venerdì 6 giugno 2008

La Fao e la fame ....

E' finito ieri sera a Roma il summit della Fao. Tante parole ma ben pochi fatti per aiutare la fame nel mondo. A quanto pare è mancata la " coesione".
Dopo diverse ore di ritardo, alle nove di sera è finalmente giunta in extremis, la dichiarazione finale del vertice della Fao sull’emergenza alimentare: «Ribadiamo che il cibo non può essere usato come strumento di pressione politica ed economica».
Il dibattito era stato molto acceso e spesso anche polemico, con il solco sempre più profondo che divide i vari Paesi. Nel corso del comitato plenario che ha preceduto le dichiarazioni finali , sono tornati alla ribalta i rilievi del blocco latino-americano.
L’Argentina ha messo in evidenza che voleva « solo dichiarare le nostre obiezioni su tutta la dichiarazione, non ci opponiamo che gli altri membri approvino la dichiarazione, ci rammarichiamo che, pur condividendo molti passaggi delle dichiarazioni di Venezuela e Cuba, molte delegazioni presenti abbiano cancellato con un solo colpo di spugna ciò che in tutta la settimana era stato dichiarato su come risolvere i problemi della fame».
Cuba ha ribadito che «la politica ostile e di aggressione degli Stati Uniti nei confronti di Cuba non ha rinunciato all’uso della fame come strumento politico. Speriamo che questa conferenza sia servita almeno a creare una coscienza sulla situazione in cui si trovano i Paesi dell’emisfero sud» e «non abbiamo trovato una soluzione al problema della fame. I ricchi e i potenti continuano ad impedirlo». Anche l’Ecuador ha sostenuto «Venezuela, Argentina e Cuba non sono soli. Siamo tanti Paesi a non essere d’accordo».
Nonostante dunque le buone premesse tutto si è risolto in modo deludente e per nulla coeso ed unanime
Ma se si va a fare una breve ricerca nel passato Fao, si può notare che ben poco è cambiato nel corso degli anni. Il summit precedente del 1996 si era proposto un obiettivo chiaro: dimezzare entro il 2015 il numero degli affamati, che erano allora 800 milioni.
Ora dodici anni dopo, a patire la fame sono ben 862 milioni, e con l' impennata dei prezzi degli ultimissimi anni, alla cifra precedente si devono aggiungere più o meno altri 100 milioni di indigenti, che fanno sfiorare il miliardo.
Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e grande sostenitore di una agricoltura connessa con il territorio spiega che « la Fao è una agenzia che può dare al massimo buoni consigli. Quando sono buoni, perché a volte non dà neppur quelli».
In effetti il passaggio tra l’idea e la sua applicazione non viene condotto dalla Fao stessa, ma da una «task force».
Luca Colombo, ricercatore presso la Fondazione per i diritti genetici spiega che «di questa task force fanno parte, tra l’altro, il Fondo monetario, la Banca mondiale, il Wto e, mentre alla casa madre Onu si vota per Stati, in questi organismi si vota secondo il peso specifico che si ha nell’economia mondiale, per cui gli Usa contano mille volte il Niger, e quali istanze potranno proporre, in sede operativa Fao, se non quelle che convengono alla propria economia?».
Ecco perchè dunque i progetti fin qui finanziati vadano tutti a sostegno di un criterio di liberalizzazione spinta dal mercato che promuove le grandi multinazionali dell’agricoltura industriale, emarginando i piccoli produttori.
Petrini aggiunge anche che «è dimostrato da una letteratura sterminata che l’unica ricetta possibile per portare il cibo capillarmente a tutti è la coltura di prossimità, quella che fanno i piccoli contadini in linea con un sapere antico e con una vasta biodiversità. Il che significa che si produce per consumare sul territorio e si coltiva una pluralità di prodotti perché se uno scarseggia l’altro possa sopperire. A questa pratica non si deve guardare come ad una esperienza bucolica ma fragile, perché è, al contrario, l’unica in grado di aumentare la produttività e di rispondere ad un bisogno. Si tratta, semmai, di arricchire questa agricoltura con un serio apporto tecnologico».

L’istanza proposta dagli organismi internazionali, invece, resta quella delle grandi monocolture e della liberalizzazione spinta «il cui risultato - come dice anche Colombo - è quello di emarginare la piccola produzione e di ridurre i contadini alla fame. Altro che risolvere il problema della denutrizione».
Le grandi monocolture oltretutto sono le più esposte alla speculazione finanziaria dei futures, che ha generato l’impennata dei prezzi del grano, del riso e del mais.

A questo punto si può dunque sostenere che la Fao è sostanzialmente succube degli interessi del grande capitalismo occidentale? Probabilmente sì !
Giampiero Maracchi, direttore dell’istituto di Biometereologia del Cnr, a tale riguardo, dice: «Soprattutto una Fao molto autoreferenziale e utilizzata come agenzia diplomatica, essendo una agenzia, priva di un proprio potere politico, non può fare altro che produrre idee e progetti, che poi gli Stati membri gestiscono come “fattori di stabilità” internazionale, seguendo logiche politiche più che obiettivi strategici».

Il problema però non è solo il vertice sulla fame.
Nel marzo 2007, per esempio, 119 paesi hanno partecipato a un vertice per sconfiggere la pesca illegale.
A un anno di distanza non c’è ancora un accordo e, mentre a Bruxelles i pescatori protestano, alla Fao si sta ancora lavorando ad un testo che vedrà la luce... nel 2009. Testo che sarà solo una «bozza».
Sembra veramente incredibile ciò che ho letto e che vi ho riportato qui sopra, ma purtroppo è tutto vero. Anche la Fao è vittima di quella grave malattia che si chiama burocrazia elefantiaca, quella che blocca tutto, insieme con la politica, in modo assurdo , impedendo in effetti di provvedere subito e con ogni mezzo a salvare tanta gente che in così tante parti del mondo stanno morendo di fame

1 commento:

Gianna ha detto...

Se ti interessa,ho postato pure io sulla fame nel mondo senza,però, parlare della Fao.
Ho scoperto indifferenza verso questo grave problema...
Ciao