amnesty International, Jimmy Carter, Martin Luther King, Nelson Mandela ed Eleanor Roosevelt. 
La cerimonia per la consegna del premio si è tenuta oggi martedì 10 dicembre nel quartier generale dell'Onu a New York -- nella giornata dei diritti umani ( Human Rights Day)
 
Malala Yousafzai è diventata  un simbolo per i diritti delle giovani donne di tutto il mondo.  Attivista per l'istruzione e i diritti delle donne, dopo essere sopravvissuta al tentato assassinio nell'ottobre 2012, Malala ha dimostrato ancora più coraggio e impegno, riprendendosi e continuando a parlare a nome dei diritti delle ragazze e delle donne del globo.

lunedì 9 dicembre 2013

Maria Novella Oppo

 " Gli insulti pesantissimi a Maria Novella Oppo, la giornalista dell’Unità linciata mediaticamente dai fan di Beppe Grillo dopo che quest’ultimo ne aveva pubblicato la foto sui propri blog e profilo Facebook, additandola a nemica del Movimento, sono diventati il canovaccio di un filmato di solidarietà alla cronista che sta spopolando in rete. 
Una decina di giornalisti sono stati ripresi mentre, senza alcun commento, leggono le aggressioni verbali, molto spesso a sfondo sessista, rivolte alla Oppo. Ne citiamo le più morbide: «Che racchia. Pure raccomandata e sostenuta dai fondi pubblici. Sedia elettrica subito!», scrive Tiziano Caliendo. «E’ più bella che intelligente», gli fa eco Gianluca Castaldini copiando una vecchia battuta di Berlusconi su Rosi Bindi, preso a modello anche da un altro commentatore che la definisce con la stessa formula irripetibile usata dal cavaliere per la cancelliera Angela Merkel. 
«Abbiamo stampato 40 pagine di insulti, fra i circa tremila che erano stati postati sul blog di Grillo e la sua pagina Facebook – spiega Stefano Aurighi, autore del video insieme a Davide Lombardi e Paolo Tomassone, che insieme formano le Officine Tolau -. Poi, via Facebook, abbiamo lanciato un appello ai giornalisti e abbiamo chiesto loro di leggerli davanti alla telecamera, perché ci sembrava una risposta adatta alla gravità di quanto era successo, e stamattina abbiamo messo online il filmato».  "da La Stampa To
Trovo veramente vergognoso che si prenda di mira una persona e che la si riempia di insulti e minacce via web
Avere opinioni differenti è una cosa , usare metodi fascisti è un altro
Quando si tornerà anche all'olio di ricino ed alle bastonate ?

Vitaly Klitschko

" Un milione di persone sono scese in piazza a Kiev ieri, in una nuova sfida  a Viktor Yanukovich. Scaduti i due giorni di ultimatum che l’opposizione ucraina aveva lasciato al potere per indire nuove elezioni, il Maidan Nezalezhnosti ieri si è riempito, ed anche espanso: i manifestanti stanno accerchiando con barricate il quartiere governativo di fronte alla piazza, promettendo un assedio a oltranza. 
Un gruppo nazionalista ha compiuto il gesto simbolico di rovesciare e fare a pezzi la statua di Lenin sul boulevard Shevchenko. E la figlia di Yulia Timoshenko, Evghenia, ha letto dal palco il piano d’azione proposto da sua madre dal carcere: «Restare in piazza fino alle dimissioni di Yanukovich, un accordo di associazione con l’Ue con lui non è possibile». La residenza del capo di Stato fuori dalla capitale ieri è stata circondata dalla polizia, dopo che i manifestanti hanno promesso di portare l’assedio anche laggiù, se non verrà licenziato il governo e arrestato il ministro dell’Interno, responsabile del violento sgombero di 10 giorni fa. 
L’iniziativa sembra ormai passata alla piazza, visitata in questi giorni  dalle star del rock agli emissari delle diplomazie europee   all’ex presidente georgiano Mikhail Saakashvili che ha commosso la folla parlando, memore degli studi a Kiev, in ucraino. 
Yanukovich sta cercando un compromesso difficile. Due giorni fa ha avuto un incontro-lampo con Vladimir Putin, e ieri, dopo un’ennesima telefonata con il presidente della Commissione Ue José Manuel Barroso, Bruxelles ha annunciato l’invio a Kiev dell’Alta rappresentante per la politica estera dei 28, Catherine Ashton, per una mediazione. Barroso ha ripetuto che l’Ue è pronta a firmare l’accordo di associazione con Kiev, ma uno dei mediatori europei, l’ex presidente polacco Alexandr Kwasniewski, ieri ha criticato Bruxelles per aver sottovalutato l’aggressività di Putin e non essere venuta incontro a Yanukovich. Intanto Yanukovich ha promesso a Barroso che la soluzione va cercata «solo nel dialogo». Ormai è evidente che la piazza non si svuoterà, anche perché i suoi leader si rendono conto che è lì che si decide il loro futuro.
Soprattutto quello di Vitaly Klitschko, che ieri ha piantato i paletti della tendopoli sul Maidan. Timoshenko è in carcere e il leader della sua Batkivshina Arseny Yatseniuk in carisma non può competere con il campione mondiale dei pesi massimi che con i suoi 2,01 metri e la faccia da supereroe affronta le teste di cuoio. A 42 anni Klitschko, insieme al fratello Vladimir, è la gloria nazionale: 45 vittorie su 47 incontri di cui 41 con ko.  " da La Stampa To
   Klitschko ha ottenuto il 14% del Parlamento con il suo Udar (Movimento democratico ucraino per le riforme e nel triumvirato dei leader del Maidan si pone al centro, più sociale di Batkivshina e più moderato dei nazionalisti di Svoboda. Attualmente ha uno stabile 20% e  gode di consensi anche nell’Est ucraino, il feudo di Yanukovich tradizionalmente filorusso.
Il pugile non è un nazionalista, ma la storia della sua famiglia riassume tutte le tragedie ucraine: il nonno paterno fu mandato al confino, la nonna ebrea si è salvata nascondendosi per anni nella cantina di casa, gli altri familiari sono morti nell’Olocausto, nell’Holodomor, la carestia degli Anni 30 organizzata da Stalin, e nelle repressioni dei contadini degli Anni 20.  Risiede da anni in Germania e in Ucraina fa soltanto tanta beneficenza per aiutare asili e scuole. e campagne contro la corruzione   

Joachim Gauck

" Il presidente della Repubblica tedesco, Joachim Gauck, non andrà alle Olimpiadi invernali di Sochi, a febbraio dell’anno prossimo. Ex pastore luterano originario del Meclemburgo, il presidente tedesco è cresciuto nella Germania est in una famiglia anticomunista – il padre è stato rinchiuso per anni in un gulag in Siberia - ed stato per decenni spiato dalla Stasi; nei giorni caldi della rivoluzione dell’89 che portò alla caduta del Muro di Berlino, partecipò attivamente all’opposizione al regime di Honecker.
Markus Loning, responsabile per i diritti umani del governo tedesco, ha elogiato la sua decisione: «un gesto meraviglioso in supporto a tutti i cittadini russi che si battono per la libertà di opinione, per la democrazia e i diritti umani».
Gli ha fatto eco Claudia Roth, dei Verdi, che ha parlato di una «posizione forte» e di un «segnale incoraggiante».  "
Non tutti seguono le sirene di Putin e dei suoi scambi commerciali ed economici , per fortuna
Io non seguirò i giochi invernali in Russia per solidarietà nei confronti delle persone imprigionate o perseguitate in Russia per le loro scelte politiche o sessuali

venerdì 6 dicembre 2013

Il mestiere più vecchio del mondo

Gli antichi Romani dicevano O Tempore O Mores !
Non solo allora ma fin dai tempi antichi il meretricio era già di moda ed era motivo di discussioni di denuncia e di condanna, anche se poi molto spesso i moralisti del momento usavano andare, pure loro, a pagamento, con le " donnine allegre "
In Italia negli anni cinquanta del '900 la senatrice Merlin fece chiudere con una legge parlamentare le case chiuse, e fu così che noi che eravamo nati / nate  nel frattempo passammo il resto della vita a vedere quelle povere sfortunate donne di strada fare il loro mestiere lungo i bordi delle vie, al freddo, ma con un fuocherello acceso lì accanto, di notte e di giorno !
Povere disgraziate, abbiamo sempre pensato
Sfruttate maltrattate e usate fino allo sfinimento da protettori senza scrupoli e senza pietà, specialmente le africane e le giovanissime dell'Est Europa
Ma il mercato non ha mai sofferto nessuna crisi, grazie a tutti quegli  uomini che sono sempre stati, e sempre saranno, disponibili a passare del tempo a pagamento in loro compagnia ... e ne abusano senza mai porsi problema alcuno Pure loro
 
La riforma sanitaria del presidente Obama invece, che negli Usa ha trovato  un gruppo di entusiaste sostenitrici ,le prostitute legali delle case di tolleranza  del Nevada, ha scatenato subito la   propaganda feroce dei Repubblicani contro la legge  
Ma le opinioni delle prostitute, raccolte dalla televisione Cbs, che è andata a sentirle nel famoso  Moonlight Bunny Ranch, uno dei più noti bordelli legali del Nevada, sono motivo di riflessione seria
Taylor Lee ha spiegato che «facendo questa professione, non ci offrono esattamente le polizze sanitarie di gruppo».   In effetti le compagnie assicurative si tengono ben alla larga dal settore. Il problema, però, è che anche le prostitute sono esseri umani, con corpi che si ammalano: «E’ dura - ha denunciato Taylor - perché io ho una patologia preesistente, e quindi tutti mi rifiutano. Perciò sostengo davvero Obamacare, e sono molto contenta che sia in vigore». 

In Francia c'è stato il Primo sì del Parlamento  d'Oltralpe al disegno di legge sulla prostituzione: le proteste di piazza delle lucciole e l’opposizione di una parte dell’opinione pubblica, a destra come a sinistra, di uomini e di donne, senza distinzioni , non hanno convinto i deputati che, 268 contro 138, hanno approvato il testo che vuole sradicare il fenomeno del sesso a pagamento, penalizzando i clienti con multe a partire da 1.500 euro.  La bozza di legge, promossa dal partito socialista con il sostegno convinto del ministro per i Diritti delle donne, Najat Vallaud-Belkacem, passerà all’esame del Senato ad inizio 2014.
Alla Camera tutti i partiti hanno lasciato libertà di voto ai propri deputati: i socialisti e il Fronte di sinistra hanno votato in maggioranza a favore, contro si sono schierati soprattutto radicali e Verdi, mentre il fronte del centro-destra con l’Ump (Unione per un movimento popolare) e Udi (Unione dei democratici e indipendenti) sono risultati divisi.
Oltre alle multe per i clienti, il disegno di legge prevede l’istituzione di un fondo per proteggere le vittime della prostituzione. Una parte importante della legge è  quella dedicata alle prostitute straniere che si impegnano ad abbandonare l’attività in cambio di un permesso di soggiorno di sei mesi.   Fino ad ora in Francia il sesso a pagamento era legale ma ne era vietato lo sfruttamento e la prostituzione minorile, così come l' "adescamento passivo "  ( legge di Nicolas Sarkozy - 2003 ). In caso di approvazione anche da parte del Senato, Parigi si allineerà alla Svezia e alla Norvegia, paesi all’avanguardia nella lotta alla prostituzione.
Ma questa  proposta di legge ha innescato un acceso dibattito in Francia  e le prostitute sono scese sul piede di guerra per la paura di perdere  clienti, dopo  il provvedimento, ed hanno puntato  il dito anche contro l’ulteriore precarizzazione delle loro condizioni di lavoro. «Siamo unanimi nel ritenere che la criminalizzazione dei clienti non farà sparire la prostituzione ma accentuerà l’insicurezza delle prostitute costringendole ulteriormente alla clandestinità», ha commentato un collettivo di associazioni contrarie alla normativa.
A fianco delle lucciole si sono schierati i firmatari del manifesto dei «343 bastardi» che, contro la penalizzazione dei clienti, all’inizio di novembre avevano rivendicano il diritto al sesso a pagamento tra adulti consenzienti.
Tra  loro vi sono pure esponenti del mondo della cultura e dei media, come il giornalista Frederic Beigbeder, il regista teatrale Nicolas Bedos e Richard Malka, avvocato di Dominique Strauss-Kahn. La petizione richiamava alla memoria il «manifesto delle 343 puttane» pubblicato nel 1971 sul Nouvel Observateur, con il quale le firmatarie ammettevano di aver avuto un aborto, esponendosi così alle conseguenze penali.
Quella presa di posizione contribuì notevolmente all’apertura di un dibattito pubblico sull’aborto, allora illegale, che si concretizzò nella legge Simone Veil del 1974, che rese possibile l’interruzione di gravidanza.
E' altrettanto forte invece il sostegno alla legge da parte delle femministe, come Anne Zelensky che a novembre  si era scagliata contro il nuovo manifesto dei bastardi, puntando il dito contro «il perverso gioco di prestigio dove la libertà è messa al servizio della difesa di una schiavitù di fatto».
 Con l’approvazione alla Camera, le associazioni contro il sesso a pagamento hanno salutato la «svolta storica», auspicando un’identica presa di posizione contro la «violenza prostituzionale» anche da parte del Senato.

E noi, che facciamo in Italia ? Continueremo ancora, nei secoli dei secoli a venire , a vedere quelle povere disgraziate lungo i bordi delle strade a contrattare il prezzo di una prestazione con i clienti delle auto ? 
Il Parlamento italiano è impegolato in ben altre beghe in questo periodo , dal Porcellum al Mattarellum, dalla disoccupazione in eccesso alle tasse sulla prima casa - la paghiamo, non la paghiamo, la pagheremo o non la pagheremo , questo è il dilemma - , da Renzi Berlusconi e Grillo che piantano casino ad oltranza a .... vattelapesca !
Ma i Parlamentariattuali  hanno pensato mai al mestiere più antico del mondo e alla difesa e protezione delle donne che lo praticano ? Creeranno pure loro prima o poi una nuova legge che colpisca i clienti e li induca a ridurre il mercato del sesso a pagamento ?

Nelson Rolihlahla Mandela

Nelson Rolihlahla Mandela 
 Madiba  nome all'interno del clan di appartenenza,  etnia Xhosa
Mvezo, 18 luglio 1918 – Johannesburg, 5 dicembre 2013
premio Nobel per la pace nel 1993 insieme al suo predecessore Frederik Willem de Klerk
 
"Il Sudafrica  e il mondo intero piangono Mandela,  un’icona del Novecento per la sua lotta contro l’apartheid. I funerali solenni si celebreranno domenica 15 dicembre a Qunu, il villaggio della sua famiglia. Il 10 è fissata la commemorazione nazionale nello stadio di calcio di Johannesburg.
I familiari si sono già riuniti per la prima cerimonia tradizionale, chiamata “chiusura degli occhi”, durante la quale hanno “parlato” con Mandela, così come con i suoi antenati, per spiegare loro cosa avviene in ogni fase di passaggio dalla vita all’aldilà. Dopo questa cerimonia, il corpo dell’ex presidente sudafricano è stato trasferito nell’obitorio di un ospedale militare di Pretoria. 
Tra il sesto e l’ottavo giorno dopo la sua morte, il corpo di Mandela sarà esposto per tre giorni nella sede del governo a Pretoria, lo stesso dove il 10 maggio  1994 giurò da primo presidente del Sudafrica del post-apartheid. Il primo giorno potranno rendergli omaggio leader e personalità, mentre nei due giorni successivi si metteranno in fila i comuni cittadini. Nel nono giorno dopo la sua morte, venerdì prossimo, un aereo militare con a bordo la salma di Mandela decollerà alla volta di Mthatha, città principale della Provincia orientale del Capo, dove si trova Qunu, il villaggio in cui Madiba nacque  e dove trascorse gli anni della sua infanzia. È qui che i militari passeranno alla sua famiglia la responsabilità dei resti dell’ex presidente sudafricano ed è qui che, al tramonto, i leader dell’African national congress (Anc) ed i parenti si riuniranno per una veglia di preghiera privata. Infine, sabato prossimo i funerali di Stato - cui sono attesi decine di leader stranieri, tra cui il presidente degli Stati Uniti Barack Obama - che si svolgeranno sotto un’enorme tenda allestita sulle colline dove Mandela giocava da bambino, e la sepoltura, a mezzogiorno, in un’area appositamente predisposta per lui e dove sono già sepolti alcuni suoi famigliari.  " da La Stampa online
Anch'io piango quest'uomo di cui ogni anno parlo ai miei alunni di terza perché è stato un grande uomo: un uomo che, dopo 27 anni passati nelle prigioni del regime segregazionista sudafricano bianco,  non ha mai pronunciato una volta la parola vendetta.
I suoi ultimi mesi lo hanno visto per ben quattro volte ricoverato in ospedale  a causa di infezioni polmonari, conseguenze della tubercolosi contratta nei lunghi anni di prigione a Robben Island, e intorno a lui si sono scatenate le liti sconcertanti dei suoi familiari
Ma il suo sorriso resterà sempre nei nostri cuori  Ha sconfitto l' apartheid di Botha, l’ultimo razzista bianco in Sudafrica ma ha sempre rifiutato di essere un’icona:   ’Mi si considera un santo: io non lo sono, non lo sono mai stato anche se si fa riferimento alla definizione più concreta secondo cui un santo è un peccatore che cerca di rendersi migliore…’’.
E' stato un figlio di capi che portava, a piedi scalzi le pecore al pascolo , l’avvocato senza paura che sfidava i signori dell’apartheid e diventava militante dell' ANC nel 1942 e due anni dopo il fondatore dell'associazione giovanile Youth League, insieme a Walter Sisulu e Oliver Tambo ; il murato vivo di Robben Island, matricola 46664, nella tomba per i condannati all'ergastolo da cui non c’era scampo.  Mandela ha conosciuto la solitudine del prigioniero e la solitudine dell’uomo di successo , ma ha saputo perdonare ed ha insegnato a perdonare
E' stato il primo Presidente del Sudafrica  dopo l' apartheid  ma si è ritirato a vita privata dopo il primo mandato
Un Grande Grande Grande Uomo ....