sabato 6 marzo 2010

Leggi razziali e Fascismo

Sono trascorsi più di 70 anni dalla promulgazione delle leggi razziali in Italia.
Sempre più spesso si fa un uso pubblico distorto, che isola i provvedimenti del 1938 dal fascismo nel suo insieme e relativizza i caratteri strutturalmente violenti e illiberali di quel regime e le sue aspirazioni totalitarie.
Non aiuta ad una maggiore consapevolezza anche il successo pubblicistico di un’insistito anti-antifascismo teso ad affermare l’idea che in Italia il razzismo non fu un fenomeno radicato, ma il frutto tardivo dell’opportunismo di Mussolini e che le leggi razziali vennero applicate all’acqua di rose.
Solo la prospettiva storica può illuminare il volto oscuro di tanti stereotipi del tempo presente e aiutare a capire meglio il nostro paese.
di Francesco Cassata «La difesa della razza». Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista , Einaudi, pp. XVI-413, e34 .
Cassata ricostruisce una storia mai raccontata , quella del periodico fascista "La difesa della razza", fondato a Roma nell’agosto 1938, che cessò le pubblicazioni nel giugno 1943.
Il saggio è la storia di un progetto culturale e dell’intellettuale che lo p
romosse, il siciliano Telesio Interlandi, giornalista la cui avventura attrasse anche Sciascia e la compagnia di "antisemiti di penna" da lui riunita, di cui Cassata ricostruisce con notevole finezza la parabola: i rapporti con l’università, le tensioni con il Vaticano, le rivalità interne al regime, le formidabili ascese, le ambizioni frustrate, l’indefessa fedeltà al duce, arbitro e giudice delle loro fortune.
Il legame diretto tra Interlandi e Mussolini garantì alla rivista il sostegno istituzionale del MinCulPop, quello economico delle principali banche e un’ampia diffusione, favorita dal costo contenuto, dall’accattivante veste grafica e da una tiratura di lancio di 140.000 copie.
"La difesa della razza" non nacque dall’esigenza contingente dell’alleanza con Hitler, bensì fu il prodotto di una lunga incubazione, nata dall’antisemitismo europeo di stampo irrazionalista e rivitalizzò atteggiamenti presenti in una parte non minoritaria della tradizione cattolica italiana.
Fra questi intellettuali, il razzismo, l’antidemocraticità, il disprezzo anti borghese furono scelte profondamente vissute, insieme con l’odio verso l’ebreo visibile, ma soprattutto nei confronti di quello invisibile: "quell’animale estraneo, che è ospite occasionale del paese italiano. È l’ebreo, è il mezzo ebreo, è il discendente di accoppiamenti occasionali fra italiani e stranieri, è il nazionalizzato di fresco, è il meticcio".

Nel saggio si approfondiscono le diverse correnti in cui si articolò il razzismo fascista, che rende impossibile ogni forma di indulgenza per la versione biologica di Interlandi e dei seguaci Almirante, Landra, Lelj, Sottochiesa, per quella nazionalista di Acerbo e di Pende e per quella esoterica-tradizionalista di Evola e Preziosi.
Secondo Cassata, quando si passa dal livello politico a quello ideologico, la contrapposizione si attenua e prevale un "sincretismo" che costituisce la summa di tutto il razzismo fascista: "la biologia si culturalizza e la cultura si biologizza".
Tra le pagine più interessanti, ci sono quelle in cui si analizzano le modalità con cui era orchestrata la rubrica della posta: un coro di voci anonime, dal professore di scuola al "liceale avanguardista", fino alla "giovane impiegata" che chiedeva l’applicazione di un "bracciale giallo" per gli ebrei, plurisecolare pratica cromatica che i ghetti della Controriforma avevano reso familiare: "Ciò è molto importante perché il governo fascista, eliminando gli ebrei dall’esercito, dalla scuola e dagli impieghi pubblici, ci difende soltanto in parte da questi parassiti" e dunque come riconoscerli e tenerli lontani?

1 commento:

giovanna ha detto...

Erica, ciao,
aggiornato il feed!
saluto caro
g