" Giovedì 23 febbraio, nella prestigiosa Sala Nassirya di Palazzo Madama in Roma, è stato presentato il nuovo rapporto 2011-2012 sulla crisi umanitaria in Darfur “Sudan, un Paese in fiamme”, curato da Italians for Darfur ONLUS.
Un titolo quanto mai indicativo, da solo, della situazione in Sudan, che resta tesissima, nonostante si susseguano, per ora solo sulla carta, accordi e trattative di pace tra centro e periferie del grande stato africano.
Il rapporto è stato illustrato dalla presidente di Italians for Darfur, Antonella Napoli, insieme al senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione per i diritti umani del Senato, Beppe Giulietti, portavoce di Articolo 21, Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International, i rappresentanti della comunità del Darfur in Italia e il presidente del Sudan People's Liberation Movement Italia, Fred Osuru. Alla conferenza sono intervenuti anche i testimonial della nuova campagna di sensibilizzazione, Tony Esposito (già impegnato per il Darfur dal 2010) e Mark Kostabi, artista di fama internazionale che ha realizzato per 'Italians for Darfur' un'opera inedita la cui vendita sosterrà i progetti in Sudan dell'associazione.
Non 'è pace in Sudan. Il rapporto parla chiaro: da quando l'80% dei proventi dalla vendita del greggio sud sudanese non giunge più a Khartoum dal Sud Sudan, che dal luglio scorso ha dichiarato la sua indipendenza, si registrano continui ammassamenti di truppe lungo i confini tra i due stati.
Risale a solo pochi giorni fa la firma dell’ultimo accordo di non belligeranza, quello di Addis Abeba, tra le due parti e subito violato dalle forze aeree di Khartoum, che avrebbero bombardato la città di Jau, in Sud Sudan.
“Non vogliamo la guerra”, ha ribadito più volte Fred Osuru, rappresentante in Italia del SPLM “ e non finanziamo nè sosteniamo i ribelli armati nel Nord Sudan e in Sud Kordofan.”. “Siamo uno Stato giovane, appena nato, che deve fondare le proprie radici democratiche, come possiamo pensare a una guerra?”.
E’ un accorato appello alla comunità internazionale, affinchè non permetta che l’ennesima questione petrolifera tra due Stati africani degeneri in una nuova sanguinosa guerra.
Non va meglio in Darfur, dove 1 milione e 900 mila sfollati continua a vivere nei campi profughi. Nei primi mesi del 2011 i nuovi transfughi dalla guerra erano già 80.000. Aumentano i rientri nei propri villaggi, ma sono ancora un numero che non conforta sebbene faccia sperare in meglio, visto il trend positivo dei primi mesi del 2012. Il rientro ai propri villaggi è comunque rallentato dalle continue violenze e dalla ripresa degli scontri in molte aree della regione.
Yakub Abdelnabi, in veste di rappresentante del Justice and Equality Movement in Italia, movimento che a Luglio ha perso il leader Khalil Ibrahim, rimasto ucciso in un bombardamento, ha chiesto che non venga dimenticato il dramma, ancora vivo, della gente del Darfur. Il 70% del Darfur, fatta eccezione delle capitali, dice Yakub, è in mano ai ribelli che cercano di garantire la protezione dei civili dalle incursioni armate. Unico problema, il bombardamento aereo. “Serve subito la no-fly zone”, insomma, una richiesta che da sempre le associazioni per i diritti umani hanno rivolto alla comunità internazionale, quale unica efficace soluzione del conflitto in Darfur. [M.A.] dalla newsletter di Italians for Darfur