domenica 18 novembre 2007

Frammenti di Memoria: Dino Roman

La scorsa settimana ho ricevuto una mail da Daniela, che mi comunicava che anche lei era figlia di un IMI. Daniela mi ha inviato la storia di suo padre e mi ha dato il permesso di pubblicarla. Un grazie ed un abbraccio a Daniela
" Mi chiamo Daniela Roman e sono la seconda figlia di Dino Roman.Mio padre nacque a Crescenzago il 17 Settembre 1923 in una casa sita in Via Padova al numero 336.A quel tempo Crescenzago era un comune a sé stante, mentre successivamente é stato conglobato nella cittá di Milano.
Purtroppo il mio carissimo padre mi ha lasciata il 12 Novembre 2003.
Mio padre era stato molto colpito dagli eventi bellici, dalla sua lunga prigionia, dalla perdita di tanti amici falciati dalla morte nel fiore degli anni.Tuttavia parlava della sua esperienza, non senza emozionarsi e sovente, nonostante fossero trascorsi tanti anni, quando evocava i ricordi e le esperienze piú dolorose piangeva e doveva interrompere i suoi racconti.
Alcuni anni fa io e lui avevamo stilato insieme un promemoria della sua esperienza di quel periodo compreso tra il 1942 e il 1945.
Mio padre riteneva che “quel vissuto” dovesse essere divulgato e condiviso con tutti gli uomini e le donne di buona volontá, affinché il valore dei grandi e dolorosi sacrifici subiti da una bella fetta dell´umanitá in quegli anni oscuri non andasse perduto.
Ecco la sua storia e le sue esperienze di quel tempo :
Artigliere Roman Dino, Matricola 64397, 1. Artiglieri Contr. e Sbarco, arruolato presso il Distretto Militare di Milano il 04 Maggio 1942 e destinato alla Caserma di Casale Monferrato (AL).
Presso la caserma di Casale Monferrato, cosí come altri, subisco un affronto da un graduato : ero seduto a terra e mi stavo cibando di quel poco che l´esercito passava, il graduato sopra menzionato sferra sprezzante un calcio alla mia gavetta e rovescia irrimediabilmente il povero contenuto. Mi alzo e lo colpisco con un manrovescio. Risultato : sono richiamato dai superiori, mi viene detto che lasceró la caserma di Casale con la prima partenza prevista. Sono cosí destinato in Grecia, a Rodi nel Dodecaneso.
Il 23 Marzo 1943, dopo un viaggio in treno durato 18 giorni, giungo al Pireo.Il mese successivo, in data 24 Aprile 1943 (é Pasqua!) arrivo all´Isola di Rodi e raggiungo la mia postazione situata sul Monte Filerimos a quota 244 mt.
La calda estate greca trascorre con momenti anche gioiosi, nel tempo libero mi ritrovo con i miei amici e commilitoni, si canta : ho con me il mio banjo, si scrive a casa, si pensa alla fidanzata in Patria, ci sono anche momenti di malinconia, ma siamo giovani, crediamo di avere il mondo in mano e, quando possibile, riusciamo a fare lunghe nuotate.
Rammento che dormivamo sotto una tenda, il nostro giaciglio era costituito da paglia : inevitabilmente, un po´a turno, venivamo assaliti tutti quanti dai pidocchi; alla fine ho preferito eliminare anche la paglia!
In quel tempo a Rodi si conviveva con la presenza di reparti tedeschi che erano ubicati sulla parte centrale dell´isola con la divisione motorizzata Rhodos. Mi ricordo di un ufficiale medico tedesco che mi tolse tre denti. Diverse volte sono stato invitato a suonare con il mio banjo struggenti musiche che i tedeschi apprezzavano e gradivano.
Giunge il fatidico 8 Settembre 1943, gli eventi nottetempo prendono un´altra piega : viene annunciato l`Armistizio ma mancano informazioni precise e certe, quel poco che si viene a sapere è frammentario, contraddittorio, i superiori impartiscono ordini che vengono poi smentiti.
Illusioni, speranze, stupore, la maggior parte dei commilitoni pensa che la guerra stia volgendo al termine, ci sono momenti di giubilo…Pochi hanno compreso che in realtà il peggio deve ancora avvenire!
La mia postazione di Artigliere è sul Monte Filerimos : il compito assegnatoci è la difesa del campo di aviazione.Nel frattempo il perimetro dell´Aeroporto militare di Maritsa era stato occupato dai reparti corazzati tedeschi.
Già dalla mattina del 9 Settembre 1943 si apre il fronte di guerra, una guerra cruenta; l´esercito italiano, benché di gran lunga superiore per numero di militari impegnati sul fronte delle battaglie porta avanti guerra impari : ci rendiamo conto di essere svantaggiati rispetto all´esercito tedesco che invece è bene organizzato e riceve ordini precisi.La battaglia infuria, Rodi è bombardata dagli Stukas tedeschi, i carri armati germanici sferragliano sulle strade di Pastida.
Riusciamo a riconquistare la base aerea di Maritsa.Gli eventi si evolvono a nostro favore quando, inaspettatamente, l´11 Settembre 1943 giunge la notizia assurda della capitolazione : ci siamo arresi ai tedeschi !
Tra la confusione generale, ordini e contro-ordini, la battaglia infuria, ne consegue una carneficina, i militi sono allo sbando; c´è chi vuole passare sotto i tedeschi, chi impaurito vuole raggiungere a nuoto le coste della Turchia, apparentemente vicine.Quanti commilitoni che hanno attuato questa scelta, ritenendola una via fuga, sono stati invece inghiottiti dalle acque del Mare Egeo, in pieno mare aperto!
Il nostro superiore rifiuta di consegnare le armi ai tedeschi, ci sprona alla battaglia e minaccia di fare saltare il cervello a coloro che hanno intenzione di “passare dall´altra parte”, a ingrossare le file dei tedeschi.
Lui stesso è il buon esempio e noi, per usare il titolo di un film, combattiamo davvero come “Giovani Leoni”, ma purtroppo abbiamo la peggio e ci dobbiamo arrendere!
Gli Ufficiali dell´Esercito sono catturati immediatamente e non si hanno piú notizie di loro, mentre la truppa viene imprigionata.Come tanti altri militari italiani anch´io sono catturato dai tedeschi; veniamo offesi, oltraggiati. I viveri, giá razionati al minimo, sono rapidamente esauriti.
Ci viene avanzata la proposta di aderire alle loro file, di entrare nella R.S.I.La mia morale non mi consente di tradire il mio credo, la mia ideologia, i miei principi e passare quindi “dall´altra parte” per divenire un loro strumento e contribuire a disseminare il terrore, le torture, la morte…
Prigioniero dei tedeschi sbarco al Pireo il 9 Gennaio 1944, successivamente, un po´a piedi, un po´in treno sono trasferito in Serbia, dapprima a Nîs, poi a Paracin, e indi nel Lager di Bagrdan.Noi Internati Militari subiamo successivamente ulteriori trasferimenti, a Belgrado e siamo quindi trasferiti al Lager Senjak (Zecnik ?) sino al´Ottobre 1944.
I lavori forzati ai quali venivo adibito erano finalizzati al rafforzamento della linea ferroviaria tra Atene e Belgrado.
Il lavoro era duro e comportava la spalatura di terra dalla montagna, il relativo carico della stessa su cassonetti (vagoncini) con spinta a uomo degli stessi e svuotamento del carico (terra).In inverno ci venivano affidate ulteriori incombenze, come la spalatura della neve presso le stazioni ferroviarie (nei Balcani l´inverno dura a lungo ed è assai freddo!) e il carico e lo scarico del carbone per alimentare le locomotive.
Durante l´intero periodo della prigionia eravamo sottoposti a strettissimo controllo della TOTD, che collaborava con le SS e la Gestapo, truppe tristemente note per la loro estrema brutalità, durezza e il comportamento assolutamente disumano nei confronti dei lavoratori forzati e dei prigionieri.
Dovevamo lavorare sotto il controllo armato di quei criminali che impiegavano anche feroci cani da guardia che non esitavano ad azzannare i prigionieri.
Il vestiario fornitoci era totalmente inadeguato a garantire un minimo di riparo dalle intemperie. Calzavamo zoccoli di legno che, soprattutto in inverno, non garantivano presa alcuna sul terreno ghiacciato.
La sveglia avveniva con colpi di rivoltella sparati nelle camerate; non c´era il tempo di uscire dalla porta, dovevamo saltare fuori dalle finestre!La tensione di quei momenti non mi ha piú abbandonato nel corso degli anni… se avverto il rumore di colpi improvvisi, è piú forte di me, non riesco a non trasalire.
Nelle camerate non erano disponibili giacigli, dormivamo direttamente a terra, senza paglia, per evitare quanto meno i pidocchi. Chi era piú fortunato riusciva a procurarsi qualche foglio di giornale e improvvisava un cuscino.Non esistevano coperte, neppure durante il freddo inverno balcanico!
La camerata era stipata da un numero inimmaginabile di prigionieri. Per i nostri bisogni fisiologici avevamo a disposizione un bidone. Chi di notte aveva necessitá di servirsene, a causa del disturbo che arrecava, richiamava inevitabilmente su di sé l´ira degli altri prigionieri. In assenza totale di illuminazione si finiva per calpestare gli altri prigionieri a terra e si perdeva il senso dell´orientamento.Per limitare il disturbo agli altri prigionieri, io e il mio caro amico Attilio V, ci eravamo accordati che, chi dei due aveva la necessitá di alzarsi, al ritorno veniva afferrato ai piedi dall´altro, in modo tale da riprendere il proprio posto a terra (…come cani!).
Anche Attilio V. fu catturato dai tedeschi a Rodi; lui era nella Fanteria, Divisione Regina e la sua postazione era a Jannadi, ma noi ci siamo incontrati a Bagradan e con altri commilitoni siamo divenuti grandi amici, condividendo lo stesso destino.La squadra dei miei amici era cosí composta : Cesare B. di Cascina Meda – Milano, classe 1922, Erminio R.di Cernusco sul Naviglio – Milano classe 1910, Paolo M.di Vignate, classe 1912, R. di Vimodrone, classe 1923.
Ricordo con tanto affetto e malinconia anche i seguenti cari amici, che purtroppo non hanno avuto la fortuna di sopravvive a quegli eventi : Pierino C., Fante, classe 1923 di Vimodrone, Angelo M.,Fante, classe 1923 di Vimodrone, R.,Fante, classe 1923 di Biella.
Per quanto riguardava l´alimentazione (per usare un eufemismo) che veniva distribuita nel Lager, questa era subordinata alla presentazione di un buono che ci veniva consegnato al rientro nel Lager a ultimazione dei lavori forzati sopra descritti.
Le razioni distribuite, ovviamente del tutto insufficienti, sia in termini quantitativi che qualitativi, comprendevano una forma di pane nero (tipo pane in cassetta) del peso di 1 Kg. da distribuire a 6 persone e 250 grammi di margarina da suddividere tra 19 persone!!!Nessuno voleva condividere quel poco che c´era e anche le briciole (poche) erano all´origine della discordia (tanta).
Io ero stato scelto dal mio gruppo per il taglio e la distribuzione del pane e della margarina. Cercavo e dovevo essere il piú equo possibile; non avevo a disposizione il bilancino del farmacista, è il caso di dire, e la responsabilità che mi competeva era gravosa.
L´unica bevanda calda disponibile era un surrogato di un qualche cosa, di non meglio specificato, imbevibile, ma aveva il vantaggio di scaldare un po´lo stomaco.
Ci veniva distribuita anche una brodaglia contenente barbabietole oppure patate, o carote.
Quando siamo stati fatti prigionieri a Rodi eravamo stati spogliati di tutto : non avevamo piú a disposizione il nostro zaino, neppure le nostre gavette, non avevamo posate, non disponevamo di cambio per l´abbigliamento, non avevamo coperte.Per ricevere la nostra minestra avevamo dovuto munirci di barattoli che fortunosamente trovavamo e custodivamo gelosamente.
Una volta rammento che, non avendo a disposizione altri recipienti, abbiamo ricevuto la minestra nel bidone destinato ai bisogni fisiologici, non era stato neppure possibile lavare e disinfettare il recipiente! Chi poteva permettersi di essere schizzinoso ?
Ovviamente nessuno di noi internati e/o prigionieri, che dire si voglia, percepiva denaro per il lavoro prestato.
Per chi si ammalava la situazione diventava ancora piú critica, nessuno riceveva assistenza medica.Le sofferenze morali, fisiche, e psichiche erano pesanti. Era duro assistere alla morte, all´uccisione degli amici o di chi ci stava accanto; inevitabilmente ciascuno di noi aveva sviluppato la consapevolezza che, per un nulla, poteva essere annientato.
Tanti sono i ricordi che mi sovvengono : chi voleva sopravvivere, doveva aguzzare l´ingegno, rischiare soprattutto in prima persona … la pelle.Rammento una volta mentre ero impegnato in lavori presso una stazione; c´era un treno merci in sosta che trasportava noccioline; siamo riusciti a rubare le noccioline e l´abbiamo scampata!
Un´altra volta il mio amico Attilio V. aveva trovato “ un acquirente” per il suo pullover; in cambio avrebbe ottenuto una manciata di farina. In realtà una volta ceduto il suo pullover la manciata di farina gli venne poi negata. Si ingaggió una lotta, venne infranto il vetro di una vetrina. Me ne accorsi in tempo, raggiunsi il mio amico : non avevo paura a venire alle mani. Afferrai il disonesto per il colletto della camicia e Attilio ebbe la sua manciata di farina!
Nella giornata di Venerdì rammento che avveniva regolarmente una certa Processione, alla quale partecipavano anche i nostri aguzzini, chi se la sentiva cercava quindi di fuggire dal Lager per andare alla ricerca di un po´di cibo.
Talvolta nel corso di queste nostre fughe si attraversavano piccoli villaggi, abitati solamente da vecchi, donne e bambini. I loro uomini erano anch´essi in guerra; se si presentava l´occasione in inverno cercavo di rendermi utile con i miei amici spalando la neve davanti alle case. Riuscivamo cosí ad ottenere un po´di prezioso filo per cucire i poveri stracci che malamente ci ricoprivano.La ricompensa altre volte consisteva in qualche patata o rapa, un po´di pane secco, che le donne del posto, povere anch´esse, riuscivano a mettere insieme.
Quando andava proprio male ricordo che piú di una volta sono andato a “rubare” bucce di patate e cibo ai maiali. La situazione era estremamente pericolosa in quanto la fuga e il furto erano puniti con la fucilazione, ma la fame era tanta e chi se la sentiva rischiava.Una volta ricordo che una scrofa era particolarmente nervosa, con i suoi forti grugniti avremmo corso il rischio di non riuscire a farla franca. Un mio compagno doveva quindi cercare di distrarre l´animale, in modo tale che io potessi portare a compimento il mio lavoro.
Altre volte con i miei amici piú fidati si andava “a caccia”. Riuscivamo a rimediare lumache, rane, pesci, animali selvatici e allora era festa in grande, si mangiava!
Ero riuscito a catturare qualche coniglio selvatico che poi mangiavamo in compagnia. Nulla veniva gettato via : ho preso le pelli dei conigli, le ho conciate in qualche modo con la terra, le ho stese su assi di legno, ed ecco pronta una pelliccetta che mi ricopriva un po´le spalle e il petto nei periodi piú freddi.
Di Bagrdan serbo un altro tristissimo ricordo.
Noi prigionieri attraversavamo in colonna il paese, le nostre guardie/carnefici erano ungheresi arruolati nella TODT, nella Gestapo o nelle SS. Lungo la nostra marcia incontriamo dei passanti, un ragazzo italiano del nostro gruppo tende un fazzoletto e implora una donna, lí di passaggio, di dargli qualche cosa da mangiare; il carnefice ungherese lo aggredisce, lo colpisce e lo fredda sul colpo.Abbiamo sollevato in braccio la povera vittima e lo abbiamo portato al cimitero locale.
Nel 1986 mia figlia Daniela ha intrapreso un viaggio e si è recata anche a Bagrdan, con l´intenzione di cercare la tomba di quel poveretto.Ancora oggi Bagrdan è una piccola località e la presenza di stranieri non passa inosservata. Una persona di passaggio chiede a mia figlia se puó rendersi utile, Daniela risponde che sta cercando il cimitero locale e spiega brevemente il motivo.Nel frattempo giunge un altro signore che viene interpellato dal serbo che sta parlando con mia figlia.Incredibile ma vero, quella persona rammenta l´accaduto, era stata testimone oculare di quell´omicidio : a quel tempo lui era un bambino di circa 9 anni, racconta quel tragico evento e mia figlia viene accompagnata al cimitero di Bagrdan, e le viene indicato il punto di sepoltura di quel ragazzo.Le viene sconsigliato di addentrarsi nel cimitero, il terreno è incolto, le erbacce sono alte e infestate da serpenti.
Non c´é una lapide, una croce o un qualsiasi simbolo a ricordo di quel povero giovane. Daniela ha raccolto dell´erba e qualche fiore selvatico che cresceva in quel cimitero e me l´ha portata come ricordo.
Noi prigionieri subiamo un altro trasferimento, la nuova destinazione è Belgrado presso il Lager Senjak (Zecznik ?). Anche qui noi prigionieri siamo impiegati nei lavori di rafforzamento della linea ferroviaria.Siamo nel Settembre – Ottobre 1944 in piena guerra; la gente del posto ci informa che gli eventi prenderanno presto un´altra piega, l´Armata Rossa si sta avvicinando.
Il 12 Ottobre 1944 le Armate Sovietiche si trovano al confine ungherese e stanno convergendo sulla capitale yugoslava. Piú a Sud, a Nîs, i tedeschi sono costretti ad evacuare la cittá.Il 16 Ottobre 1944 si combatte per le strade di Belgrado, porto in braccio un bambino ferito, suo padre mi accompagna, vogliamo raggiungere l´ospedale che è ubicato sopra una collina.Durante la nostra corsa verso l´ospedale notiamo una ragazza con lunghi capelli raccolti in una treccia; improvvisamente la giovane é dilaniata dallo scoppio di una bomba davanti ai nostri occhi e vediamo con orrore che la sua lunga treccia ha aderito alle pareti della roccia!
Belgrado sta per essere conquistata dall´Armata Rossa e dai combattenti di Tito.
Subiamo quindi un ulteriore trasferimento e nel Novembre 1944, attraversando la Croazia, entriamo nella regione della Bassa Austria, a Petzenkirchen, dove giungiamo nel Natale del 1944.A mano a mano che le truppe sovietiche avanzano ci aspettano altri spostamenti, Wiener Neustadt, Baden bei Wien e Vienna, dove giungiamo il 23 Gennaio 1945.
Il 31 Marzo l´Armata Rossa avanza verso Wiener Neustadt; il 06 Aprile inizia la battaglia a Vienna, gli attacchi sovietici sono continui e le SS intendono fermare l´ulteriore avanzata dell`Armata Rossa in territorio austriaco. I combattimenti sono aspri, selvaggi.
Nel corso di quegli ultimi 5 mesi, per sfuggire all´avanzata delle truppe russe, le SS in fuga ci trascinavano nelle colline nei pressi di Vienna e intendevano terrorizzarci con lo spettro della venuta delle truppe russe.Non se ne poteva piú di fuggire, di essere minacciati, eravamo sfiniti.
Finalmente, il 14 Aprile 1945, a Sainkt Pölten siamo liberati dai Russi che ci rifocillano di cibo, ci forniscono qualche capo di abbigliamento e qualche sigaretta.
In treno giungiamo a Budapest, successivamente siamo trasferiti a Veszprem dove, in data 7 Maggio 1945 apprendiamo che, finalmente, la folle guerra è terminata!
In Ungheria lavoravamo con i Russi nella puszta ungherese, io e miei amici effettuavamo il trasporto di materiali con carri trainati da cavalli; io stesso ne avevo due, uno dei quali nero con una stella bianca in fronte.
Giungiamo al Lago di Balaton dove è prevista una sosta di otto giorno, prima di proseguire per la nostra destinazione situata a 90 Km. da Mosca.
A fine Luglio 1945, in treno in viaggio verso l´Est, arriviamo alla stazione ferroviaria di Sopron.
Io e gli altri 5 miei amici non ci pensiamo due volte, lasciamo il treno. Dieci minuti dopo saliamo su un altro treno che viaggia nel senso opposto, verso Graz.
Al confine russo-americano siamo consegnati agli Americani presso un centro di smistamento.Dopo 40 giorni rientriamo con mezzi americani (camion) in Italia via Innsbruck, Pescantina, Verona, Stazione Centrale di Milano. È il 28 Agosto 1945 sono le ore 17.00 circa.
Ricoperti con i nostri poveri stracci saliamo su un tram; nessuno di noi ha denaro ma il tranviere insiste per avere il pagamento della corsa.Cerchiamo di spiegargli la situazione, non vuole capire, lui vuole i soldi.
Da un posto a sedere si alza una Signora, è lei che paga i biglietti per noi! Che emozione, c´è ancora umanitá!
Devo raggiungere il Via Padova, dove abita la mia famiglia : mio padre è ricoverato all´Ospedale di Garbagnate, dove morirá l'8 Gennaio 1946 a 48 anni, a causa della silicosi, ho un fratello, Osvaldo di 8 – 9 anni e una sorellina, Irma di 5 – 6 anni.
Qualcuno del mio rione mi ha visto e corre ad avvisare mia mamma.La incontro piangente sul ponte in Via Padova che corre scalza per venirmi incontro.
È TUTTO FINITO, FINALMENTE SONO A CASA!DEDICO UN PENSIERO E UN RICORDO A CHI NON È POTUTO RIENTRARE ED È RIMASTO IN TERRA STRANIERA. RINGRAZIO CHI HA SALVATO ONORE E DIGNITÁ; AFFERMANDO “NO AL NAZI-FASCISMO”
Dino Roman – deceduto a Milano il 12 Novembre 2003
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5 commenti:

Artemisia ha detto...

E' bello che questo tipo di ricordi "sopravvivano" oltre i protagonisti che gli hanno vissuti.
Brava Erica!

Anonimo ha detto...

Commmovente e importante questa storia che mi ha riportato alla mente anche i martiri di Cefalonia trucidati per aver avuto il coraggio di dire no alle truppe naziste. Un caro saluto, Fabio

ericablogger ha detto...

anch'io ho pensato a Cefalonia e a tutti gli orrori di quei luoghi
ma anche a mio papà e a quello che ha sofferto purtroppo anche lui

Anonimo ha detto...

Dovrebbe essere pubblicato in un libro o sulla stampa (cartacea o web), magari in maniera più estesa, questo splendido memoriale. Perché Dino Roman, che saluto, non lo invia, ad esempio, al quotidiano LA STAMPA
(stampaweb@lastampa.it)?
Ciao
Osvaldo :)

Anonimo ha detto...

caro Osvaldo, Dino Roman è morto nel 2003 come mio papà, anche lui un IMI
quello che tu dici qui sopra potrà di certo interessare sua figlia Daniela, che spero avrà letto
un saluto erica