giovedì 28 marzo 2013

Beati

I nuovi beati di papa Francesco furono vittime del fanatismo del Novecento: due erano  italiani, uno ucciso da due partigiani, l'altro per aver difeso i partigiani, gli altri erano sacerdoti morti nella furia della guerra civile spagnola o durante la guerra fredda
" Rifiutò di togliersi l'abito talare perché, disse, "questa ricorda che io appartengo a Gesù". E così lo   uccisero: "Sarà un prete di meno domani", dissero tra loro i suoi aguzzini. ... Rolando Rivi era un ragazzino di quattordici anni,  quel 13 aprile 1945. Con l'unica colpa di essere un seminarista in mezzo a un delirio di fanatismo che  travolse la mente di due partigiani rossi, nel cuore dell'Emilia. Tredici giorni prima, quei tempi di sangue avevano segnato la fine di un'altra persona, il biblista domenicano Giuseppe Girotti, originario di Alba. Spirò a Dachau, in Germania, nel campo di concentramento nazista dove era stato rinchiuso a causa della sua attività antifascista e dell'aiuto dato agli ebrei perseguitati.
...  Oggi il pontefice ha approvato il fascicolo presentato dalla Congregazione per le cause dei santi, riconoscendo che Rolando e padre Giuseppe furono due martiri a causa della fede.  Questo, di fatto, spalanca il cammino verso la gloria degli altari senza attendere la procedura per il riconoscimento di eventuali miracoli.
Ma insieme alle loro vicende, Bergoglio ha sottoscritto che si trattò di morte "in odium fidei" anche per altri sessanta cattolici, tutti trucidati negli estremismi del secolo scorso. La maggior parte di loro fu travolta dalla guerra civile spagnola. È il caso del vescovo Jaén Emanuele Basulto Jiménez e di altre decine di sacerdoti e religiosi. Tra di essi, Giuseppe Massimo Moro Briz con altri 4 compagni della diocesi di Avila; Gioacchino Jovaní Marín e altri 14, della Società dei sacerdoti operai diocesani; Andrea da Palazuelo  insieme ad altri 31 confratelli cappuccini. Tutti uccisi tra il 1936 e il 1938 durante la guerra civile per non aver abiurato al loro ruolo durante le violente persecuzione contro la Chiesa anche innescate da posizioni filo franchiste di alcuni rappresentanti dei vertici ecclesiastici.
Altri due consacrati cattolici  sono stati ritenuti martiri dei regimi dell'Est negli anni della guerra fredda. Si tratta di Stefano Sándor, salesiano laico, ucciso in odio alla fede a Budapest l'8 giugno 1953, e Vladimiro Ghika, sacerdote diocesano, nato in Turchia e morto a Bucarest il 16 maggio 1954. Anche per loro - come per la religiosa tedesca Maria Teresa Bonzel (al secolo: Regina Cristina Guglielmina), fondatrice delle Povere Suore Francescane dell'Adorazione Perpetua di Olpe - restano ora da fissare solo le date della cerimonie di beatificazione.  " da Repubblica.it

Napolitano e Gauck a Sant'Anna

Domenica scorsa è stata una giornata storica molto importante per Sant'Anna di Stazzema, la cittadina dell'alta Versilia, che nel 1944 fu uno dei luoghi degli eccidi nazifascisti in Italia. I presidenti di Italia e Germania, Giorgio  Napolitano e Joachim Gauck, si sono incontrati  in questo luogo simbolo degli orrori nazisti, come Marzabotto e Boves, per non dimenticare e per rafforzare un percorso di pace tra i due Paesi 
Sant'Anna di Stazzema fu teatro dell'eccidio del 12 agosto 1944 in cui 560 civili, fra cui molte donne e bambini, furono fucilati a sangue freddo dall'esercito tedesco e questo viaggio ufficiale dei due Capi di Stato nasce sia dalle tre visite che una delegazione di Stazzema ha ottenuto al Quirinale, l'ultima lo scorso gennaio, che dai rapporti di amicizia e di collaborazione allacciati con la Germania, con Rolf Fliss, sindaco di Essen, e Martin Schulz, presidente del parlamento europeo venuto a Sant’Anna il 12 agosto 2012 dopo aver ricevuto una delegazione di superstiti nel suo studio di Bruxelles.
 
Dal sito " quirinale.it" il discorso del Presidente della Repubblica italiana, alla sua ultima uscita ufficiale prima del termine del suo mandato di sette anni :
 
Caro Sindaco, caro Enrico Pieri, uomini e donne di Sant'Anna di Stazzema, pensavo questo poco fa: si possono leggere libri, si possono leggere ricostruzioni attente, documentate, puntuali della strage di Sant'Anna di Stazzema, si possono leggere relazioni importanti - a cui è giusto riconoscere quel che va riconosciuto - di storici italiani e tedeschi, ma bisogna venire qui, e bisogna anche inerpicarsi lassù, fino all'Ossario, fino al monumento accanto al quale abbiamo deposto la nostra lapide, comune in tutte e due le lingue, per toccare con mano, per sentire che cosa siano state l'assurdità e la ferocia - senza uno straccio di giustificazione, senza uno straccio di pretesto - che si abbatterono sulla popolazione inerme di questo piccolo borgo sperduto, che non era una fortezza da espugnare: era soltanto un grumo di umanità che mai avrebbe dovuto essere oggetto di una simile feroce distruzione.
Sono molto contento che sia qui, con me, il Presidente Gauck. Vedete, io non ho nessun merito per la sua visita: ho fatto solo da postino, perché quando un mese fa sono andato a Berlino, ho pensato di consegnargli la lettera di Enrico Pieri, ed è stata sufficiente quella perché Gauck decidesse con assoluta determinazione di venire a Sant'Anna di Stazzema. Direi che da quel giorno, pur sapendo che avevo molti problemi per la situazione in Italia, è stato tenace nel chiedermi l'intesa sul momento, sulla data in cui venire insieme qui.
Ci siamo facilmente messi d'accordo e ci troviamo ora l'uno accanto all'altro. Ed è di grandissimo significato ed importanza, caro Presidente Gauck, che lei sia qui, lei che anche nelle condizioni di una Germania divisa, e sfidando la repressione poliziesca, è stato tenace assertore di ideali di libertà, di mobilitazione e di partecipazione civica, lei che è oggi Presidente della Repubblica Federale, simbolo dell'unità in cui la Germania si è ricomposta su una comune base democratica e costituzionale, e che è, insieme, simbolo e protagonista dei principi di unità e solidarietà in cui si riconosce l'Europa.
Vedete, l'Europa unita l'abbiamo costruita insieme in questi sessant'anni, e la costruzione è ancora ben lontana dall'essere terminata. L'abbiamo costruita insieme facendola risorgere una prima volta dalle rovine della guerra conclusasi nel 1945 e una seconda volta dopo l'89, dalle aberrazioni della guerra fredda, dall'autoritarismo e dalla sovranità limitata nelle regioni dell'Est tedesco e nei paesi dell'Europa Centro-Orientale.
E vorrei dire che tra le pietre con cui abbiamo costruito questa Europa unita, c'è la pietra della memoria. Ne costituisce uno dei fondamenti, la pietra di una memoria che non può essere rimossa, di una memoria consapevole degli errori e degli orrori di tutte le guerre del novecento e, soprattutto, delle guerre di aggressione scatenate tra il 1939 e il 1940-41 dalla Germania nazista e dall'Italia fascista.
Ora, carissimi amici di Sant'Anna di Stazzema, voi che avete resistito alla furia di quella terribile strage, che siete sopravvissuti, che avete coltivato la memoria, voi che avete combattuto per la libertà, voi lo sapete bene, e io lo voglio ripetere, come noi italiani siamo fieri della straordinaria prova di volontà appassionata ed eroica di riscatto che offrimmo fra il settembre del 1943 e l'aprile del 1945 con la Resistenza, con il movimento partigiano, con l'esercito di Liberazione: la prova che offrimmo anche tra queste cime, anche in queste valli nelle condizioni più difficili, sfidando quello che purtroppo venne a scatenarsi contro il popolo di Sant'Anna di Stazzema. Siamo di ciò orgogliosi e fieri ma non dimentichiamo i misfatti del fascismo, le vergogne e la catastrofe in cui il fascismo trascinò l'Italia. Non lo dimentichiamo, non lo cancelliamo solo perché siamo riusciti a liberarcene in modo straordinario con la Resistenza.
Ma come mai noi accettammo che il popolo italiano potesse essere identificato col fascismo, così mai abbiamo accettato che il popolo tedesco potesse essere identificato col nazismo. Mai abbiamo dimenticato che cosa è stata la grande cultura tedesca di cui si sono nutrite le scuole italiane, l'intellettualità italiana; mai abbiamo dimenticato come quella grande cultura tedesca rappresenti uno dei fondamenti della civiltà europea.
La verità è che ci tocca farci entrambi carico delle responsabilità delle generazioni che ci hanno preceduto. Così come se ne fece carico Willy Brandt che combatté contro il nazismo da tedesco, ma che da Cancelliere della Germania Federale si inginocchiò dinanzi al monumento delle vittime del ghetto di Varsavia.
Ebbene, noi dobbiamo fare questo, e per quel che riguarda l'Italia lo abbiamo fatto anche noi proprio in questi anni nel rapporto con paesi dei Balcani contro cui il fascismo italiano scatenò una tremenda guerra di aggressione e in cui, poi, anche gli italiani che vivevano in quelle terre pagarono le conseguenze di ritorsioni sempre fatali in così drammatiche, terribili circostanze.
Ebbene, noi abbiamo trovato, caro amico Gauck, la via della riconciliazione con la Croazia, con la Slovenia, con i popoli dei Balcani, siamo riusciti e stiamo riuscendo a fare del mare Adriatico di nuovo un mare di pace e di collaborazione. Non dimentichiamo le nostre responsabilità storiche, ma guardiamo avanti. Guardiamo avanti onorando innanzitutto il terribile sacrificio delle vittime, e mai si potrà dire tutto il merito di coloro che coltivano l'omaggio a queste vittime ; guardiamo avanti coltivando e trasmettendo la memoria storica come patrimonio comune.
Ha detto delle cose molto belle il Presidente Gauck or ora, sul concetto di colpa, sul problema del come si può anche vedere condannata moralmente e storicamente la colpa di regimi infami. Io vorrei a mia volta dire che questa memoria, questo omaggio collettivo è anch'esso un'alta forma di giustizia, anche più alta di quella che talvolta non si riesce a trovare nei tribunali. Per quanto possiamo rammaricarcene, addolorarcene, per quanto possiamo deplorare che non si riesca ad avere giustizia nei tribunali, siamo certi che questo nostro omaggio, questa nostra memoria è un'alta forma di giustizia per quello che voi avete sofferto. Ed è la condanna più pesante di ogni altra per coloro che portano la colpa di quelle sofferenze.
Soprattutto guardiamo avanti. Ci incontriamo oggi in un autentico spirito di fraternità europea. Questa non è una parola vacua, questo è il frutto di straordinari sforzi, di esperienze durissime, contraddittorie, di tanti alti e bassi e tenaci rilanci.
Caro Enrico Pieri, tu hai ragione di essere così rammaricato, perfino triste, preoccupato, ti prego - ma non mi pare che tu lo sia - non pessimista. E' vero, sarebbe veramente inaudito che noi lasciassimo dissolvere il patrimonio di unità, solidarietà e fraternità che abbiamo costruito in Europa. Credo che i nostri Paesi, l'Italia e la Germania, i nostri governi, le nostre persone non lasceranno dilapidare questo straordinario patrimonio, ma porteranno avanti l'impegno per la costruzione europea.
Vi ringrazio tutti. E voglio dire semplicemente: caro Presidente Gauck, io sto per concludere il mandato di sette anni di Presidente della Repubblica, questo è probabilmente l'ultimo atto pubblico ufficiale che compio, e sono felice che sia questo; porterò come memoria preziosa e come lascito del mio settennato l'esempio che lei mi dà di nobiltà d'animo e di amicizia. 

I pensieri di Papa Bergoglio

Domenica scorsa era la Domenica delle Palme. Ho seguito in diretta Tv la messa celebrata dal nuovo papa Francesco, padre Bergoglio, ed ho potuto assistere al bagno di folla presente in Piazza san Pietro E' stato impressionante vedere le migliaia di persone acclamare il papa mentre viaggiava sulla jeep scoperta, il suo sorriso, i suoi saluti, i suoi baci ai tanti bambini che gli sono stati passati, le parole affettuose al non vedente e ai disabili
Mi è piaciuto tantissimo ciò che ha detto durante l'omelia , in particolare:
"Dio non sceglie il più forte, il più valoroso, sceglie l’ultimo, colui che nessuno aveva considerato. Ciò che conta non è la potenza". "E' la potenza di Dio che affronta il male del mondo, il peccato che sfigura il volto dell’uomo: Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio".

"Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, di potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione". Gesù sulla croce "sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione".
 "... noi tutti possiamo vincere il male che c’è in noi e nel mondo: con Cristo, con il Bene".  ... "ci sentiamo deboli, inadeguati, incapaci, ma Dio non cerca mezzi potenti: è con la croce che ha vinto il male". ... "non dobbiamo credere al Maligno che ci dice: non puoi fare nulla contro la violenza, la corruzione, l’ingiustizia, contro i tuoi peccati". ..., "non dobbiamo mai abituarci al male". Con Cristo "possiamo trasformare noi stessi e il mondo".
Dobbiamo "portare la vittoria della Croce di Cristo a tutti e dappertutto; portare questo amore grande di Dio". Il Signore "chiede a tutti noi di non avere paura di uscire da noi stessi, di andare verso gli altri". Dunque "impariamo a guardare in alto verso Dio, ma anche in basso verso gli altri, verso gli ultimi".  ...  "la croce di Cristo abbracciata con amore non porta alla tristezza, ma alla gioia". 
 

Emergency nel mondo, contro le guerre

Con il colpo di stato nella Repubblica Centrafricana e l'arrivo dei ribelli  nella capitale, Bangui, il centro pediatrico di Emergency è rimasto l'unico aperto
In una mail  inviata in Italia Ombretta, coordinatrice medica del Centro pediatrico di Bangui, descrive la situazione tragica in cui versa il  paese africano :
" “Dopo giorni di tensioni, ieri i ribelli sono entrati a Bangui.
Alle 7 abbiamo iniziato a sentire i primi spari e il boato dei razzi, tirati vicinissimi all’ospedale: siamo a pochi metri dal Parlamento.
In serata abbiamo ricevuto 3 feriti, una bambina di due anni e due adulti, colpiti da pallottole vaganti. La bambina era stata portata subito al Complexe pédiatrique, l'ospedale pubblico pediatrico, ma era deserto. L’hanno accompagnata da noi perché siamo l’unico ospedale aperto in città.
Il nostro staff è in ospedale da 36 ore per garantire assistenza ai bambini ricoverati.
In giro ci sono sciacalli e ribelli: nessuno si muove. Anzi no: una mamma è arrivata a piedi dal PK12, che dista 8 chilometri da qui, per portare il suo bambino con la febbre dai “medici italiani”.
Da sabato mancano elettricità e acqua: abbiamo 800 litri di scorta, e per far funzionare l’ospedale ne servono 4.000 al giorno”."
Sabato 16 marzo Emergency ha invece aperto il Posto di primo soccorso (Fap) di Musa Qala, nel sud dell’Afghanistan, in uno dei distretti più pericolosi del Paese :
" Di Musa Qala si è parlato nel 2007, durante l’operazione “Snakepit”, quando le forze Isaf catturarono quella che all’epoca era considerata la roccaforte dei talebani nella provincia di Helmand. Dopo quella battaglia ce ne sono state molte altre che non hanno fatto notizia e i combattimenti, nel distretto, sono tuttora quotidiani.
Nonostante questo, finora nell’area non esistevano strutture sanitarie gratuite per i feriti, se non l’ospedale di Emergency a Lashkar-gah: tre ore e mezzo di viaggio su una strada disseminata di posti di blocco.
Abbiamo iniziato a lavorare per questo Fap un anno fa, coinvolgendo la popolazione e le autorità locali nella ricerca di un edificio adatto: non è facile trovarlo in un villaggio in guerra da così lungo tempo.
Finalmente abbiamo trovato un edificio inutilizzato che abbiamo trasformato in Fap grazie al lavoro del nostro personale tecnico di Lashkar-gah; mentre erano in corso i lavori di ristrutturazione, presso il nostro ospedale venivano formati gli Health Assistant che oggi gestiscono il Fap.
Presso il Fap di Musa Qala offriamo, gratis come sempre, il primo soccorso ai feriti e provvediamo al trasferimento in ambulanza dei più gravi al Centro chirurgico di Lashkar-gah." dalla newsletter di Emergency

Obama, la Shell e l' Artico

" La Shell ha abbandonato i suoi piani di trivellazione nelle acque artiche dell'Alaska anche per il 2013
La .Shell aveva promesso di applicare i migliori standard di sicurezza per queste trivellazioni ma il fallimento della scorsa estate e una lunga lista di incidenti e di quasi-disastri, sono una chiara indicazione che anche le "migliori" compagnie non possono trivellare offshore, nell'Artico e altrove, in sicurezza.
 Il Presidente Obama e la sua amministrazione hanno dato alle trivellazioni nell'Artico una possibilità e Shell ha dimostrato che queste attività non sono possibili. Cercare di estrarre fino all'ultima goccia di petrolio è insensato: è tempo di abbandonare la nostra dipendenza dalle fonti fossili, di promuovere efficienza energetica ed energie rinnovabili e di occuparci concretamente del riscaldamento globale.
È ora che il Presidente Obama decida di abbandonare completamente l'idea di trivellare nell’Artico e di dichiarare la zona 'off limits' all'industria del petrolio.
Entra in azione anche tu ora e unisciti alla  campagna Greenpeace per proteggere l'Artico. Chiedi al Presidente Obama di vietare le trivellazioni nell'Artico. Per sempre.
Dear President Obama
Shell just announced that it is abandoning its plans to drill in Arctic waters off the coast of Alaska this year.
Shell was supposed to be the best of the best, but the long list of mishaps and near-disasters from the company’s failed attempt to drill in the Arctic last summer is a clear indication even the ‘best’ companies can’t succeed in Arctic drilling.
Mr. President, now is the time for leadership. Arctic drilling got its chance. It’s time we kick our addiction to fossil fuels and invest in clean energy sources like wind and solar.
I am urging you to take the first step toward a clean energy future and declare Arctic drilling ‘off limits’ forever. " 
dal sito di Greenpeace Italia

Monti vs Terzi per i 2 Marò

Il caso dei due marinai italiani accusati di aver ucciso dei pescatori indiani scambiati per pirati è diventata una brutta storia sempre più complessa ed intricata. Dopo essere stati rimandati in India, dove rischiano la pena di morte, e dopo le polemiche delle ultime settimane, con una grave crisi diplomatica tra India e Italia, il ministro degli esteri italiano Terzi ha dato le dimissioni
A tal proposito ho trovato per caso sul quotidiano online La Stampa di Torino l'articolo di una giornalista veramente molto interessante riguardante i rapporti tra Monti e Terzi e come Terzi è diventato ministro nel governo Monti :
" Marò, in Aula l’ira di Monti su Terzi “Presto vedrete i suoi veri obiettivi”
La lunga “guerra fredda” fra il diplomatico e il Professore
Il premier Monti ieri alla Camera. Da martedì è anche ministro degli Esteri ad interim
  ...   Quando Giorgio Napolitano e Mario Monti devono comporre il governo tecnico, alla casella «Farnesina» c’è il nome di Giuliano Amato. Gianni Letta ha fatto di propria volontà un passo indietro, e il nome di Amato non è stato fatto dal Pd. Ma squilla un telefono, è Angelino Alfano che dice di sentire il Pdl «sottorappresentato». Fa il nome di Giulio Terzi di Sant’Agata. È l’ambasciatore italiano a Washington, come dire il numero uno delle feluche nel mondo. E Alfano viene accontentato, del resto il dossier Europa è caldissimo, Monti intende seguirlo personalmente: meglio un ambasciatore elevato al rango di ministro, che un uomo politico del calibro di Amato. 
Ma quel rapporto Monti-Terzi che parte in discesa si svilupperà tutto in salita. Fin nei dettagli: il ministro vive quasi come un vulnus alla propria visibilità che Monti proibisca a lui - come a tutto il governo - di imbarcare gratis i giornalisti al seguito (e si rifarà con gli imprenditori). Il ministro, si dice alla Farnesina, vive anche male che i suoi vice - Staffan De Mistura e Marta Dassù che ha un radicato rapporto con Giorgio Napolitano - diano interviste, fosse anche solo radiofoniche. Il primo guaio è il traccheggiamento burocratico tutto in difesa di Mario Vattani, il console nazi-rock in Giappone, figlio di quell’Umberto del quale Terzi è stato collaboratore, giovanissimo, nel suo primo importante incarico. Una vicenda gestita malissimo, e subìta da Monti che quando va in visita ufficiale a Tokyo cancella la tradizionale puntata a Osaka proprio perché lì dovrebbe essere ricevuto da Vattani jr, che ha inneggiato al fascismo cantando a Casa Pound. 
Quando scoppia il caso marò l’incidente tra i due diventa clamoroso e inevitabile. «Terzi non si è consultato né con palazzo Chigi né col Quirinale» raccontò all’epoca un’alta fonte diplomatica, rimproverando al ministro di non aver portato subito il caso in Europa, lasciando l’Italia a gestire da sola - isolata - la spinosa faccenda. Il caso marò si produce, è bene ricordarlo, perché durante il governo Berlusconi, il ministro della Difesa Ignazio La Russa s’impunta contro il collega della Farnesina, Franco Frattini, che sconsigliava vivamente di imbarcare militari nelle missioni anti-pirateria, con l’ottimo argomento (come poi si è purtroppo visto) che se fosse accaduto qualcosa sarebbe stato coinvolto tutto lo Stato italiano. Monti e poi anche Napolitano avocano il caso, lo supervisionano. Ma la supervisione non basta. Mentre i rapporti con Monti si deteriorano grazie anche allo scontro inedito e inaudito che dilaga sui giornali tra il ministro e il suo segretario generale, Gianni Massolo (che verrà sostituito, ma con un nome sgradito a Terzi) la «carenza informativa» da parte del ministro verso il titolare di indirizzo dell’azione di governo, e il garante e rappresentante dell’unità nazionale anche in politica estera - ovvero Monti e Napolitano - cresce clamorosamente sul caso della posizione italiana nel voto all’Onu per il riconoscimento della Palestina come entità statuale. Il ministro tenta lo sgambetto, cercando di allineare l’Italia sul «no» - e isolandola in Europa - dribblando Palazzo Chigi, Quirinale e Parlamento. Monti acciuffa la questione all’ultimo minuto, e riallinea l’Italia con l’Europa. Terzi viene attaccato duramente dalla sua stessa parte politica, il Pdl e An, ai quali aveva dato differenti garanzie: da ambasciatore, aveva costruito il viaggio dello sdoganamento di Fini in Israele. Il disastro sul caso marò, e il vergognoso voltafaccia in Parlamento rispetto al governo di cui è stato ministro degli Esteri, indebolendolo fortemente, è storia di questi ultimi giorni. E basterà ricordare che la decisione di tenere i marò in Italia è stata presa dal governo sulla base di «carenze informative», per non dir di peggio, da parte dello stesso ministro. "

Che la casta politica e certi partiti abbiano spadroneggiato per anni e continuino a farlo ancora mettendo i loro protetti in posti chiave ovunque è una delle peggiori abitudini italiane. Ma ancora una volta uno scandalo politico mette in pericolo degli uomini, i due marò, che sono stati mandati allo sbaraglio  E noi Italiani facciamo la figura degli idioti, se non peggio ...
Vergognoso, come sempre. Non resta che indignarci, una volta ancora !!!

domenica 17 marzo 2013

Il discorso di Pietro Grasso

Piero Grasso, nuovo Presidente del Senato italiano, è uno dei simboli dell'impegno dello Stato contro la mafia Anche il suo discorso ai nuovi senatori è stato molto interessante, in particolare il suo pensiero sugli insegnanti !
" Care senatrice, cari senatori, mi scuserete ma voglio rivolgere questo primo discorso soprattutto a quei cittadini che stanno seguendo i lavori di questa aula con apprensione e con speranza per il futuro di questo paese.
Il paese mai come oggi ha bisogno di risposte rapide ed efficaci, all’altezza della crisi economica, sociale, politica che sta vivendo.Mai come ora la storia italiana si intreccia con quella europea e i destini sono comuni.
Mai come oggi il compito della politica è quello di restituire ai cittadini la coscienza di questa sfida.
Quando ieri sono entrato per prima volta da senatore in questa aula mi ha colpito l’affresco sul soffitto che vi invito a guardare. Riporta quattro parole che sono state sempre di grande ispirazione per la mia vita e che spero lo saranno ogni giorno per ognuno di noi nel lavoro che andiamo ad affrontare: Giustizia, diritto, fortezza, concordia.
Quella concordia, quella pace sociale di cui il paese ora ha disperatamente bisogno. Domani è l’anniversario dell’unità d’Italia, quel 17 marzo di 152 anni fa in cui è cominciata la nostra storia come comunità nazionale, dopo un lungo e difficile cammino di unificazione.
Nei 152 anni della nostra storia, soprattutto nei momenti difficili, abbiamo saputo unirci, superare le differenze, affermare con fermezza i nostri valori comune e trovare insieme un sentiero condiviso.
Il primo pensiero va sicuramente alla fase costituente della nostra repubblica, quando uomini e donne di diversa cultura hanno saputo darci quella che ancora oggi viene considerata una delle carte costituzionali più belle e più moderne del mondo.
Lasciatemi in questo momento ricordare Teresa Mattei che ci ha lasciato pochi giorni fa, che dell’assemblea costituente fu la più giovane donna eletta, che per tutta la vita è stata attiva per affermare e difendere i diritti delle donne, troppo spesso calpestati anche nel nostro paese
Siamo davanti a un passaggio storico straordinario, abbiamo il dovere di esserne consapevoli, il diritto e la responsabilità di indicare un cambiamento possibile perché è in gioco la qualità della democrazia che stiamo vivendo. E allo stesso tempo dobbiamo avviare un cammino a lungo termine, dobbiamo davvero iniziare una nuova fase costituente che sappia stupire e stupirci.
Oggi è il 16 marzo, e non posso che ringraziare il presidente Colombo che stamattina ci ha commosso con il ricordo dell’anniversario del rapimento di Aldo Moro e della strage di via Fani che provocò la morte dei cinque agenti di scorta, come lui stesso ha ricordato, Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Al loro sacrificio di servitori dello stato va il nostro omaggio deferente e commosso.
Oggi bisogna ridare dignità e risorse alle forze dell’ordine e alla magistratura.
Sono trascorsi 35 anni da quel tragico giorno che non fu solo il dramma di un uomo e di una famiglia, ma dell’intero paese. In Aldo Moro il terrorismo brigatista individuò il nemico più consapevole di un progetto davvero riformatore, l’uomo e il dirigente politico che aveva compreso il bisogno e le speranze di rigenerazione che animavano dal profondo e tormentavano la società italiana. Come Moro scrisse in un suo saggio giovanile, “forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete, ma è sempre un grande destino.”
Oggi inoltre migliaia di giovani a Firenze hanno partecipato alla giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime della mafia. Vi confesso che mi è molto dispiaciuto non potere essere con loro come ogni anno. Hanno pronunciato e ascoltato gli oltre 900 nomi di vittime della criminalità organizzata: nomi di cittadini, appartenenti alle forze dell’ordine, sindacalisti, politici, amministratori locali, giornalisti, sacerdoti, imprenditori, magistrati, persone innocenti, uccise nel pieno della loro vita. Il loro impegno, il loro sacrificio, il loro esempio dovrà essere il nostro faro.
Ho dedicato la mia vita alla lotta alla mafia in qualità di magistrato e devo dirvi che, dopo essermi dimesso dalla magistratura, pensavo di potere essere utile al paese in forza della mia esperienza professionale nel mondo della giustizia. Ma la vita riserva sempre delle sorprese.
Oggi interpreto questo mio nuovo, imprevisto impegno con spirito di servizio per contribuire alla soluzione dei problemi del paese.
Ho sempre cercato verità e giustizia e continuerò a cercarle da questo scranno, auspicando che venga costituita una nuova commissione di inchiesta su tutte le stragi irrisolte del nostro paese.
Se oggi davanti a voi dovessi scegliere un momento in cui raccogliere la storia della mia vita professionale precedente, non vorrei limitarmi a menzionare gli amici e i colleghi caduti in difesa della democrazia e dello Stato di diritto che io ho conosciuto: non c’è, infatti, un solo nome, un volto che può raccoglierli tutti, e purtroppo se dovessi citarli tutti, la lista sarebbe ahimè troppo lunga.
Mi viene piuttosto in mente nel cuore un momento che li abbraccia a uno a uno. E’ il ricordo della voce e delle parole di una giovane donna. Mi riferisco al dolore straziato di Rosaria Costa, la moglie dell’agente Vito Schifani, morto insieme ai colleghi Rocco Di Cilio e  Antonino Montinaro nella strage di Capaci del 1992 in cui persero la vita anche Giovanni Falcone e Francesca Morvillo.
Non ho dimenticato le sue parole il giorno dei funerali del marito, quel microfono strappato ai riti e alle convenzioni delle cerimonieGiustizia e cambiamento: questa è la sfida che abbiamo davanti. Ci attende un intenso lavoro comune per rispondere con i fatti alle attese dei cittadini che chiedono anzitutto più giustizia sociale, più etica, nella consapevolezza che il lavoro è uno dei principali problemi di questo paese.Penso alle risposte che al più presto ed è già tardi dovremo dare ai disoccupati, ai cassintegrati, agli esodati, alle imprese, a tutti quei giovani che vivono una vita a metà, hanno prospettive incerte, lavori – chi ce l’ha – poco retribuiti, quando riescono a uscire dalla casa dei genitori, vivono in appartamenti che non possono comprare, cercando di costruire una famiglia che non sanno come sostenere.
Penso alla insostenibile situazione delle carceri nel nostro paese che hanno bisogno di interventi prioritari.
Penso a una giustizia che oggi va riformata in modo organico, agli immigrati che cercano qui da noi una speranza di futuro, ai diritti in quanto tali che non possono essere elargiti col ricatto del dovere e che non possono conoscere limiti, altrimenti diventano privilegi.
Penso alla istituzioni sul territorio, ai sindaci dei comuni che stanno soffrendo e faticano per garantire i servizi essenziali ai loro cittadini. Sappiano che lo Stato è dalla loro parte e che il nostro impegno sarà di fare il massimo sforzo per garantire loro l’ossigeno di cui hanno bisogno.
Penso al mondo della scuola nelle cui aule ogni giorno si affaccia il futuro del paese  e agli insegnanti che fra mille difficoltà si impegnano a formare cittadini attivi e responsabili.Penso alla nostra posizione sullo scenario europeo, siamo tra i fondatori dell’unione, il nostro compito è portare nelle istituzioni comunitarie le esigenze e i bisogni dei cittadini. L’Europa non è solo moneta ed economia, deve essere anche incontro di popoli e culture.
Penso a questa politica alla quale mi sono appena avvicinato che ha bisogno di essere cambiata e ripensata dal profondo, nei suoi costi, nelle sue regole, nei suoi riti, nelle sue consuetudini, nella sua immagine, rispondendo ai segnali che i cittadini ci hanno mandato e ci mandano e ci continuano a mandare.
Sogno che questa aula diventi una casa di vetro e che questa scelta possa contagiare tutte quante le altre istituzioni.
Di quanto radicale e urgente sia il tempo del cambiamento lo dimostra la scelta del nuovo pontefice, papa Francesco, i cui primi atti hanno evidenziato una attenzione primaria, prioritaria verso i bisogni reali delle persone.

Voglio in conclusione rivolgere a nome dell’assemblea del senato e mio personale un deferente saluto al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, supremo garante della Costituzione e dell’unità d’Italia che con saggezza e salda cultura istituzionale esercita il suo mandato di capo dello Stato.Desidero anche ringraziare il mio predecessore, il senatore Renato Schifani, per l’impegno profuso al servizio di questa assemblea.
Un omaggio speciale di indirizzo ai presidenti emeriti, ai senatori a vita e a Emilio Colombo che ha presieduto con inesauribile energia la fase iniziale di questa 17esima legislatura, lui che ha visto nascere la Repubblica partecipando ai lavori della assemblea costituente.
Chiedo e concludo ricordando cosa mi disse il capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, Antonino Caponnetto, poco prima di entrare nell’aula del maxiprocesso contro la mafia: “Fatti forza, ragazzo, vai avanti a schiena dritta e a testa alta e segui sempre e soltanto la voce della tua coscienza”.
Sono certo che in questo momento e in questa aula l’avrebbe ripetuta anche a tutti noi. Grazie. "

Laura Boldrini presidente della Camera

Ieri è stata una giornata decisamente importante per la politica italiana: alla Camera è stata eletta Presidente una donna, Laura Boldrini, la terza  della storia repubblicana a ricoprire questa carica, dopo Nilde Iotti (1979-1983) e Irene Pivetti (1994-1996), e al Senato Pietro Grasso
Per 14 anni Laura Boldrini è stata portavoce dell'Agenzia Onu, dell'Alto commissariato per i rifugiati politici e il suo discorso da neo presidente è stato decisamente importante .
Care deputate e cari deputati, permettetemi di esprimere il mio più sentito ringraziamento per l’alto onore e responsabilità che comporta il compito di presiedere i lavori di questa assemblea.
Vorrei innanzitutto rivolgere il saluto rispettoso e riconoscente di tutta l’assemblea e mio personale al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che è custode rigoroso dell’unità del Paese e dei valori della costituzione repubblicana.Vorrei inoltre inviare un saluto cordiale al Presidente dalla Corte costituzionale e al Presidente del consiglio.
Faccio a tutti voi i miei auguri di buon lavoro, soprattutto ai più giovani, a chi siede per la prima volta in quest’aula. Sono sicura che in un momento così difficile per il nostro paese, insieme, insieme riusciremo ad affrontare l’impegno straordinario di rappresentare nel migliore dei modi le istituzioni repubblicane.
Vorrei rivolgere inoltre un cordiale saluto a chi mi ha preceduto, al presidente Gianfranco Fini che ha svolto con responsabilità la sua funzione costituzionale.
Arrivo a questo incarico dopo aver trascorso tanti anni a difendere e rappresentare i diritti degli ultimi in Italia come in molte periferie del mondo. E’ un’esperienza che mi accompagnerà sempre e che da oggi metto al servizio di questa Camera. Farò in modo che questa istituzione sia anche il luogo di cittadinanza di chi ha più bisogno.Il mio pensiero va a chi ha perduto certezze e speranze.
Dovremmo impegnarci tutti a restituire  piena dignità a ogni diritto. Dovremo ingaggiare una battaglia vera contro la povertà, e non contro i poveri. In questa aula sono stati scritti i diritti universali della nostra Costituzione, la più bella del mondo. La responsabilità di questa istituzione si misura anche nella capacità di saperli rappresentare e garantire uno a uno.
Quest’Aula dovrà ascoltare la sofferenza sociale. Di una generazione cha ha smarrito se stessa, prigioniera della precarietà, costretta spesso a portare i propri talenti lontano dall’Italia.
Dovremo farci carico dell’umiliazione delle donne che subiscono violenza travestita da amore. Ed è un impegno che fin dal primo giorno affidiamo alla responsabilità della politica e del Parlamento.
Dovremo stare accanto a chi è caduto senza trovare la forza o l’aiuto per rialzarsi, ai tanti detenuti che oggi vivono in una condizione disumana e degradante come ha autorevolmente denunziato la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo.
Dovremo dare strumenti a chi ha perso il lavoro o non lo ha mai trovato, a chi rischia di smarrire perfino l’ultimo sollievo della cassa integrazione, ai cosiddetti esodati, che nessuno di noi ha dimenticato.
Ai tanti imprenditori che costituiscono una risorsa essenziale per l’economia italiana e che oggi sono schiacciati dal peso della crisi, alle vittime del terremoto e a chi subisce ogni giorno gli effetti della scarsa cura del nostro territorio.
Dovremo impegnarci per restituire fiducia a quei pensionati che hanno lavorato tutta la vita e che oggi non riescono ad andare avanti.Dovremo imparare a capire il mondo con lo sguardo aperto di chi arriva da lontano, con l’intensità e lo stupore di un bambino, con la ricchezza interiore inesplorata di un disabile.
In Parlamento sono stati scritti questi diritti, ma sono stati costruiti fuori da qui, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo.Ricordiamo il sacrificio di chi è morto per le istituzioni e per questa democrazia. Anche con questo spirito siamo idealmente vicini a chi oggi a Firenze, assieme a Luigi Ciotti, ricorda tutti i morti per mano mafiosa. Al loro sacrificio ciascuno di noi e questo Paese devono molto.
E molto, molto dobbiamo anche al sacrificio di Aldo Moro e della sua scorta che ricordiamo con commozione oggi nel giorno in cui cade l’anniversario del loro assassinio.
Questo è un Parlamento largamente rinnovato. Scrolliamoci di dosso ogni indugio, nel dare piena dignità alla nostra istituzione che saprà riprendersi la centralità e la responsabilità del proprio ruolo. Facciamo di questa Camera la casa della buona politica. Rendiamo il Parlamento e Il nostro lavoro trasparenti, anche in una scelta di sobrietà che dobbiamo agli italiani.
Sarò la presidente di tutti, a partire da chi non mi ha votato, mi impegnerò perché la mia funzione sia luogo di garanzia per ciascuno di voi e per tutto il Paese.
L’Italia fa parte del nucleo dei fondatori del processo di integrazione europea, dovremo impegnarci ad avvicinare i cittadini italiani a questa sfida, a un progetto che sappia recuperare per intero la visione e la missione che furono pensate, con lungimiranza, da Altiero Spinelli.
Lavoriamo perché l’Europa torni ad essere un grande sogno, un crocevia di popoli e di culture, un approdo certo per i diritti delle persone, un luogo della libertà, della fraternità e della pace.Anche i protagonisti della vita spirituale religiosa ci spronano ad osare di più: per questo abbiamo accolto con gioia i gesti e le parole del nuovo pontefice, venuto emblematicamente “dalla fine del mondo”. A papa Francesco il saluto carico di speranze di tutti noi.
Consentitemi un saluto anche alle istituzioni internazionali, alle associazioni e alle organizzazioni delle Nazioni Unite in cui ho lavorato per 24 anni e  permettetemi – visto che questo è stato fino ad oggi il mio impegno – un pensiero per i molti, troppi morti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce. Un mare che dovrà sempre più diventare un ponte verso altri luoghi, altre culture, altre religioni.
Sento forte l’alto richiamo del Presidente della Repubblica sull’unità del Paese, un richiamo che questa aula è chiamata a raccogliere con pienezza e con convinzione.
La politica deve tornare ad essere una speranza, un servizio, una passione.
Stiamo iniziando un viaggio, oggi iniziamo un viaggio. Cercherò di portare assieme a ciascuno di voi, con cura e umiltà, la richiesta di cambiamento che alla politica oggi rivolgono tutti gli italiani, soprattutto in nostri figli. Grazie. "

Papa Francesco e Pietro Orlandi

Sono solo quattro giorni che il cardinale Jorge Mario Bergoglio è diventato sua Santità papa Francesco ma è già riuscito a sconvolgere completamente il Vaticano, e non solo per la semplicità e la spontaneità con cui si rivolge agli altri
Ieri ha incontrato la stampa internazionale ed è riuscito ad essere simpatico persino parlando con i giornalisti. Bellissima la foto che lo ritrae con uno di loro, non vedente, e con il suo cane guida, che accarezza gentilmente
Stamattina invece ho seguito la diretta su RaiNews24 dalla chiesa di Sant'Anna in Vaticano, dove al termine della messa papa Bergoglio ha salutato ad uno ad uno i fedeli, ha stretto loro le mani,  ha  conversato e li ha esortati a pregare per lui. Ha anche accarezzato i bambini e si è dimostrato molto comunicativo  con la folla che lo aspettava dietro alle transenne
Papa Francesco ha abbracciato anche Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela Orlandi, .con cui c’è stato uno scambio di battute 
 
La madre della ragazza scomparsa 30 anni fa abita in Vaticano ed è parrocchiana di Sant’Anna. Nella cripta della chiesa è sepolto il padre di Emanuela, il messo pontificio Ercole. I familiari hanno riposto nel nuovo Pontefice le speranze di avere un aiuto nella soluzione del loro caso. 
 Il 24 febbraio, alla vigilia dell’ultimo Angelus di Benedetto XVI,  tre persone sono state sentite dal procuratore aggiunto di Roma Giancarlo Capaldo, tra cui un ex allievo della scuola di musica frequentata dalla ragazza.
 Potrebbe esserci finalmente una possibile novità nell’indagine sulla figlia del commesso della Prefettura Pontificia sparita il 23 giugno  1983, quasi sicuramente rapita, e mai più ricomparsa. L’inchiesta era  ripartita negli ultimi mesi con  l’apertura della tomba nella Basilica di Sant’Apollinare del defunto boss della Banda della Magliana Enrico “Renatino” De Pedis, che secondo la testimonianza di persone a lui allora molto vicine sarebbe stato coinvolto nel sequestro.
 I resti del criminale sono stati traslati e dall’estate scorsa si stanno svolgendo al Laboratorio di antropologia e odontologia forense  di Milano lunghe e approfondite analisi su delle ossa sconosciute ritrovate nella cripta. I risultati dovrebbero arrivare tra due mesi perchè  l’anatomopatologa Cristina Cattaneo ha  chiesto ancora altro tempo ai pubblici ministeri romani.
Dall’ottobre 2012 il fratello di Emanuela Orlandi, Pietro, ha fatto una petizione, che ha superato ormai le 100mila firme,  da inviare al segretario di Stato vaticano, cardinale Tarcisio Bertone, per chiedere che si faccia luce sulla scomparsa della sorella.
Secondo Pietro, infatti, in Vaticano c’è chi conosce la verità.
Speriamo che Pietro, spesso ospite della trasmissione di Rai3 Chi l'ha visto?, possa avere un aiuto concreto dal nuovo papa e che si possa far luce su una delle pagine più misteriose della recente storia vaticana.