Stamattina dopo la prova d'esame di prima lingua straniera, sono uscita da scuola e sono passata in cartoleria a prendere una biro rossa nuova x correggere. Ho anche ordinato il nuovo libro, appena pubblicato, di Gianni Oliva "L'Ombra Nera Le stragi nazifasciste che non ricordiamo più".
Forse anche il magistrato che ha appena lasciato libero Priebke, accusato di strage, la strage delle Fosse Ardeatine, xchè possa andare a lavorare nello studio del suo avvocato, dovrebbe leggere il libro di Oliva. Come si può lasciare libero un assassino nazista, che ha fatto uccidere centinaia di persone, senza neppure chiedersi cosa proveranno i parenti di quelle vittime e i tanti cittadini italiani che quella strage e tante altre le ricordano così bene ???
Io provo sempre un forte disgusto quando succedono questi episodi di non giustizia che mortificano il ricordo di tanti morti e creano un profondo senso di indignazione in coloro che, come me, credono nei valori della libertà e dello Stato e sperano sempre che la giustizia sia rispettata
E stasera con le notizie del Tg ho provato un ulteriore disgusto quando sono state trasmesse le immagini raccapriccianti della scuola Diaz, durante e dopo i pestaggi della polizia al termine del G8 del 2001. Finalmente qualcuno, uno dei poliziotti coinvolti in quel massacro senza senso, ha avuto il coraggio di dire la verità e di ammettere che è stato un grave episodio di violenza, un orrore di botte senza motivo e di bugie continue, al processo che è in corso x stabilire la verità di quella notte da incubo
Non riuscirò mai a capire come si possa obbedire a simili ordini, quelli del nazista che ha dichiarato che lui ubbidiva solo agli ordini diretti di Hitler e quindi non si è mai pentito e non ha mai provato vergogna x ciò che ha fatto, quelli dei poliziotti italiani che si sono abbandonati al massacro più ignobile su ordine dei loro capi e di chi stava alla regia in quel momento e non hanno detto una parola nascondendo tutto x così tanto tempo.
Trovo ignobile e codardo il primo, trovo altrettanto ignobili e codardi gli altri, che portavano una divisa dello Stato italiano, a cui avevano giurato fedeltà, e si sono invece comportati in modo così abbietto, disonorando il corpo e tutti noi che crediamo in un'arma civile e pulita, senza credo politico di nessun tipo, ma sempre al servizio dei cittadini
Anche la notizia che l'altro giorno, alla manifestazione dei pensionati a Roma, alcuni anziani sono stati malmenati dalla polizia lascia una inquietante scia di inquietudine e di preoccupazione. Ma dove stiamo andando ? perchè ci deve essere violenza anche quando non è necessario e le persone che scioperavano non era giovani blackbloc arrabbiati, ma anziani innocui ed indifesi ????
Dov'è finito il senso del dovere ormai ? e quello della giustizia in nome della libertà ???
" Violenza di Stato Una battaglia a senso unico RICCARDO BARENGHI La Stampa
Quella notte fu l’inferno. Per tutti quelli che dormivano nella palestra della scuola Diaz, improvvisamente invasa da decine di poliziotti.
Cominciarono a picchiarli, così, senza ragione. Spensero anche la luce e giù botte da orbi. E fu l’inferno anche per tutti quelli che, con un immediato passaparola, si ritrovarono lì fuori, costretti ad assistere allibiti e impotenti alla processione dei loro compagni portati via da quella scuola, sanguinanti, in barella o trascinati come sacchi dell’immondizia. Gridavano agli agenti «il mondo vi sta guardando», ma gli agenti non se ne curavano. Al massimno sorridevano, in altre parole se ne fregavano. Era la notte della vendetta per gli scontri della giornata e del giorno prima (quello in cui fu ucciso Carlo Giuliani). L’avevano preparata bene, portando molotov dentro la scuola per accusare poi i giovani no global, producendo prove false, come tubi e bastoni che in realtà erano gli strumenti di lavoro dei muratori che stavano ristrutturando una parte di quella scuola intestata a un famoso generale italiano della Grande Guerra. Gli agenti avevano bisogno di una dimostrazione di forza, il capo della Polizia Gianni De Gennaro era a Roma ma sul posto, proprio lì alla Diaz, c’erano i suoi uomini Arnaldo La Barbera e Franco Gratteri (imputati entrambi), forse volevano anche nutrire il loro carnet di arresti, che fino a quel momento erano «solo» un centinaio. E forse, chissà, una prova di forza serviva anche al nuovo premier Berlusconi, al suo vice nonché ministro degli esteri Fini (che si piazzò non a caso nella sala operativa della Questura genovese) e al ministro dell’Interno Scajola.
Quando lasciarono il campo di battaglia (una battaglia a senso unico, nessuno dei ragazzi reagì), il pavimento della palestra era pieno di sangue, e qualcuno scrisse un cartello: «Non lavate questo sangue». Quel cartello è diventato un simbolo del movimento no global, tanto che la collega di Repubblica Concita De Gregorio l’ha utilizzato come titolo del suo libro che racconta i giorni del luglio 2001 a Genova. Ma è la scuola Diaz e quel che lì dentro avvene la notte tra il 21 e il 22 luglio che sono diventati un simbolo dei giovani e meno giovani che erano nel capoluogo ligure in quelle drammatiche giornate del G8, e di tutti i loro compagni sparsi per l’Italia e per l’Europa. Fu vissuta, ancora viene vissuta, come l’emblema della violenza dello Stato, anzi dei Grandi del mondo, che si riunivano blindati nella zona rossa mentre fuori si protestava, si sfilava, ci si scontrava, si picchiava e si veniva picchiati, qualcuno anche ucciso, e si gridava che «un altro mondo è possibile».
C’erano Bush e Berlusconi, una coppia che bastava da sola per scatenare la rabbia di migliaia di ragazzi, dei loro leader politici (Bertinotti sfilò nel corteo del sabato), di molti sindacalisti della Fiom e della Cgil (ma non tutta la Cgil, l’allora segretario Cofferati non volle che la sua Confederazione aderisse alla marcia), di una parte della sinistra compresi molti iscritti e dirigenti dei Ds (non quelli principali però, neanche il Partito di Fasssino aderì). Tanto è diventata un simbolo che negli anni seguenti, ad ogni anniversario, centinaia di ragazzi hanno organizzato pellegrinaggi davanti a quella scuola, e una volta l’hanno anche occupata. Oppure che alcuni giornalisti del sito Indymedia (allora il sito del movimento) hanno costituito un gruppo di «supporto legale», registrando tutte le udienze del processo e mandandole in rete in tempo reale.
Ma finora, e il proceso dura ormai da tre anni, nessun agente o ufficiale aveva avuto il coraggio di confessare quel che ha confessato ieri il vicequestore Michelangelo Fournier: «Sembrava una macelleria messicana». Una macelleria che dal punto di vista politico oggi rischia di pagare una sola persona che ancora ricopre l’incarico di allora, il capo della polizia De Gennaro."
Cominciarono a picchiarli, così, senza ragione. Spensero anche la luce e giù botte da orbi. E fu l’inferno anche per tutti quelli che, con un immediato passaparola, si ritrovarono lì fuori, costretti ad assistere allibiti e impotenti alla processione dei loro compagni portati via da quella scuola, sanguinanti, in barella o trascinati come sacchi dell’immondizia. Gridavano agli agenti «il mondo vi sta guardando», ma gli agenti non se ne curavano. Al massimno sorridevano, in altre parole se ne fregavano. Era la notte della vendetta per gli scontri della giornata e del giorno prima (quello in cui fu ucciso Carlo Giuliani). L’avevano preparata bene, portando molotov dentro la scuola per accusare poi i giovani no global, producendo prove false, come tubi e bastoni che in realtà erano gli strumenti di lavoro dei muratori che stavano ristrutturando una parte di quella scuola intestata a un famoso generale italiano della Grande Guerra. Gli agenti avevano bisogno di una dimostrazione di forza, il capo della Polizia Gianni De Gennaro era a Roma ma sul posto, proprio lì alla Diaz, c’erano i suoi uomini Arnaldo La Barbera e Franco Gratteri (imputati entrambi), forse volevano anche nutrire il loro carnet di arresti, che fino a quel momento erano «solo» un centinaio. E forse, chissà, una prova di forza serviva anche al nuovo premier Berlusconi, al suo vice nonché ministro degli esteri Fini (che si piazzò non a caso nella sala operativa della Questura genovese) e al ministro dell’Interno Scajola.
Quando lasciarono il campo di battaglia (una battaglia a senso unico, nessuno dei ragazzi reagì), il pavimento della palestra era pieno di sangue, e qualcuno scrisse un cartello: «Non lavate questo sangue». Quel cartello è diventato un simbolo del movimento no global, tanto che la collega di Repubblica Concita De Gregorio l’ha utilizzato come titolo del suo libro che racconta i giorni del luglio 2001 a Genova. Ma è la scuola Diaz e quel che lì dentro avvene la notte tra il 21 e il 22 luglio che sono diventati un simbolo dei giovani e meno giovani che erano nel capoluogo ligure in quelle drammatiche giornate del G8, e di tutti i loro compagni sparsi per l’Italia e per l’Europa. Fu vissuta, ancora viene vissuta, come l’emblema della violenza dello Stato, anzi dei Grandi del mondo, che si riunivano blindati nella zona rossa mentre fuori si protestava, si sfilava, ci si scontrava, si picchiava e si veniva picchiati, qualcuno anche ucciso, e si gridava che «un altro mondo è possibile».
C’erano Bush e Berlusconi, una coppia che bastava da sola per scatenare la rabbia di migliaia di ragazzi, dei loro leader politici (Bertinotti sfilò nel corteo del sabato), di molti sindacalisti della Fiom e della Cgil (ma non tutta la Cgil, l’allora segretario Cofferati non volle che la sua Confederazione aderisse alla marcia), di una parte della sinistra compresi molti iscritti e dirigenti dei Ds (non quelli principali però, neanche il Partito di Fasssino aderì). Tanto è diventata un simbolo che negli anni seguenti, ad ogni anniversario, centinaia di ragazzi hanno organizzato pellegrinaggi davanti a quella scuola, e una volta l’hanno anche occupata. Oppure che alcuni giornalisti del sito Indymedia (allora il sito del movimento) hanno costituito un gruppo di «supporto legale», registrando tutte le udienze del processo e mandandole in rete in tempo reale.
Ma finora, e il proceso dura ormai da tre anni, nessun agente o ufficiale aveva avuto il coraggio di confessare quel che ha confessato ieri il vicequestore Michelangelo Fournier: «Sembrava una macelleria messicana». Una macelleria che dal punto di vista politico oggi rischia di pagare una sola persona che ancora ricopre l’incarico di allora, il capo della polizia De Gennaro."
2 commenti:
Sui fatti di Genova mi e' piaciuto molto il servizio che ha Biagi ha inserito nel suo Rotocalco Televisivo del 3 giugno. E' l'esperienza di una signora (pediatra, pacifista, impegnata anche nel terzo mondo) che racconta come la botta in testa ricevuta dalla polizia sia stata per lei, che crede nello Stato, come se lo Stato le fosse caduto in testa.
Anche mio figlio oggi ha avuto la prova di lingua. Spero sia andata bene. Ieri pero' non ha studiato nulla perche' non lo ha ritenuto necessario ("tanto l'inglese lo so"). Erica, dimmelo tu se e' normale!
Ciao Erica, davvero la giustizia sta diventando una parola che in molti perde di significato. Le manifestazioni anche le più pacifiche sembrano vissute come un attentato... Eppure i pensionati hanno ben da protestare e la gente che aveva manifestato a Genova era la più pacifica che potesse esserci... Dove stiamo andando? Un abbraccio Giulia
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