venerdì 18 maggio 2012

Il processo a Ratko Mladic

 La corte dell’Aja per i crimini contro l'umanità che avrebbe dovuto giudicare Ratko Mladic, il boia di Srebrenica, ha rinviato ieri, 17 maggio, il processo per crimini di guerra e contro l’umanità, dopo la prima e  sola udienza, celebrata  tra tensioni e polemiche,
Alphons Orie, presidente del tribunale speciale per i crimini nella ex Jugoslavia commessi durante il conflitto degli anni Novanta, confluita nel Tribunale Penale Internazionale, ha dichiarato che: ”La corte ha ritenuto opportuno sospendere la presentazione delle prove dell’accusa, il processo è rimandato a data da definire”.
 Salta di conseguenza l’udienza del 29 maggio, quando dovevano comparire i primi testimoni. La corte  ieri ha riconosciuto che l’accusa aveva commesso un errore nella trasmissione di alcuni documenti alla difesa. Gli avvocati di Mladic lunedì scorso avevano chiesto un aggiornamento di sei mesi.
Il presidente Orie, per il quale era stata fatta una richiesta di rimozione per conflitto di interessi, in quanto olandese, il cui Paese con un suo contingente Onu mancò di proteggere le vittime civili di Srebrenica nel 1995, ha ammesso che l’accusa ha mancato nel trasmettere per tempo alla difesa di Mladic gli atti. Anche la procura, guidata da Serge Brammertz, ha ammesso l’errore.
 Il 70enne Mladic è comunque rimasto privo di emozioni di fronte alle prime testimonianze presentate ieri dal procuratore Peter McCloskey, che ha mostrato un filmato di un’esecuzione di massa di musulmani bosniaci. L’unico cenno di vita avuto dal generale è stato riservato ai parenti delle vittime, verso cui ha assunto un atteggiamento sprezzante e minaccioso.
”Si tratta di un processo molto importante poiché la giustizia ritiene Mladic, quale comandante dei serbi di Bosnia, e Radovan Karadzic, quale architetto della politica di pulizia etnica, esponenti dello stesso progetto criminale”, aveva affermato Brammertz alla vigilia del processo a Mladic, garantendo un processo equo. Oggi tutto il procedimento però è a rischio, come lo  è stato fino ad ora per Karadzic, per Vojslav Seselj, comandante di paramilitari serbi durante la guerra, e per l’ex presidente Milosevic, morto in carcere prima di una sentenza.
Il timore più grande è che anche per gli altri processi non si arriverà mai ad una sentenza. Una delle sopravvissute di Srebrenica, Hatidza Mehmedovic, ha ichiarato: “Ho sepolto entrambi i miei figli e mio marito. Ora vivo sola, con il ricordo dei miei bambini. Dio li giudicherà”. 

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