giovedì 19 marzo 2009

Lotta alla Mafia

L'associazione di don Ciotti Libera ha organizzato per domani a Casal di Principe e per sabato a Napoli i cortei in memoria delle vittime della mafia.
Don Ciotti ha scritto una bellissima prefazione per il volume di Antonella Mascali Lotta civile, ed. Chiarelettere, 12 storie esemplari raccontate da chi le ha vissute sulla propria pelle.

La prefazione intera è molto lunga; io ho trovato uno stralcio che mi è piaciuto molto per la sua importanza e profondità in un articolo del quotidiano La Stampa :

" Il 31 marzo 1984 Viviana Matrangola aveva solo dieci anni. Sua sorella Sabrina, quindici.
Quella notte la loro madre, Renata Fonte, assessore alla cultura di Nardò, vicino a Lecce, venne trucidata davanti al portone di casa. Stava rientrando da una seduta del consiglio comunale dove si era battuta contro i progetti della speculazione edilizia.
Racconta Viviana che Renata, dotata di alte sensibilità poetiche e artistiche oltre che civili, era divenuta rappresentante di un movimento che denunciava la presenza di metodi mafiosi a Nardò e nella zona mentre tutti ancora pensavano al Salento come all’isola felice. Si era messa a capo del comitato di salvaguardia di Porto Selvaggio denunciando il progetto di speculazione edilizia non solo in consiglio comunale ma anche in radio e in televisione. È la battaglia che le costerà la vita .
Difendere i beni comuni, amare la propria terra, servire la propria città può dunque portare a sacrificare la vita quando il connubio tra affari e politica si fa troppo stretto e inconfessabile.
È la storia di tante vittime. Ma la vicenda di Renata ha forse una particolarità e drammaticità ulteriori:
«Aveva trentatré anni quando ce l’hanno portata via», ricorda Sabrina. Anche una donna giovane, competente e appassionata può allora fare paura alla criminalità e agli interessi mafiosi.
Questo, di fronte alla crisi di legalità e allo strapotere della criminalità organizzata e della corruzione politica deve farci riflettere e anche rincuorarci: quello che quotidianamente come cittadini, associazioni, parrocchie, scuole, gruppi di impegno sociale, familiari di vittime riusciamo a costruire nel territorio, in termini di testimonianze, di attività educative e culturali, di costruzione di reti solidali e di percorsi di inclusione sociale ha in sé una forza e una capacità di trasformazione che la mafia avverte e teme.
Ciò che a noi può sembrare poco e debole, in realtà è capace di incidere nel profondo, nelle coscienze individuali ma anche nelle politiche più generali. [...]
Le mafie sono composte da uomini che scelgono il male e la violenza, che si assumono la terribile responsabilità di atti infami e irrimediabili suggeriti da una sottocultura criminale che considera la vita umana una preda da ghermire o un insignificante ostacolo da travolgere per raggiungere i propri obiettivi di potere e di interesse. Come disse il giudice Rocco Chinnici – straziato davanti a casa con un’autobomba il 29 luglio 1983, assieme a due carabinieri di scorta e al portinaio dello stabile – la mafia non è solo un’organizzazione contro la legge, è un’associazione che delinque contro l’umanità. È una forma di terrorismo, priva di ogni onore o giustificazione.
Anche il poliziotto Roberto Antiochia era «nel posto sbagliato nel momento sbagliato»: poteva essere al mare con la sua fidanzata Cristina, invece aveva scelto di fare da scorta volontaria al suo capo, Ninni Cassarà, nel mirino di Cosa nostra. Era il 6 agosto 1985, Roberto aveva solo ventitré anni.
Venne ucciso a raffiche di kalashnikov assieme a Cassarà, il commissario che poco tempo prima aveva lucidamente profetizzato: «Prima o poi finiscono ammazzati tutti gli investigatori che fanno sul serio».
Così è stato per lui, per Roberto, per il commissario Beppe Montana, trucidato poco prima di loro.
Così è stato per centinaia di altri poliziotti, carabinieri, magistrati, giornalisti, semplici cittadini che si sono trovati, per propria scelta, per rigore morale e per impegno civile, «nel posto sbagliato nel momento sbagliato», all’appuntamento con la morte."
Un appuntamento talvolta facilitato da un contrasto alle mafie a corrente alternata, segnato da errori e omissioni, da superficialità e da ritardi, se non da connivenze. Come denunciò Saveria Antiochia, madre di Roberto, che ne raccolse il testimone con grande passione e determinazione: «Mio figlio è morto per la squadra mobile di Palermo, per la sua squadra mobile. È morto nel volontario, disperato tentativo di dare al suo superiore e amico Cassarà un po’ di quella protezione che altri avrebbero dovuto dargli, in ben altra proporzione, sapendo quanto fosse preziosa la sua opera e in quale tremendo pericolo fosse la sua vita».
Parole nette, che possono apparire aspre e che invece esprimono non solo uno stato d’animo ma una precisa considerazione politica. Amara, ma non infondata. Si tratta di una considerazione ricorrente in chi ha avuto i propri cari stroncati dalla mano mafiosa
. "

3 commenti:

Artemisia ha detto...

Domani saro' a Napoli. Di questi tempo ho sentito il bisogno di esserci.
Un caro saluto,
Artemisia

Anonimo ha detto...

si che bella la mafia

ericablogger ha detto...

pregherei cortesemente gli anonimi che trovano bella la mafia di firmarsi
grazie
erica