martedì 13 maggio 2008

Pubblico ...

Questo è il post 333 e per festeggiare pubblico il discorso ufficiale tenuto il 25 aprile 2008 a Gravellona Toce, Vb, da Luca Beltrami, figlio del Capitano Beltrami, ucciso dai nazifascisti a Megolo, Val d'Ossola. Se cercate nel tag Storia Locale del menù qui a fianco troverete il post in cui ricordo questo tragico avvenimento della nostra guerra partigiana. Per questo prezioso documento ringrazio invece molto sentitamente Michele Beltrami, che me lo ha inviato e mi ha permesso di pubblicarlo nel blog. Non ho apportato tagli o modifiche al discorso . Grazie a chi vorra leggerlo interamente e magari offrire un commento o una riflessione erica
GRAVELLONA TOCE - 25 APRILE 2008
Cari amici di Gavellona Toce,
voglio prima di tutto ringraziare il sindaco Anna Di Titta che mi ha invitato a celebrare qui con voi il sessantatreesimo anniversario della liberazione e voglio ringraziare anche tutti voi per essere qui a ricordare il 25 aprile 1945.
Sono io poi contento di essere qui a celebrare questa data in un luogotanto vicino a Megolo, dove morì mio padre, e tanto lontano dalle grandicittà.
Si lontano dalle grandi città dove questa nostra festa è oggetto di contestazionie di strumentalizzazioni, dove alcuni sindaci colgono quest’occasione per prendere le distanze dalla Resistenza. Non mi rasserenano le dichiarazioni di chi in questa occasione dice di considerare questa una festa di tutti e poi siede negli stessi banchi di chi addirittura vorrebbe cancellarla dal calendario.
Dopo sessantatre anni di libertà ritrovata c’è ancora qualcuno che vuol riscrivere questa storia e non ci sarebbe da stupirsi se a volerla riscrivere fossero solo gli ultimi eredi del fascismo in cerca di una assurda rivincita morale, quello che indigna è che a volerla riscrivere sia una forza politica nata da pochi anni che con il fascismo non ha avuto nulla a che fare per la semplice ragione che dalla morte del fascismo alla sua nascita di anni ne sono passati quaranta.
Allora perché tanto odio verso la Resistenza e l’antifascismo?
Perché tanti, troppi e tra loro anche chi si proclama sincero antifascista, sono caduti nella trappola dell’anticomunismo e non si perdona ai comunistidi essersi “appropriati” della memoria della Resistenza e di considerarla un patrimonio del Partito Comunista Italiano e di quella parte politica che ne è l’erede.
Come tutti sappiamo non ci fu soltanto il PC a fare la Resistenza e non tutti i partigiani erano comunisti. Furono in maggioranza, questo è certo,perché l’organizzazione clandestina del PC era la più strutturata, aveva una organizzazione clandestina di vecchia data e per molti antifascisti la via alla Resistenza attraverso il PC era l’unica possibile. Comunque per la maggior parte di noi questo aspetto della Resistenza non è un problema anche se non siamo comunisti od ex comunisti.
Il problema è un altro.
Si contesta alla sinistra di essere l’erede principe dei valori della Resistenza. Si vuole che la storia assegni questa eredità non solo alla sinistra,magari lasciando addirittura fuori la sinistra.Insomma sembra che questa eredità sia contesa.
Ma che cosa è questa eredità? Sono la libertà, l’eguaglianza, la giustizia sociale e la democrazia.I valori travolti dal fascismo e dal nazismo e ritrovati il 25 aprile.
Allora è questo che si vuol togliere alla sinistra ed a tutti quelli che si sentono eredi della Resistenza.
Non ce n’è bisogno: la libertà, l’uguaglianza, la giustizia sociale e la democrazia sono infinite, inutile accapigliarsi, sono alla portata di tutti.
Basta volerle.
E’ invece altra la verità: questa gente non vuole questa eredità, vuole distruggerla,vuole distruggere tutti i valori della Resistenza e dunque la libertà,l’eguaglianza, la giustizia sociale e la democrazia.
Di queste parole si riempiono sola la bocca perchè tra quel che loro intendono per libertà, eguaglianza, giustizia sociale e democrazia e quello che avevano in mente gli uomini e le donne che sono andati su queste montagne e quelli che hanno lottato in città c’è un abisso. Non sono la stessa cosa.
Certo oggi non ci sono più il confino, le leggi razziali, l’iscrizione obbligatoria ad un partito per poter essere pubblici dipendenti, non ci sono più carri bestiame piombati che viaggiano verso campi di sterminio, ma non c’è ancora la libertà dal bisogno, la libertà di stampa è minacciata,l’indipendenza della magistratura è messa in discussione.
Insomma il cammino verso i valori della Resistenza, perché questi valori e non altri abbiano diritto di cittadinanza da noi, questo cammino si è progressivamente rallentato e oggi si è fermato.
Ė libero un Paese il cui meridione è stabilmente occupato da mafia ecamorra?Ė libero un Paese dove il futuro presidente del consiglio considera un eroe il suo cosiddetto stalliere condannato per mafia?Ė libero un Paese dove i piccoli risparmiatori sono lasciati alla mercè dei peggiori speculatori finanziari che distruggono risparmio familiare e posti di lavoro?Ė libero un Paese dove i giovani sono spinti dalla pubblicità televisiva ai consumi più dissennati pur di farli consumare?L’elenco delle “non libertà” è infinito come l’elenco delle non eguaglianze,delle ingiustizie sociali e della non democrazia.
Questa gente che vuole riscrivere la storia a suo uso e consumo, che vuole cancellare con un colpo di spugna morti e vittime, non vuol solo cancellarli perché testimoni di una tragedia mondiale, ma perché vuole far piazza pulita dei valori per i quali hanno sofferto e sono morti.C’è poi una parte di questi “riscrittori” che, subdolamente, vengono a dirci:dobbiamo riscrive la storia perché questa scrittura di oggi divide il Paese.
Oggi dobbiamo pacificare e perdonare.
I ragazzi di Salò e i giovani morti partigiani sono uguali.
Ci sarebbe molto da dire sull’uguaglianza di giovani, perché le lettere dei giovani condannati a morte da fascisti e nazisti sono lettere di chi sapeva che la morte poteva essere un prezzo altissimo da pagare, la loro scelta non era quella di intrupparsi in squadracce per manganellare gli indifesi.
Ci si mostri qualche lettera di giovani della Repubblica di Salò!
In nome della concordia nazionale, che altri in questi giorni stanno minando,noi dovremmo perdonare?Noi dovremmo perdonare mentre altri pubbilcano su Internet l’elenco deiprofessori universitari di origine ebraica e li indicano come consorteria dedita all’autodifesa ed alla reciproca promozione a danno altrui: insomma un rivoltante rigurgito di antisemitismo?
Noi dovremmo perdonare mentre altri mettono in discussione la laicità dello Stato?
Noi dovremmo dimenticare mentre la destra a Milano, culla dell’antifascismo e Medaglia d’Oro della Resistenza, sfratta l’ANPI,l’associazione partigiana, all’ANED, quella dei deportati, e fa uscire il Comune dalla associazione che gestisce il Giardino dei Giusti?
Perché chi si oppone, chi alza la voce è accusato di non volere la “riconciliazione”,e chi tace dice di farlo per non comprometterla.
Riconciliarsi poi con chi? Perché?
Si dice da più parti che non può esserci vera riconciliazione se non vi è perdono e allora per alcuni non vi sarà mai vera riconciliazione perché non vi è perdono.
Né vi sarà.
Chi ha perso una persona amata per mano dei fascisti, dei nazisti o perodio razziale o fanatismo ideologico perché “deve” perdonare?
La dottrina cattolica dice perdona perché Cristo in croce disse: “Perdona loro, o Signore, perché essi non sanno quel che si fanno.”.
La dottrina cattolica fa del perdono uno dei suoi cardini morali ma forse per i laici non è così.
Grandi Filosofi come Voltaire prima, Freud dopo, e non sono i soli, hanno parole poco tenere per il perdono ed oggi noi forse ci troviamo in condizioni sociali e politiche ancora più complesse domandandoci: si possono “perdonare” le idee?
Si possono perdonare gli uomini che ne furono portatori?
Si possono separare gli uomini dalle loro idee?
Si possono perdonare le idee, gli ideali in nome dei quali sei stato perseguitato e ucciso tu o uno dei tuoi?
No.
Forse si possono perdonare gli uomini separandoli dalle loro idee.
Ma quando qualcuno, come da qualche tempo, alberga nuovamente in sé quelle stesse idee e quegli stessi ideali, si fa inesorabilmente carico di un rinnovato “non perdono” che corre indietro nel tempo e diventa oggi erede di un sentimento inevitabilmente ostile: non c’è pacificazione né riconciliazione.
Questo è ben diverso dall’odio e non ha nulla a che vedere con lo spirito di vendetta, comunque disapprovabile.
Oggi il perdono sembra diventato attrezzo della politica del consenso, cinicamente strumentale a fini elettorali.
Ma se dobbiamo proprio perdonare allora meglio credere, come ci spiega la moderna psichiatria, che esista una benefica scienza del perdono, o come dice un altro luminare,che il “perdono” abbassa la tensione arteriosa, insomma fa bene alla salute.
Io preferisco fare mie le parole di un altro grande filosofo, Schopenhauer:
”Perdonare e dimenticare vuol dire gettare dalla finestra una preziosa esperienza già fatta”.
Oggi il futuro che ci aspetta è drammatico, finalmente chi governa il mondo si è reso conto che la fame non diminuisce, anzi aumenta, che l’acqua tanto abbondante in queste valli altrove scarseggia, che la natura sta per soccombere sotto le devastazioni e l’inquinamento, che l’intolleranza razziale mette l’uomo contro l’uomo, che la società tecnogica ha liberato l’uomo dal lavoro ma lo ha anche privato del reddito e dunque dalla sua dignità.
Certo chi combattè e morì per la libertà tra queste montagne mai avrebbe immaginato il nostro affanno di oggi per questi problemi, mai avrebbe pensato che ci fosse un restringimento della libertà così sottile e così perverso da sembrare quasi naturale.
Allora noi, pensando a loro, dobbiamo ritrovare in chiave attuale i valori per i quali sono morti e hanno sofferto.
Dobbiamo ricominciare a ragionare tra di noi da uomo e uomo, da donna a donna, da ragazzo a ragazzo.
Dobbiamo riscoprire il valore dei rapporti reciproci, della solidarietà umana,della tolleranza, della comunità senza lasciarci travolgere dalle emozioni dell’ipocrita buonismo televisivo, dove la gente fa finta di ritrovarsi per commuoverci a poco prezzo.
Noi oggi ci siamo ritrovati, come tutti gli anni, per rinsaldare un vincolo di amicizia e per prometterci di nutrire sempre nei nostri figli e nipoti il ricordo di quello che è successo in queste valli e perché.
Questo è il debito che noi abbiamo verso chi ci ha permesso di ritrovarci anche oggi a festeggiare la libertà, quella che ci hanno donato loro.
Chiediamo ai nostri figli e nipoti di gridare ancora con noi Viva la Guerra di Liberazione, viva i nostri caduti.

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