venerdì 26 gennaio 2007

Frammenti di memoria Desaparecidos

Sul quotidiano La Repubblica di ieri un articolo ha attirato la mia attenzione: " Udienza nell'aula bunker di Rebibbia, lo Stato italiano parte civile. Imputati: il generale Massera e alcuni ufficiali del "Grupo de Tarea 3.3.2." Processo in Italia ai golpisti argentini. Angela Maria Aieta, Giovanni e Susanna Pegoraro, tutti cittadini italiani attendono giustizia. Furono torturati e uccisi. Le testimonianze dei sopravvissuti "
Mi sono tornati in mente quegli anni, non tanto lontani, in cui l'Argentina e gli Argentini, molti di origine italiana, subirono una feroce dittatura militare, furono uccisi, torturati o scomparvero nel nulla diventando desaparecidos!
Solo le loro madri, le coraggiose madri di Plaza de Mayo, x anni manifestarono x avere giustizia. Per 29 anni e 1500 giovedì di protesta, le mamme delle migliaia di desaparecidos manifestarono tutti i giovedì marciando davanti alla Casa Rosada, la sede della presidenza a Buenos Aires, e solo nel 2006 sospesero le loro marce. L'addio delle madri di Plaza de Mayo è in parte dovuto al fatto che il presidente argentino, Nestor Kirchner, progressista, si è impegnato a sostenere le loro ragioni,ma soprattutto, xchè le circa trenta signore che si sono ritrovate in Plaza de Mayo per l'ultima manifestazione nel gennaio 2006 avevano tutte tra i 74 e i 93 anni. Con il capo coperto dal tradizionale fazzolettone bianco, divenuto il loro simbolo, hanno completato per l'ultima volta la "marcia della resistenza", un corteo protrattosi per ben 24 ore e conclusosi solo in serata. La smobilitazione delle Madri di Plaza de Mayo non è però stata totale. Diversamente dai cortei, hanno invece proseguito senza interruzione le veglie nel centro della piazza, intorno alla Piramide de Mayo, l'obelisco che ricorda l'indipendenza dalla Spagna, e sul quale sono stati affissi dai famigliari i ritratti dei congiunti scomparsi, rapiti dai militari durante la "guerra sucia", la lotta senza quartiere ai presunti sovversivi, la persecuzione che negli anni tra il 1976 e il 1984 portò alla
scomparsa di circa 30 mila persone.
Le proteste del giovedì sono andate avanti perché da ottenere restano ancora molte cose. Però ormai le Madri pensano sia venuto il momento di costruire. Non tutto va bene né è perfetto nel loro Paese, però si tratta di un momento storico, per l'Argentina e per tutta l'America Latina, e dunque non possono permettersi di sprecarlo.

Le marce delle Madri in Plaza de Mayo ebbero inizio nell'aprile 77, pochi mesi dopo l'avvento del regime militare e dei suoi misfatti; la prima tra esse che durò 24 ore risale all'81. Allora si presentarono in una settantina per compierla, e si trovarono di fronte almeno trecento poliziotti in assetto anti-sommossa: ma non desistettero.
Hebe de Bonafini è la leader della madri di Plaza de Mayo. La verità sulla sorte dei loro cari non è ancora venuta a galla del tutto, giustizia non è ancora stata fatta: ma ormai al governo in Argentina c'è un presidente che sta dalla loro parte, pur provenendo dalla file peroniste, con il quale le Madri sono in ottimi rapporti. "Ormai il nemico non abita più alla Casa Rosada", ha spiegato Hebe

A Roma invece, l'aula bunker di Rebibbia, nella giornata della memoria, echeggia di ricordi e dolore. Dante Gullo, leader della Gioventù peronista, è al banco dei testimoni. Italo-argentino, fu prigioniero in Argentina per otto anni e otto mesi - dal '75 all'83 - senza mai essere processato. Ora lotta perché in Italia sia fatta quella giustizia che nel suo Paese è venuta meno a colpi di immunità e venganofinalmente incriminati gli assassini della madre, Angela Maria Aieta, di Giovanni e Susanna Pegoraro e di innumerevoli desaparecidos internati a Buenos Aires, nell' Esma, la scuola militare che il "Processo di Riorganizzazione Nazionale" instaurato dalla dittatura militare in Argentina con il "golpe" del 24 marzo 1976 trasformò in un terribile centro di detenzione clandestina.
Imputati, in base alle norme del diritto internazionale, sono Emilio Eduardo Massera, comandante della Marina militare argentina, uno dei pochi stranieri nelle liste di iscritti alla loggia massonica P2 sequestrate a Licio Gelli nel 1981, e gli ufficiali del "Grupo de Tarea 3.3.2" : Jorges Eduardo Acosta, Ignacio Alfredo Astiz, Raul Jorge Vidoza, Antonio Vanek e Antonio Hector Febres, tutti accusati di crimini contro l'umanità. Ovviamente sono tutti contumaci e stanno tutti in Argentina. Alcuni di loro sono latitanti, altri in attesa di giudizio. Astiz, condannato in contumacia dal tribunale di Parigi, è richiesto anche dai magistrati di altri Paesi. In quegli anni più di cinquemila persone furono internate all'Esma e ne uscirono appena trecento.
Sequestrato illegalmente nel '75, prima del golpe, Dante Gullo ebbe la "fortuna" di finire in un carcere "a disposizione del potere esecutivo nazionale". Così, paradossalmente, si salvò la vita. Accanto a lui, nei banchi dei testimoni, il fratello Leopoldo, sequestrato nel '77 con la moglie, Hebe Lorenzo, vicina di "posto" di Angela Maria Aieta negli anni della detenzione e Marta Alvarez, internata all'Esma. Lo Stato italiano si è costituito parte civile nel processo iniziato il 25 maggio.
"Per venirci a trovare - racconta il leader peronista - i familiari erano costretti a perquisizioni violente, soprattutto per le donne. Ma se non venivano c'era il rischio che ci facessero sparire. Mia madre non mancò mai di starmi vicino. Combatteva in Argentina per la mia liberazione, per i diritti umani e le condizioni dei detenuti. Aiutava i parenti degli altri carcerati".
Ma all'improvviso Angela Maria smise di andare a trovare il figlio. Il 5 agosto del '76 fu sequestrata dai militari davanti agli occhi del marito e internata all'Esma. Il figlio, dal carcere, riuscì a far spedire una lettera indirizzata al ministro dell'Interno. Si offrì come ostaggio in cambio del suo rilascio. Nel '77 fu sequestrato il fratello Jorges, mai più ritrovato. E poi l'altro fratello, Leopoldo con la cognata. Nel '79 fu la volta della moglie. Tutta la sua famiglia venne colpita. Dante Gullo non ebbe risposte dal ministero né altre notizie della madre. Mesi dopo gli fu detto che era ormai una "detenuta desaparecida". Hebes Lorenzo racconta al processo la tortura e la morte di Angela Maria Aieta
Cosa accadde ad Angela Maria nell'Esma? Lo racconta ai giudici italiani, con voce emozionata, Hebe Lorenzo, anche lei internata: "
Stavamo tutto il giorno sdraiate per terra, una accanto all'altra, incappucciate e bendate. Mani ammanettate e piedi legati. Non potevamo parlare né muoverci. Se lo facevamo ci prendevano a calci. Suonavano sempre una musica assordante. Potevamo conoscere solo chi ci stava accanto. Nel primi tempi di detenzione mi trovai con Angela Maria. Era lì da venti giorni. Avevamo il cappuccio, non potevamo vederci, ma ci incoraggiavamo a vicenda. Lei di calci ne ha presi tanti. Ricordo la prima cosa che mi ha detto quando ci siamo conosciute. 'Ricordati che sono la madre di Dante Gullo'. Tutti noi militanti della gioventù peronista sapevamo chi era".
"Le giornate passavano così, immobili. Al mattino ci portavano il mate bollito. Poi c'era il rito della bacinella. Una sola per trecento donne. Se ce la facevamo addosso ci picchiavano. Se chiedevamo la bacinella non la portavano. E se la portavano ci costringevano ad esibirci. Intorno solo lamenti, sempre sotto una musica assordante. Poi ogni tanto ci spedivano giù nella sala delle torture, che aveva anche una sala d'aspetto. Angela Maria vi fu portata diverse volte. Quando ritornava mi diceva: 'Forza, siamo ancora vive'. Non avevamo più un nome. Eravamo identificate con un numero. Io per tre mesi fui il 385. Sono stata internata il 26 agosto del '76. Alla fine di novembre, quando ne uscii, avevamo superato il 2000. Più di mille persone erano state internate in soli tre mesi".
"Il 6 settembre, per tutta la notte, giocarono con me dicendo che la mattina dopo mi avrebbero ucciso. Anche quella notte la guardia mi fece sfilare per un'ora davanti a tutti i militari, nuda e bendata. Mi toccavano, facevano di me quel che volevano. E se mi lamentavo minacciavano ritorsioni sulla mia famiglia. L'indomani seppi che l'ordine era stato ritirato. Mio padre, che era stato colonnello, proprio quella mattina era riuscito a parlare con Massera. Disse che era troppo tardi ma quando si mise in comunicazione con l'Esma seppe che non mi avevano ancora portato giù. Sono viva per caso. Io e Angela avevamo un patto: chi sarebbe uscita per prima avrebbe lottato per la liberazione dell'altra e di tutti i prigionieri".
"Il mercoledì era il giorno dei trasferimenti. Chiamarono Angela Maria. Per portarla in una prigione, dicevano. Io ero contenta per lei. In seguito dissi ad una guardia che speravo di finire nello stessa galera. Mi rispose: 'Spero che tu non verrai mai trasferita dove è lei ora'. E allora ho capito".
"A novembre mi portarono al commissariato n 31 e poi al carcere di Devoto. Da lì direttamente in Paraguay, dove la polizia mi aspettava all'aereoporto. Riuscii a fuggire a Parigi dove c'era una grande comunità di esuli argentini. Durante una festa, in Francia, il 16 ottobre del '77, riconobbi la voce di Alfredo Astiz, detto l'angelo biondo della morte. Il giorno dopo andarono nel mio appartamento in Paraguay per punire la ragazza che aveva preso il mio posto. Cambiai casa diverse volte e non misi mai il mio numero sull'elenco telefonico. Astiz era in Francia per ritrovare gli esuli argentini
".

Altri testimoni verranno sentiti nell'udienza dell'8 febbraio.
Nel giorno della Memoria x non dimenticare, questo processo è un momento di verità e di giustizia x ricordare Non odio nè vendetta, ma ricerca di giustizia. Non odio nè vendetta, ma nessun perdono xchè è atroce ciò che molti fecero ad altri e se si perdona tutto a tutti, quante saranno mai le vittime che mai avranno giustizia ??? quanti saranno mai i carnefici e gli assassini che con ferocia sterminarono migliaia, milioni di persone e restarono impuniti ???

1 commento:

Anonimo ha detto...

Cara Erica
anche questa è una pagina della storia tristissima e spesso dimenticata. A volte mi sento impotente davanti a tante efferatezze, a volte, invece, mi la rabbia mi fa reagire e quindi agire. L'altra sera sono andata ad un dibattito in cui si parlava di chi ancora oggi vive anche in Italia sopprusi indicibili. A sentir raccontare non riuscivo più a trovare parole per esprimermi. Neghiamo, come dice primo Levi, il nostro consenso, cosa fare lo troveremo giorno dopo giorno? Un abbraccio Giulia