Stamattina sulla prima pagina del quotidiano La Stampa,iIn un lungo articolo di fondo ,BARBARA SPINELLI ha parlato di giovani università ed occupazioni, realtà di questi giorni in tutte le città italiane
Con il suo solito acume la giornalista ha espresso opinioni che non posso che condividere Quindi vi riporto qui alcuni dei suoi pensieri che maggiormente mi hanno interessata e fatto riflettere :
" C’è qualcosa che stona, nello stupore contrariato con cui si reagisce alle occupazioni di scuole e università. L’occupazione di un’università è una violenza, certo. Si impedisce a chi partecipa in modi diversi alla vita pubblica di farlo, perché gli spazi comuni non lo sono più. Ci si prende un diritto togliendolo a altri.
Spetta tuttavia a chi pensa e governa capire perché questo accade.
Se non lo fa, non sentirà attorno a sé che lo strepito degli Uccelli di Hitchcock, e non troverà né i mezzi né le parole dell’azione autorevole.
La rabbia degli studenti non è senza rapporto con l’autunno delle finanze e con il crollo, brutale, di certezze ostentate per decenni sulle virtù autoregolatrici del mercato
Non si può impunemente parlare per anni dell’enorme debito lasciato ai figli, e stupirsi che uno degli slogan studenteschi sia: «La vostra crisi non la pagheremo noi».
Una classe politica non può impunemente infrangere la legalità, condonare falsi bilanci o conflitti d’interesse, screditare magistrati, e poi meravigliarsi che la cultura della legalità ovunque si sfibri.
Non bastano i grembiuli e il 7 in condotta a restaurare la legge lungamente vilipesa.
I manifestanti dell’opposizione, ieri, hanno citato le parole di un grande, Vittorio Foa ( morto la scorsa settimana, nota di erica ):
«Sono un po’ scettico sul linguaggio dei valori che sento in giro: vorrei vedere degli esempi perché è dagli esempi che può nascere qualcosa».
Più fondamentalmente: non si può per decenni ripetere il motto di Margaret Thatcher - There is no alternative, non c’è alternativa alle sregolatezze del mercato - e poi fare subitanei dietrofront senza mettere in questione un’ideologia sfociata in disastro: disastro per tanti, specie per gli studenti che il precariato sentono di doverlo proiettare in un avvenire più buio.
Fino a oggi, solo l’ex governatore della Federal Reserve, Alan Greenspan, ha riconosciuto «errori nati da ideologie liberiste» durate quarant’anni.
Non sono i tagli alle spese che colpiscono, nella legge Gelmini.
È chiaro che urge spender meglio, creare università d’eccellenza, premiare il merito: molti soldi inutili son stati sperperati.
Quel che colpisce è il vuoto di pensiero, su quel che significano per il domani italiano e occidentale l’istruzione come la ricerca.
Quel che scandalizza è il parlare dell’istruzione più come spesa che come investimento nelle generazioni nuove.
Manca un discorso riformatore che annunci: ho questo futuro da edificare per voi, oltre a tagli alla cieca, grembiulini e 7 in condotta.
Manca poi l’uso appropriato delle parole.
Manca poi l’uso appropriato delle parole.
Guardando agli atenei occupati, il presidente del Consiglio non vede che facinorosi, e con volto torvo (perché così torvo?) prima comunica l’invio della polizia, poi ritratta.
Nel frattempo il governo parla di terroristi e fa salire le angosce, prepara al peggio, resuscita l’incubo di Bolzaneto (secondo governo Berlusconi).
Il modello non è Greenspan ma i vocaboli eversivi di Cossiga, un ex capo di Stato, sul Quotidiano Nazionale:
«Bisogna infiltrare gli studenti con agenti provocatori pronti a tutto(...)
La strategia non è nuova: far montare la tensione, creare un’ennesima paura che gonfia i sondaggi di popolarità.
È da anni che governanti senza bussola usano la paura come dottrina e come prassi.
Da due secoli, gli studenti in tumulto sono una premonizione e un cimento per tutti.
Confermano contraddizioni spaesanti: tutto è al tempo stesso più connesso e più sconnesso di quanto immaginavamo.
Che lo vogliano o no, essi sono la futura classe dirigente, l’avvenire che s’impersona.
Hanno la speranza, dunque non considerano la società come statica, fatale. Dicono no pregiudizialmente, ma intanto s’allenano a intervenire sulla realtà.
Così nasce l’educazione civica, sostiene Michael Walzer.
Così ci si abitua a «pensare alla cittadinanza come a un incarico politico»: a pensare se stessi «come futuri partecipanti nell’attività politica, non meramente come spettatori bene informati»
Nelle aule occupate è stato visto lo slogan di Obama: yes we can.
Obama ha successo perché spezza i recinti della paura e ristabilisce il nesso tra cause e effetti, ieri e oggi, padri e figli.
Al famoso Joe, l’idraulico arricchito ostile alle tasse, ha detto: «Tu una volta eri tra i meno ricchi, bisognoso della solidarietà dei più abbienti. Prova a pensare al Joe che sei stato».
La novità è qui, nell’invito a vedere nel futuro il nostro ieri.
La novità è qui, nell’invito a vedere nel futuro il nostro ieri.
Obama dice alla società civile: sei una risorsa politica solo se scopri quel che in te è statico, immemore, non responsabile; quel che non funziona in te, oltre che nei governi.
Gian Enrico Rusconi dice cose simili, su La Stampa del 24 ottobre, quando rammenta che la società civile, sempre e disordinatamente invocata, contiene il meglio e più spesso il peggio.
Gli studenti italiani sono attratti dai giovani americani che dopo anni d’apatia si iscrivono in massa a votare. Pare che quel che piace loro in Obama sia il ragionamento difficile, non la semplificazione. È una novità su cui vale la pena riflettere "
Parole profonde su cui vale veramente la pena di riflettere . Tutti quanti, anche e soprattutto i politici !
1 commento:
Pienamente condivisibile.
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