Clotilde Reiss è una giovane lettrice francese; arrestata il 1 luglio in Iran, è comparsa sabato scorso davanti a un tribunale di Teheran insieme a un’altra dipendente dell’ambasciata francese in Iran, la cittadina franco-iraniana Nazak Afshar. Con loro sono comparsi davanti ai giudici anche altri manifestanti arrestati due mesi fa. Afshar è già stata liberata su cauzione ma il procuratore ha detto che "si stanno ancora esaminando le accuse a suo carico".
Parigi ha fatto sapere che se l’Iran concederà la libertà vigilata a Clotilde, la Francia accoglierà la giovane francese all’interno della sua ambasciata di Teheran. ma esige che vengano dichiarati decaduti i procedimenti giudiziari aperti a suo carico.
Mentre il regime degli ayatollah offre uno spiraglio, continua intanto l’offensiva contro l’Occidente ed i Paesi stranieri in relazione ai disordini antigovernativi scoppiati all’indomani delle elezioni presidenziali del 12 giugno.
Parigi ha fatto sapere che se l’Iran concederà la libertà vigilata a Clotilde, la Francia accoglierà la giovane francese all’interno della sua ambasciata di Teheran. ma esige che vengano dichiarati decaduti i procedimenti giudiziari aperti a suo carico.
Mentre il regime degli ayatollah offre uno spiraglio, continua intanto l’offensiva contro l’Occidente ed i Paesi stranieri in relazione ai disordini antigovernativi scoppiati all’indomani delle elezioni presidenziali del 12 giugno.
215 deputati del Parlamento su 290 hanno condannato le «ingerenze di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna negli affari interni dell’Iran», sottoscrivendo un documento in cui si chiede al governo e al presidente di intervenire con misure concrete contro i tre Paesi.
Intanto è arrivata l'ennesima ritrattazione del presidente del parlamento iraniano Ali Larijani, il quale ha smentito "qualsiasi abuso sessuale" in carcere nei confronti degli arrestati, e ha definito "una menzogna" l'accusa di stupri ai detenuti formulata dall’altro candidato riformatore Mehdi Karrubi in una lettera all’ex presidente Akbar Hachemi Rafsanjani.
Intanto è arrivata l'ennesima ritrattazione del presidente del parlamento iraniano Ali Larijani, il quale ha smentito "qualsiasi abuso sessuale" in carcere nei confronti degli arrestati, e ha definito "una menzogna" l'accusa di stupri ai detenuti formulata dall’altro candidato riformatore Mehdi Karrubi in una lettera all’ex presidente Akbar Hachemi Rafsanjani.
La leader dell’opposizione democratica birmana Aung San Suu Kyi è stata condannata ad altri 18 mesi di arresti domiciliari, accusata di violazione delle norme di detenzione per aver ospitato in casa sua un pacifista statunitense lo scorso maggio.
La donna, leader dell'opposizione democratica, che era in procinto di essere liberata, dovrà scontare un nuovo periodo di isolamento: il ministro dell’Interno del Myanmar, generale Maung Oo, ha reso noto che la pena inizialmente concordata prevedeva tre anni di carcere ai lavori forzati, aggiungendo però che il generale Than Shwe, capo della giunta militare al potere, ha tuttavia deciso di ridurla e commutarla in un anno e mezzo nella residenza in cui San Suu Kyi ha vissuto negli ultimi vent'anni.
A tale scopo è stato subito promulgato un decreto speciale.
Poco prima dell'inizio dell'udienza, le autorità birmane hanno autorizzato i giornalisti a partecipare alla lettura del verdetto del processo.
L’Unione Europea è pronta ad inasprire le sanzioni contro la Birmania dopo la condanna del premio Nobel Aung San Suu Kyi
Una fonte diplomatica ha affermato che l’Ue ha avviato una "procedura scritta" per attivare le sanzioni, senza la necessità di indire alcuna riunione se non ci sono pareri contrari da parte di qualche Stato membro.
Il presidente francese Nicholas Sarkozy ha detto che le sanzioni dovranno colpire la giunta militare dove è più sensibile, ovvero "i settori da cui detraggono i maggiori guadagno, come il legno e il rubino".
Aung San Suu Kyi fu condannata la prima volta nel 1989, un anno prima che la sua Lega nazionale per la democrazia trionfasse alle elezioni.
Da allora la situazione non è cambiata.
Americani ed Europei si indignano, i vicini asiatici continuano a fare affari, indisturbati, e solo i fedeli di Suu Kyi chiedono il suo rilascio come precondizione per qualsiasi dialogo.
Isolati dal resto del mondo, molti birmani continuano ingenuamente a pensare che gli Usa o l’Onu arriveranno a liberarli.
Chi ci guadagna in tutto questo ? La Cina, che acquista a prezzi irrisori le abbondanti materie prime birmane, così come l’India o la Thailandia.
Chi ci guadagna in tutto questo ? La Cina, che acquista a prezzi irrisori le abbondanti materie prime birmane, così come l’India o la Thailandia.
E i generali, armati dai cinesi e blindati grazie al sostegno diplomatico di Pechino all’Onu.
Sullo sfondo, incombono le elezioni del prossimo anno, ultima tappa della "transizione verso la democrazia" imposta dalla giunta.
Anche nel caso venissero rilasciati gli oltre duemila prigionieri politici, nessuno si illude che il voto sarà libero: la nuova Costituzione prevede un 25 percento di seggi in Parlamento riservati ai militari. Un accordo tra una giunta paranoica che trasferisce la capitale nella foresta per paura di un’invasione, un’opposizione di idealisti, gli interessi delle grandi potenze, i ribelli che gestiscono i traffici di droga e un popolo stremato finora non è stato trovato, ma il tempo stringe.
Suu Kyi, 64 anni e non sempre in buona salute, un giorno non ci sarà più.
E allora la dissidenza perderà il volto che mantiene l'attenzione del mondo sulla Birmania!
Quante altre donne, non altrettanto famose, sono prigioniere di carceri e giustizie non democratiche in paesi non liberi?
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