Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia, fu prelevata in centro, a Milano, a pochi passi da Corso Sempione, la sera del 24 novembre 2009, un mese a Natale. A bordo di un furgone bianco fu portata in un casolare alle porte di Monza, dove fu torturata per ore affinché dicesse la verità sul suo racconto alla polizia - Lea aveva "spifferato" verità scomode su alcuni omicidi di 'ndrangheta a Milano - , poi uccisa con un colpo di pistola e infine bruciata, e non dissolta nell'acido, come gli inquirenti ipotizzarono per lungo tempo, in un campo della Brianza
Nel marzo 2013, i sei indagati per l'omicidio di Lea , tra cui l'ex marito, Carlo Cosco, il fratello Vito e l'ex fidanzato della figlia Denise, tutti originari di Petilia Policastro, comune del crotonese, come lo era anche Lea, sono stati condannati all'ergastolo.
Nel marzo 2013, i sei indagati per l'omicidio di Lea , tra cui l'ex marito, Carlo Cosco, il fratello Vito e l'ex fidanzato della figlia Denise, tutti originari di Petilia Policastro, comune del crotonese, come lo era anche Lea, sono stati condannati all'ergastolo.
La vita di Lea è stata una vita difficile. In tenera età perse il padre e il fratello, entrambi uccisi dalla 'ndrangheta. Poi sposò Carlo, giovane rampollo della malavita locale. Giovane ed inconsapevole, Lea si ritrovò a vivere una vita che non voleva, una vita che conosceva già, ma che avrebbe voluto evitare alla figlia Denise .
Per questo motivo decise di collaborare con la giustizia, finendo in un inferno fatto di solitudine e continui cambi di residenze, fino alla decisione azzardata e molto pericolosa di lasciare il programma di protezione. Si era infatti fidata ed era convinta che fossero disposti a perdonarla Aveva in mente di andarsene in Australia, ma il suo viaggio finì a Milano, dietro Corso Sempione, poco dopo aver lasciato la figlia.
Per questo motivo decise di collaborare con la giustizia, finendo in un inferno fatto di solitudine e continui cambi di residenze, fino alla decisione azzardata e molto pericolosa di lasciare il programma di protezione. Si era infatti fidata ed era convinta che fossero disposti a perdonarla Aveva in mente di andarsene in Australia, ma il suo viaggio finì a Milano, dietro Corso Sempione, poco dopo aver lasciato la figlia.
Lea è stata una donna coraggiosa che ha pagato le sue scelte con la vita. Di lei sono rimasti 2.800 frammenti ossei, in tutto un chilo e trecento grammi, trovati il 21 novembre 2012
Sabato 19 ottobre 2013 a Milano, grazie alla volontà di sua figlia Denise e dell'associazione di Don Ciotti Libera, Lea, con un ritardo di quattro anni, ha avuto un funerale civile con tanta gente e tanta commozione
«In ricordo di Lea, la mia giovane mamma uccisa per il suo coraggio era la dedica, dettata dalla figlia Denise, sui segnalibri che in piazza Beccaria sono stati distribuiti a chi ha partecipato ai funerali
«Lo celebreremo a Milano per testimoniare la vicinanza dei milanesi e di tutti coloro che, da ogni parte d’Italia, combattono le mafie e la criminalità organizzata», aveva annunciato il sindaco Pisapia. «Il giorno dei funerali sarà un momento di riflessione che coinvolgerà tutta la città. Lea Garofalo non era nata a Milano, ma in questa città era arrivata piena di speranze, qui ha avuto il coraggio di ribellarsi alla ‘ndrangheta diventando testimone di giustizia. Un coraggio che ha pagato con la vita».
Nella stessa giornata il giardino di via Montello, di fronte al palazzo controllato dal clan Cosco, è stato intitolato a Lea Garofalo
Ci sono state anche altre iniziative organizzate insieme all’associazione Libera. A lei è stato dedicato il secondo Festival dei beni confiscati, che si è tenuto a Milano dall’8 al 10 novembre. Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, ha spiegato il significato del segnalibro: «Vogliamo riaffermare il potere dei segni contro i segni del potere. Il segnalibro riafferma l’importanza della cultura contro la mentalità mafiosa».
Ai funerali di Lea don Ciotti ha portato anche un mazzo di fiori a nome di Carmine Venturino, ex fidanzato di Denise e condannato all’ergastolo per l’omicidio di Lea. Carlo Cosco aveva ordinato a Carmine di uccidere anche Denise. «Ma lui si è rifiutato e per questo la ‘ndrangheta lo ha condannato a morte - ha raccontato don Luigi Ciotti -. L’ho incontrato in carcere e sta facendo un percorso interiore profondo. Anche lui, un ragazzo, ha scelto ad un certo punto di dire di no».
Un dramma nel dramma, la storia di Venturino. E un pentimento per amore.
Carmine Venturino, condannato all'ergastolo, ha spiegato così la sua scelta di collaborare e raccontare la verità sulla morte di Lea, testimone di giustizia bruciata “finché non rimase che cenere”.
“Ho fatto questa scelta per amore di Denise, perché sapesse come sono andate le cose nell’omicidio di sua madre, perché Denise occupa il primo posto nel mio cuore” ha detto in aula l’uomo al processo d’appello davanti ai giudici della corte d’Assise d’Appello di Milano. A luglio, a tre mesi di distanza dal verdetto di primo grado, aveva svelato anche nuovi particolari sul sequestro e sull’omicidio della vittima.
“Carlo Cosco è uno ‘ndranghetista – ha spiegato Venturino – ed ha sempre avuto il progetto di far sparire Lea”. Per questa vicenda io ho perso Denise e sono molto provato”.
“Carlo Cosco è uno ‘ndranghetista – ha spiegato Venturino – ed ha sempre avuto il progetto di far sparire Lea”. Per questa vicenda io ho perso Denise e sono molto provato”.
Denise è parte civile nel processo contro il padre ed è sotto protezione da anni ed assiste all’udienza – nascosta – in un corridoio vicino all’aula. Nel processo di primo grado ha testimoniato e accusato gli assassini di sua madre.
Nessun commento:
Posta un commento